75ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 14

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75ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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uccidereL’ultimo film in concorso è stato Zan (Uccidere) del giapponese Shinya Tsukamoto, un regista noto per il contributo dato al genere horror che, questa volta, si rivolge al cinema narrativo di tipo più tradizionale anche se non dimentica alcune immagini particolarmente violente. La vicenda ruota alla figura di un giovane aspirante samurai che un anziano maestro, dapprima, ingaggia per una missione misteriosa e, poi, quando lui rifiuta di partire per la missione, insegue e uccide. Siamo alla metà del XIX secolo, un’epoca in cui, dopo 250 anni di pace, i guerrieri vivono in povertà non avendo signori a cui proporre i loro servizi. La povertà li spinge a derubare i contadini e violentare le loro mogli e figlie. Sono brutalità a cui si oppone Jirozaemon Sawamura, un samurai non meno povero di altri, ma che non deruba i villani e non aggredisce le loro donne. Sentendosi incaricato di una vera e propria missione tenta di mettere assieme un gruppo che si rechi a Kioto per trovare un ingaggio presso uno dei pochi signori della guerra ancora in attività. Quando Mokunoshn Tsuzuki, un giovane promettente da lui selezionato, rifiuta di partire, lo uccide. Non è il primo film che affronta questi anni segnati, fra l’altro dall’arrivo del Commodoro Perry, incaricato dal presidente degli Stati Uniti di aprire al commercio, anche non la forza, l’immenso mercato cinese. Il film è intriso di una luce cupa in cui s’inscrive una campagna miserabile popolata da contadini poverissimi. Non è un’opera particolarmente notevole, ma ha il merito di proporre allo spettatore un’immagine realistica di questo mondo.
un popolo e il suo reLa programmazione si è conclusa con alcuni titoli non trascurabili. Un peuple et son Roi (Un popolo e il suo Re) del francese Pierre Scheller affronta la Rivoluzione francese negli anni che vanno dalla presa della Bastiglia alla decapitazione di re Luigi XVI in Place de la Concorde. Il film ha un andamento fra il documentario storico e il testo narrativo vero e proprio. Fa da filo conduttore una giovane copia composta dalla giovane lavandaia Françoise e da Basile, un apprendista vetraio, che vive quei tempi convulsi senza offrire allo spettatore né un’illustrazione né una lettura originale. Un approccio ambiguo che rende il testo abbastanza discutibile da un punto di vista espressivo.
Molto più interessante Una storia senza nome di Roberto Andò, uno scrittore e regista di cui va ricordato, almeno, Viva la libertà (2013). Questa volta al centro della storia c’è la giovane segretaria di una società di produzione. In realtà è lei ad aver scritto, in incognito, tutte le ultime sceneggiature di un cineasta di successo, Alessandro Pes. Così potrebbe essere anche questa volta per un film che ruota attorno al furto, avvenuto a Palermo nel 1969, della Natività di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. L’opera fu trafugata dalla Mafia e per lungo tempo fu oggetto di trattativa fra apparati statali e uomini della criminalità. La donna è affiancata da un superpoliziotto che si scoprirà essere una storia senza nome asuo padre, che ha fatto del recupero dell’opera lo scopo della sua vita. È un bel poliziesco, anche se mette troppa carne al fuoco non preoccupandosi troppo delle incongruenze narrative come quella che vede lo sceneggiatore di facciata, massacrato di botte da uomini della mafia e caduto in coma che si riprende in ospedale senza che nessuno se ne accorga e finge di essere ancora fra la vita e la morte. Messi da parte questi aspetti, il film si appresta a un giusto successo di pubblico.
(U.R.)