75ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 12

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75ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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AccusataDolores vive l’esistenza tranquilla e agiata della borghesia di Buenos Aires, ma questo non le impedisce di essere travolta da un caso nazionale: una sua amica è uccisa durante un party studentesco in cui non mancano sesso e droga. Accusata di essere la responsabile dell’omicidio, la giovane è imputata in un processo a cui si interessano i grandi giornali e le televisioni nazionali. L’esito del giudizio sarà a lai favorevole, ma le farà attraversare per intero l’inferno dei pregiudizi e delle valutazioni sommarie dell’opinione pubblica. L’argentino Gonzalo Tobal ha firmato Acusada (Accusata) forse con l’intento di farne un ritratto della borghesia del suo paese, ma l’operazione gli è riuscita solo parzialmente. Se si deve riconoscere l’abilità del cineasta ad impostare una storia processuale tesa dalla prima all’ultima immagine, anche grazie la forte interpretazione di Lili Esposito che da all’imputata tutte le sfumature del caso. Ciò che manca al film è la capacità di passare da un evento singolo ad un quadro complessivo, per cui il calvario della giovane non va oltre l’episodio individuale senza trasformarsi in descrizione o messa in stato d’accusa di un’intera classe sociale.
Il nostro tempoÈ un po’ quanto capita al messicano Carlos Reygadas autore e interprete di Nuestro Tiempo (Il nostro tempo) da cui l’unico discorso che sembra possibile trarre è che alla nostra epoca non c’è spazio per una condizione di pace fra uomini e donne. Sin dalle prime sequenze (un gruppo di bambini aggredisce alcune femmine che stanno facendo il bagno con loro) sino alle immagini finali dello scontro fra tori, uno dei quali rimane esamine sul terreno, questo tema appare dominante. Il centro del discorso c’è un poeta internazionalmente noto e allevatore di tori da corrida che tenta di stabilire un legame aperto con la moglie. Legame in cui moglie e marito hanno piena libertà di avere altre relazioni a patto che ne informino il coniuge. Quando Esther va letto con Phil, un addestratore di cavalli capitato nel ranch per dovere professionale, e non lo dice al marito quest’ultimo si sente come se avesse subito un vero tradimento. Ne nasce un conflitto che mette in luce quanto sia teorica e cervellotica la teoria della cosiddetta copia aperta. Il film è girato molto bene anche se è troppo lungo (173 minuti) tanto che la tesi di fondo la si può intuire sin dalle primissime sequenze, mentre tutto il resto non fa che ribadirla con vari compiacimenti anche erotici. In altre parole un testo interessante, ma eccessivamente verboso. La fotografia è veramente eccezionale e propone allo spettatore un’immagine del Mexico, meglio della campagna e di Mexico City, tutt’altro che usuale.
Opera senza autoreNeanche Work ohne Autor (Opera senza autore) del tedesco Florian Henckel von Donnersmarck scherza in lunghezza (188 minuti) ma in questo caso c’è una ragione collegata alla volontà dell’autore di rappresentare la Germania dagli anni trenta ai sessanta. Tutto è visto attraverso la figura di Kurt un ragazzino che passa l’infanzia sotto il Terzo Reich, assistendo all’uccisione dell’amata zia da parte di un famoso ginecologo che, nel dopoguerra diventerà suo suocero. Il giovane approderà, attraverso diverse vicende, al ruolo di un noto pittore e il suo lavoro, dipingere immagini fotografiche appena velate da uno strato di vernice, obbliga, meglio dovrebbe obbligare, chi guarda ad interrogarsi su ciò che è stato è sulle responsabilità che aveva quando svolgeva un ruolo pubblico. È un film che, forse, non contribuisce molto alla ricerca sul linguaggio e l’innovazione nel cinema, ma è un’opera che svolge un ruolo fondamentale nella denuncia delle responsabilità sociali di più di una generazione. Come dire uno dei testi che si sono imposti da subito fra i candidati ai premi finali.
Vox-Lux-999x562A una parte gli spettatori è molto piaciuto Vox Lux dell’americano Brady Corbet. È il ritratto sofferto e doloroso di una star dello show business che, dopo essere scampata ad un massacro di alunni in una scuola, approda ad un grande successo costellato di droga, amori occasionali e cattiverie professionali. Una serie di temi già affrontati decine di volte dal cinema e non solo da quello americano e che, in questo caso, diventano l’asse di un discorso ben poco originale.
Molto più interessate, almeno da punto di vista politico, 22 july (22 luglio) dell’inglese Paul Greengrass. Il 22 luglio 2011 un terrorista filonazista uccise 77 persone e ne ferì più di 200 nella capitale norvegese e nell’isola di Utǿya sul lago Tyrifjorden, il quinto della Norvegia. In quest’isola si stava svolgendo un campeggio dei giovani del partito socialista e il terrorista, che aveva appena fatto esplodere un pulmino carico d’esplosivo ricavato da un fertilizzante nel parcheggio antistate gli uffici del primo ministro, intendeva protestare per la politica di apertura agli stranieri del governo socialdemocratico. Arrestato e processato, il criminale dapprima accettò di essere sottoposto a perizia psichiatrica poi rivendicò pienamente il gesto dichiarandosi capo di un pseudo movimento politico antiarabo ispirato ai Cavalieri Teutoni. Il regista segue con precisione l’esecuzione del massacro, senza tacere l’impreparazione della polizia, e il processo da cui emerge la personalità dell’assassino (finirà condannato all’ergastolo in detenzione solitaria). La forza del film è nel sottolineare come le forze di governo e gli stessi parenti delle vittime non siano caduti nella trappola della vendetta, applicando rigidamente e coerentemente le regole della democrazia. Un film molto attuale, anche alle nostre latitudini e ai nostri giorni.
(U.R.)