46mo Karlovy Vary International Film Festival

Stampa
PDF
Indice
46mo Karlovy Vary International Film Festival
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
Tutte le pagine
 1 – 9 luglio 2011

sito web: http://www.kviff.com/

Il Festival Internazionale del Film di Karlovy Vary, giunto quest’anno alla 46 edizione, è una delle manifestazioni cinematografiche più importanti d’Europa. Ospitato in una delle cittadine termali meglio conservate e ricche di memorie storiche, qui nella seconda metà dell’ottocento era di casa per passare le acque la migliore nobiltà centro europea, dopo la caduta del regime realsocialista è diventato luogo ideale d’incontro di cineasti e film di qualità. Materiali che stentano sempre più a trovare canali di contatto con il pubblico, un pubblico che qui è sempre molto numeroso e composto, per la maggior parte, da giovani studenti e appassionati della settima arte. Quest’anno è stato segnato dal cambio parziale di direzione: Eva Zaoralová, artefice della rinascita di questa manifestazione negli anni post – socialisti è diventata il principale consulente e delle scelte culturali della competizione Direttore artistico è diventato Karel Och, mentre la presidenza continua ad essere nella mani dell’attore e manager Jiří Bartoška.

La sezione competitiva del festival ha preso il via con il film francese Ni à vendre, ni à louer (Non da vendere né affittare, ma il titolo internazionale è Holidays by the sea - Vacanze al mare) del disegnatore di fumetti Pasacal Rabaté (1961). Il film nasce da una delle sue graphic stories ed è sostanzialmente privo di dialoghi. Su una spiaggia di Saint-Nazaire, in Bretagna, durante la morta stagione, si ritrovano vari personaggi. Due coppie e un uomo, con tendenze sadomaso, alloggiano all’albergo L’Océan. Quest’ultimo si fa ammanettare dal letto e frustrare da un’amante compiacente. Solo che, sul più bello, lei lo lascia in quella scomoda posizione, gli ruba vestiti, macchina, documenti e scappa. Gli altri quattro vanno al mare e, dopo qualche inciampo dovuto a un aquilone sfuggito al controllo, si scambiano i partner. Nel frattempo altri villeggianti vivono in scomode roulotte, in case minuscole, in improbabili tende oppure, come la coppia hippy cui va la simpatia del regista, non dormono direttamente sulla spiaggia. Accadono vari incidenti tutti generalmente a lieto fine, fra cui un funerale punteggiato d’inciampi. Ci sono anche un paio di borseggiatori che gozzovigliano saldando i conti con la carta di credito sottratta al cultore delle pratiche sadomaso. Il film è praticamente muto, con qualche battuta qua e la che non va oltre le due o tre sillabe. Oltre che riferimenti ai fumetti ci sono non poche citazioni cinematografiche che spaziano da Jacques Tati (Le vacanze di Monsieur HulotLes vacances de Monsieur Hulot, 1953) a Pierre Étaix (Quando c’è la salute - Tant qu'on a la santé, 1965), tutte debitamente aggiornate ai giorni tempi. Ne nasce un film non originalissimo, ma sicuramente poetico e coraggioso nel suo andare programmaticamente controcorrente rispetto al cinema chiassoso che trionfa sugli schermi.

Notevolmente diversa l’atmosfera di No tiengas miedo (Non avere paura) del veterano spagnolo Montxo Armendáriz (1949) che affronta un tema delicato e terribile: quello degli abusi sessuali dei padri sulle figlie. Silvia, nata in una famiglia benestante, subisce le voglie del padre sin da bambina. Riuscirà a liberarsene e a superare i traumi nati da questa violenza ripetuta, solo quando diventerà donna. Ci riuscirà con la volontà e con l’aiuto di una psichiatra che ne ha compreso l’intimo travaglio. Il suo percorso è cadenzato dalle confessioni di altre persone che hanno attraversato esperienze simili e si riuniscono per superare, assieme, l’orrore in cui sono caduti. E’ un testo civile e di grande impegno che non guarda solo al dramma degli abusi sessuali, ma scandaglia a fondo i legami che saldano la vittima al carnefice in un viluppo che condiziona un’intera esistenza. Non un film segnato da grande originalità, ma un buon prodotto artigianale cui contribuiscono non poco le interpretazioni di Michelle Jennifer e Lluis Homar.

Nelle altre, numerose, sezioni in cui si articola il festival si sono viti un paio di titoli di rilievo. The Mill and the Cross (Il mulino e la croce, 2011) del regista polacco Lech Majewski é una lettura approfondita del quadro dipinto da Peter Brughel il vecchio (1525/30 – 1569) nel 1564: Processione vero il calvario. E‘ un'opera che, citando la Passione di Cristo, rimanda a una metafora sulla condizione umana. Il film è costruito, anche attraverso la tecnica della grafica computerizzata, come un susseguirsi di scene e immagini che rimandano allo stile del dipinto. Un approccio che inserisce un parallelo diretto fra la Palestina dominata di Romani e l’Olanda, in quegli anni sottomessa al Regno di Spagna. Così facendo il Cristo diventa una vittima di un’oppressione feroce e sanguinaria. L’operazione è interessante, anche se soffre di un eccesso d’intellettualizzazione.

Pancho ne e mrtov (Il punk non è morto, 2010) del macedone Vladimir Blaževski (1955) riparte dagli odi e i conflitti lasciati sul campo dalla dissoluzione della Iugoslavia. Lo fa attraverso la storia di una band anarchicheggiante dissolta dalla divisione del paese e i cui membri sono caduti nella miseria, il crimine, la droga. Un impresario albanese ha la bella idea di rimetterli assieme e far fare loro un concerto nel cuore dell’Albania. La cosa va in porto dopo numerosi impicci, il conserto si svolge in davanti a una platea di anziati e militanti nazionalisti che cacciano i musicisti. Questi ultimi, una volta ritornati in Macedonia sono picchiati a sangue dai fanatici macedoni che non perdonano loro di avere suonato per gli odiati vicini. Il film non batte strade nuove, ma ha il merito di ricordarci quanto profonde siano le divisioni che ancora separano genti che, siano a venti anni or sono, erano cittadini dello stesso paese.