52mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 3

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52mo Karlovy Vary International Film Festival
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men-dont-cryMuš Muškarci ne plaču (Gli uomini non piangono) è un dramma da camera firmato dall’esordiente bosniaco Alen Drijevič e prodotto da Bosnia Erzegovina, Slovenia, Croazia e Germania. Un gruppo di veterani della guerra che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia si riunisce in un albergo semideserto posto in una zona montana della Bosnia per tentare, sotto la guida di uno psicologo,  di superare la lacerazioni che li hanno dilaniati quando si battevano su fronti opposti. Molti di loro hanno ripotato ferite fisiche terribili, c’è chi ha perso una gamba e chi è costretto su una carrozzella. Ancora maggiori sono i segni psicologici che si portano appresso legati ad azioni infamanti che hanno compiuto e a eventi terribili di cu sono stati testimoni. Lo scopo di chi li ha radunati è di ricondurli ad una esistenza normale, stemperando le tensioni che ancora li muovono causando feroci conflitti fra mussulmani e cristiani, serbi e bosniaci. Solo alla fine il tentativo avrà successo davanti alla tomba della madre del giovane paraplegico mussulmano e alla constatazione, rappresentata dai giovani calciatori che si apprestano a giovare una partitella immemori di quanto è accaduto dieci anni prima e ha segnato in maniera indelebile un’intera generazione. Il film si sviluppa quasi per intero all’interno di poche stanze e si basa prevalentemente sulle pratiche di rimozione del passato messe in atto dal terapeuta. Pratiche che, in verità, appaiono piuttosto grossolane. È un modo di affrontare un tema drammatico come quello delle guerre balcaniche facendone una sorta di calderone di casi singoli e di psicologie individuali turbate. Restano fuori sia le ragioni, spesso ataviche, che hanno spinto questi popoli, tenuti assieme faticosamente e a volte con metodi decisamente brutali da Josip Broz Tito (1892 – 1980) a scannarsi ferocemente, sia le motivazioni, spesso opportunistiche, che spinsero i paesi occidentali a schierarsi con l’uno o con l’altro o, molto più spesso, a chiudere entrambi gli occhi davanti a ciò che accadeva. Nessuno chiede a un film di trasformarsi in un saggio storico, ma la riduzione del conflitto jugoslavo a una collana di traumi personali appare davvero riduttiva.

fd90-arrhythmiaMeglio, allora, Aritmya (Aritmia) del russo Boris Khiebnikov in cui un paramedico che lavora sulle ambulanze e sua moglie, dottoressa del pronto soccorso, arrivano alla quasi rottura a causa degli stress imposti da un sistema che disconosce ogni merito umano e tratta il loro lavoro alla stregua di un qualsiasi impiego misurabile in termini di pseudo efficienza e profitto. Intorno una società che ha perso ogni connotato umano, costringe i mezzi di soccorso a misurarsi con un traffico sempre più caotico, disprezza chi aiuta gli altri, riconosce solo i deliri alcolici e il sesso. È proprio grazie alla reciproca attrazione fisica che, alla fine, la coppia si salverà del naufragio e approderà ad una solitudine a due riscaldata dalla passione. Un piccolo film che emana sincerità e dolore anche grazie ai due intrepreti, Irina Gorbacheva e Alexader Yatsenko, che danno voce e volto a questi operai della sanità che ancora credono nella necessità del loro lavoro.

U.R.