52mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 5

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52mo Karlovy Vary International Film Festival
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CorporateIl cinema francese si sta interessando non da oggi alle condizioni e ai problemi del mondo del lavoro. Corporate (Aziendale) di Nicolas Silhol segna una parziale novità in questa direzione con la focalizzazione dell’interesse dai piani bassi alle decisioni e alle manovre che coinvolgono il vertice manageriale. La responsabile delle Risorse Umane (ricordate il film con questo titolo del 1999, scritto e diretto da Laurent Cantet?) di una multinazionale va in crisi quando un dipendente si cui lei aveva la responsabilità si suicida gettandosi dalla finestra dell’ufficio. Questo dopo aver subito innumerevoli pressioni da parte della direzione affinché si dimetta in quanto troppo anziano e improduttivo. Lo stato di malessere porta la donna a cercare supporto in un’ispettrice del lavoro e a guidarla verso la denuncia delle pratiche oppressive e inumane messe in atto nei confronti di quanti non si adeguano agli standard di profitto aziendale. Non c’è molto di nuovo in un film girato quasi per intero in interni e denso di dialoghi e di sigle il cui significato potrebbe anche sfuggire allo spettatore meno avvertito. Di positivo c’è l’interesse per un tema troppo spesso trascurato e l’interpretazione, davvero magistrale, di Céline Sallette che ricostruisce i turbamenti, le paure e la determinazione di una donna che, come dice lei stessa, porta a casa centomila euro l’anno, ma non ha del tutto dimenticato la voce della propria coscienza.
1496215223427 0570x0400 1496215257893Il georgiano George Ovashvili era stato coronato con il Globo di Cristallo in questo festival nel 2014 ove aveva presentato Simindis kundzuli (L’isola del granoturco), film che vinse premi importanti in altre sedici rassegne cinematografiche. Quest’anno ha firmato Khibula, nome del luogo in cui morì (o fu ucciso) Zviad Gamsakhurdia (1939 –1993) il primo presidente, dal 1992 al 19992, della Repubblica della Georgia dopo il distacco dalla morente Unione Sovietica e la dichiarazione dell’indipendenza (1991). La sua figura, come quella del suo predecessore - l’ex ministro degli esteri dell’URSS, il gorbacioviano Eduard Shevardnadze (1928 – 2014) - è storicamente discutibile. C’è chi lo considera un eroe e chi non dimentica le sue responsabilità nella marcia su Tskhinvali (23 novembre 1989) contro gli Osseti, popolazione che fu al centro di aspri conflitti sino alla divisione in Ossezia del nord, politicamente integrata nella Federazione Russa, e Ossezia del Sud, collegata alla Repubblica della Georgia. Il regista racconta la drammatica fuga dell’uomo politico, assume ad un pugno di fedelissimi, sulle montagne innevate georgiane, fra continue paure di cattura da parte delle milizie golpiste che avevano preso il potere a Tbilisi. Tutto si conclude nel villaggio di Khibula con la morte del politico, ancor oggi non si sa se per suicidio o fucilazione da parte di alcuni uomini della sua stessa scorta. Ne nasce un film in cui il paesaggio e i sogni del fuggitivo hanno la meglio su tutto il resto e che appare più accettabile nella parte realistica che in quella onirica. Come spesso capita in casi del genere la psicologia dei personaggi fa premio sul contesto storico, in questo caso complesso più che mai. Più che un film collocato in una precisa prospettiva come, seppur in piccola parte, accadeva nel precedente, un’opera che lascia ben poco spazio alla Storia, intesa con la S maiuscola.

U.R.