48mo Karlovy Vary International Film Festival

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 28 giugno6 luglio 2013

sito web:http://www.kviff.com/en/news/

kviff posterIl Festival Internazionale del Film di Karlovy Vary, giunto quest’anno alla 48a edizione, è una delle manifestazioni cinematografiche più importanti d’Europa. Ospitato in una delle cittadine termali meglio conservate e ricche di memorie storiche, qui nella seconda metà dell’ottocento era di casa per passare le acque la migliore nobiltà centro europea, dopo la caduta del regime realsocialista è diventato luogo ideale d’incontro di cineasti e film di qualità. Materiali che stentano sempre più a trovare canali di contatto con il pubblico, un pubblico che qui è sempre molto numeroso e composto, per la maggior parte, da giovani studenti e appassionati della settima arte. Da un paio d'anni è stato segnato dal cambio parziale di direzione: Eva Zaoralová, artefice della rinascita di questa manifestazione negli anni post – socialisti è diventata il principale consulente e delle scelte culturali della competizione. Direttore artistico è diventato Karel Och, mentre la presidenza continua ad essere nella mani dell’attore e manager Jiří Bartoška.

quellen-des-lebensLa sezione competitiva del Festival è stata aperta da Quellen des Lebens (Fonti di vita) del tedesco Oskar Roehler (1959), un filmone di quasi tre ore che segue un gruppo di personaggi dal secondo dopoguerra sino agli anni ottanta. Sono tutti legati da vincoli di parentela, si inizia con Erich Freytang che ritorna dalla prigionia in Russia ferito nel fisico e nella mente. Si prosegue con la ricca famiglia dalla talentosa Gela, femminista ante litteram e scrittrice di successo che s’innamora e sposa, Klaus, figlio del reduce nel frattempo diventato fabbricante di nanetti da giardino. E’ poi la volta del figlio della coppia, un ragazzino sballottato fra un padre, nel frattempo divorziato, disinteressato e donnaiolo e i nonni materni e paterni. Tutto questo sullo sfondo delle profonde trasformazioni che segnano il paese, per la verità assunte più come elementi scenografici e di costume che non perché legate o influenzanti la psicologia dei personaggi. In altre parole è un film di taglio nettamente televisivo  - la stessa lunghezza fa suppore una divisione in puntate al momento della messa in palinsesto – che dice di affrontare problemi di grande spessore (il femminismo, le differenze di classe, lo sfascio delle istituzioni familiari) ma guardandosi bene dall’andare al fondo di almeno uno di questi snodi. Il tono dominante è la superficialità che copre ogni pur minimo approfondimento; i mutamenti nel costume eretti a facile scenografia, i grandi temi etici risolti con battute da due soldi. Non pochi altri testi hanno percorso la strada della o delle storie personali quali specchi di un’epoca, ma in questo caso l’inconsistenza della sceneggiatura e la piattezza della regia compromettono gravemente il bilancio dell’opera.
honeymoon 1Non va molto più in là il ceco Libánky (Luna di miele) del ceco Jon Hřebejk anche se rinchiude la sua storia in un numero ben più limitato di ore, di sviluppo e proiezione. E’ il giorno delle nozze di Tereza e Radfim, lui è al secondo matrimonio da cui ha avuto un figlio, lei è vistosamente incinta. Dovrebbe essere un giorno di gioia per tutti senonché, proprio prima di entrare in chiesa, il marito s’imbatte in un ottico che lo tratta come una persona che conosce e che s’intrufola nel pranzo di nozze portando un pesante regalo. A metà film scopriremo che si tratta delle ceneri di un amante dell’intruso che lo sposo ha pinto al suicidio molti anni prima causandogli traumi profondi legati a precosse e vere e proprie torture inflitte, con altri, mentre erano studenti di un college. Ora il vedovo chiede, riuscendoci, di poter raccontare alla sposa chi sia veramente l’uomo a cui si è legata. La cosa scatena la furia del marito che arriva a sfiorare l’omicidio. Tuttavia sarà (forse) una tempesta passeggera, visto che nel finale i coniugi appaiono rappacificati. Anche in questo caso siamo in presenza di un tema socialmente drammatico, le angherie verso i diversi,  affrontato in maniera a dir poco superficiale. Le note di produzione parlano della conclusione di una trilogia, gli atri titoli sono stati Kawasaki Rose (2009) e Innocence (2011), incentrata sul peso delle ombre del passato che gravano sul presente. In questo caso l’obiettivo appare affrontato con ambiguità dando, come si suole dire, un colpo al cerchio e uno alla botte.

makom be gan eden a place in havenMakam Be Eden (Un posto in Paradiso) dell'israeliano Joseph Madmany cerca di fare un quadro della storia del paese attraverso il ritratto di un militare che partecipa a tutte le guerre, anche con gesti di grande crudeltà (taglia i testicoli a un siriano ucciso in combattimento per dimostrare che il nemico è stato veramente ucciso) che, rivelati anni dopo da un giornale, gli costeranno la carriera politica. L'intento non e molto originale ed è riuscito in modo parzialmente. La storia procede a sbalzi con intrecci assai poco virtuosi, fra vicende personali e accenni politici. Accenni che si riferiscono alla cronaca reale del paese ove, negli anni molti militari d’alto grado sono entrati in politica sia nelle file della sinistra (Partito Laburista) sia in quelle della Destra (Likud). Tuttavia ben poco è chiarito in quanto, se la prima parte naviga in direzione dello scontro bellico con limitati intrecci sentimentali, la seconda muove decisamente sul terreno piscologico - personale con il contrasto fra il figlio, ebreo osservante, e il padre che non ha mai ha prestato grande attenzione a riti e cerimonie chiesastiche. Il film si apre con l'uccisione del protagonista, ormai anziano e tutt'altro che rassegnato ad abbandonare la politica, da parte di un terrorista arabo. Da qui parte una storia all'indietro che muove i primi passi dal patto stipulato con un rabbino durante la guerra dei sei giorni (6 – 10 giugno 1967) con cui il militare cedeva il suo posto in Paradiso in cambio di alcune cose terra terra, ad esempio un piatto di uova strapazzate, tutti i giorni per un mese. Alla fine sia il militare sia il rabbino moriranno a poche ore di distanza e si troveranno in cielo. E' un film piuttosto confuso, frammentario, non del tutto comprensibile a chi non abbia una minima conoscenza della storia e della politica dello Stato d’Israele. E’ un testo che muove a sbalzi, senza una vera continuità stilistica. 
(u.r.)