52mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 8

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52mo Karlovy Vary International Film Festival
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3a79-the-cakemakerThe Cakemaster (Il fabbricante di torte) è una produzione tedesco – israeliana diretta da Ofir Raul Graizer. Vi si racconta l’amore appassionato fra il pasticcere berlinese Thomas per Oran e un israeliano, sposato, in trasferta nella capitale tedesca presso la filiale di una grande azienda del suo paese. I due si amano appassionatamente, convivono serenamente, ma la loro relazione si spezza quando l’ebreo deve ritornare a casa per un breve periodo e muore a Gerusalemme in seguito ad un incidente automobilistico. A questo punto è il tedesco a prendere la strada per il paese mediterraneo, a trovare lavoro, in incognito, nel negozio della vedova dell’amato, esercizio che rilancia alla grande con le sue torte e biscotti, anche questa nuova produzione fa perdere alla titolare la qualifica di pasticceria casher, cioè che vende solo prodotti approvati dai custodi della religione. Si comporta coì bene nella vita e sul lavoro da far innamorare la donna che gli si concede sino al momento in cui scopre la sua passata relazione con il marito defunto. Lui è costretto a partire, ma qualche tempo dopo è la vedova ad andare a cercarlo a Berlino, lo vede, ma non parla con lui. Forse lo farà dopo, ma su questo il film lascia il discorso in sospeso. È una bella storia d’amore in parte compromessa dalla statuaria, ma inespressiva, bellezza di Tim Kalkhof che dice più che esprimerle i turbamenti che lo hanno accompagnato nella pratica omosessuale. Assai più convincente la franco -israeliana Sarah Adler che passa gradualmente dal lutto alla sensualità. Sullo sfondo un universo chiuso e bigotto, quello della comunità ortodossa d’Israele, capace di essere particolarmente opprimente. Per contrapposizione il clima berlinese appare tollerante e accogliente, quasi una rivincita sulle diffidenze che ancor oggi accompagnano le relazioni fra ebrei ortodossi e tedeschi.
71cd-birds-are-singing-in-kigaliC’era molta attesa per Pitaki špiewają w Kigali (Gli uccelli cantano a Kigali), una produzione polacca firmata da Joanna Kos-Krauze che l’ha portata a termine dopo la morte del marito, il regista e attore Krzysztof (1953 – 2014). Lo spunto lo offre il genocidio consumato in Ruanda fra l’aprile e il luglio del 1994, uno dei più massacri sanguinosi della storia dell'Africa. In queste settimane furono massacrati - a colpi di armi da fuoco, machete e bastoni chiodati - fra 800 mila e un milione di Tutsi ad opera della maggioranza etica del paese, gli Hutu. Fra i due gruppi, grazie alla politica attuata dai colonialisti belgi, esisteva da tempo tensione, ma il genocidio nacque dalla morte del presidente – dittatore  Juvénal Habyarimana, il 6 aprile, il cui aereo fu abbattuto da un missile terra-aria, mentre era di ritorno da un colloquio di pace che si era tenuto nel Burundi. Gli Hutu incolparono subito i Tutsi di questo attentato e scatenarono una pulizia etnica che non ha precedenti nella storia africana. Questi i fatti sommariamente illustrati all’inizio del film, con l’avvio di una storia che ha come protagoniste la tutsi Claudine e l’ornitologa polacca Anna che la salva dalla morte, anche perché figlia di un suo collega vittima, con tutta la famiglia, della follia sanguinaria hutu. Passano gli anni, la situazione ruandese si ristabilisce con i tutsi che riprendono il potere e Claudine rinuncia al sicuro stato di rifugiata politica per ritornare in Africa a cercare i corpi dei familiari per dar loro dignitosa sepoltura. Un ritorno che diventa vero e proprio trasferimento quando l’africana rinuncia a salire sull’aereo che riporta in patria l’amica. Il film risente del forzato cambio di mano registica e lo si vede dalle molte elissi narrative, dalla scelta di tenere la macchina da presa quasi sempre lontana dai volti dei personaggi, che la regista preferisce spesso inquadrare di spalle o in scorci quasi da immagini di telefonino. Il film presenta, miscelate in maniera non omogenea, due storie che potrebbe essere davvero interessanti, ma lo fa in maniera in gran parte insoddisfacente.
U.R.