52mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 6

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52mo Karlovy Vary International Film Festival
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La lineaČiara (La linea) è una produzione slovacco – ucraina firmata da Peter Bebjak, un veterano del cinema e della televisione che ha un particolare interesse per il genere gangsteristico. In questo caso racconta il conflitto fra due bande che operano lungo la frontiera tra la Repubblica Slovacca e quella Ucraina. La gang capeggiata da Adam Krajňák è dedita al traffico delle sigarette che arrivano in Austria passando per la Slovacchia. Disdegna il commercio della droga e si dedica, saltuariamente al passaggio di migranti che dall’Afghanistan cercano di sbarcare in Europa. Quando il trattato di Schengen trova applicazione anche da quelle parti, la sua attività entra in crisi. A questo punto si fa avanti un altro capobanda che non ha mai disdegnato il commercio di stupefacenti e che propone di dare vita ad un’unica organizzazione sotto il suo controllo. Adam rifiuta anche perché spinto da una madre, con la quale ha un rapporto ambiguo, particolarmente feroce e che già in passato aveva messo mano a omicidi e traffici vari. Ne nasce una serie di ammazzamenti, pestaggi, affogamenti e tagli di dita sino ad un finale in cui sembra che il protagonista riesca, quasi magicamente, a sconfiggere l’avversario. Sembra, perché la parte finale potrebbe anche essere un semplice sogno di Adam mentre sta sprofondando, incatenato, in una sorta di lago. Il dato migliore del film è nella mescolanza fra le immagini di un paesaggio magnifico e le sequenze di grande violenza. La parte che dovrebbe interessare maggiormente, quella relativa al traffico di migranti, è relegata quasi in sottofondo, mentre hanno spazio le violenze e gli scontri fra i malviventi. In altre parole un film realizzato con grande professionalità e decisamente inserito in un genere a cui non apporta alcun nuovo contributo.
moreSi parla di migranti anche in Daha (Di più) film di debutto del turco Onur Saylak. Anche in questo caso ci aggiriamo dalle parti del cinema criminale, con un camionista, il violento Ahad, che usa il suo camioncino per trasportare uomini e donne che fuggono dalla Siria con la speranza di raggiungere l’Europa. Lui e il figlio quattordicenne vivono in una piccola città sulle rive del mare da cui le persone che trattano e alloggiano, malamente e provvisoriamente, s’imbarcheranno verso i paesi che sognano. Le condizioni imposte ai migranti sono davvero inumane: devono dormire tutti assieme, non esclusi i bambini, in uno stanzone ricavato sottoterra, mangiano poco e male, subiscono stupri e violenze. Tutto questo indigna il giovane Gaza che, fra l’altro ha una predisposizione per gli studi scientifici e che il padre costringe a rinunciare alla scuola. Il ragazzo ingoia violenza su violenza fino al momento che la misura è colma e cerca di fuggire, dopo aver derubato il padre dei denari accantonati con il losco traffico, con la speranza di raggiungere un prestigioso liceo di Istanbul di cui si è conquistato l’ammissione. Il padre prima lo picchia a sangue, poi lo fa arrestare da un poliziotto corrotto. A questo punto il ragazzo si è indurito al punto di diventare peggio del genitore. Fa uccidere il padre e riorganizza il soggiorno dei migranti usando telecamere e monitor. Ora la loro presenza, così come le sofferenze che subiscono, non hanno nulla da invidiare alle torture praticate nei lager nazisti. Il film è costruito molto bene e testimonia un itinerario, dalla solidarietà alla violenza, che costituisce un esempio di cinema del presente. L’evoluzione, meglio l’involuzione, di questo ragazzo marca un quadro di grande suggestione e ricco di spunti di riflessione non solo sul presente e sulla criminalità che si arricchisce sulle spalle di migliaia di disperati in fuga da fame e guerre.
U.R.