01 Luglio 2019
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54mo Karlovy Vary International Film Festival |
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In passato il cinema bulgaro ha attraversato un periodo di grande successo in cui si è proposto come uno dei più interessanti dell’est Europa. Riorna a quei momenti felici con Bashata (Il padre) firmato da una coppia di registi particolarmente brillanti: Kristina Grozeva e Petar Valchanov. La storia che raccontano è quella del pittore Vasili che ha appena perso la moglie che è stata la sua partner per lunghissimo tempo. Incapace di farsi una ragione di quanto successo e suggestionato da una vicina di casa decide ti ritornate a parlare con la consorte via telefono. È una decisione insensata e impossibile da realizzarsi a cui si oppone strenuamente il figlio Pavel che tenta in ogni modo di dissuaderlo. L’anziano continua a insistere sino a credere la cosa sia possibile. Il film ha qualche momento di lentezza, ma complessivamente è fra le proposte positive del festival anche grazie alla bravura dei due interpreti principali e per merito del filo di umorismo che lo attraversa.
Grande proposta anche quella dello sloveno Damjan Kozole che ha firmato Polsestra (Sorellastra) una storia di affetto di due ragazze che passano all’amicizia e la solidarietà, esseno quasi arrivate all’odio. Per varie ragioni sono costrette a vivere assieme a Lubiana, una per ragioni di lavoro, l’altra per motivi di studio che si riveleranno impraticabili. La più anziana è divorziata da un marito manesco e autoritario e sarà proprio la sorellastra a difenderla quando rischierà di essere picchiata dall’ex. E’ un film molto parlato in cui i dialoghi hanno la meglio sulle azioni, ma che riesce a darci un panorama realistico della gioventù slovena a cui si potrebbero aggiungere quelle macedone e serba, conteso fra una violenza crescente e una condizione di progressivo depauperamento.
Un padre e una figlia percorrono la Patagonia cilena all’insaputa l’uno dell’altra. Lui ha abbandonato da anni la famiglia per fare il camionista, lei è una boxeur dilettante e è stata ingaggiata per un incontro da cui uscirà sconfitta. Lui ha appena saputo dal suo capo che, dopo quel viaggio, sarà messo in pensione. La donna ha chiesto un passaggio ad un altro camionista e ora si appresta a ritornare a casa con il padre che non vede da molti anni e che durante questo viaggio ha incontrato casualmente. L’uomo, dopo una lunga vita di sacrifici, si sente male e – si intuisce – morirà per strada. La ragazza riesce quasi casualmente a stabilire un rapporto con lui, ma lo lascia per proseguire sulla sua strada. El hombre del futuro (L’uomo del futuro) del cileno Felipe Rios è la classica ricostruzione del rapporto interrotto genitore – figlio con in più la straordinaria interpretazione di Josè Soza, a cui si affianca e da spessore quella non meno forte della giovane Antonia Gies saisen.
Si affrontano temi genitoriali anche in Ma sai ke shao nu (Ritratto a mosaico) del cinese Zhai Yixiang. Qui, saltando non pochi passaggi narrativi si racconta di una quattordicenne che gli amici vorrebbero innamorata e sposata. Lei da quell’orecchio non ci sente e, anche se è incinta, non vuole accasarsi. Coinvolta in una serie di furti finisce in un istituto a mezzo fra un riformatorio e un collegio, un’istituzione che esaspera ancor più la sua voglia di libertà e l’amore per l’indipendenza del vivere dei giovani. Il film procede in maniera non lineare, ma ha buon gioco nel testimoniare la tensione e l’ansia che regnano fra i giovani immersi in una società che non assolve, legalmente, ai loro bisogni materiali e copre di retorica i loro ideali. Un film importante più per ciò che tenta di dire che per quanto dice. (U.R.)
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