33° Festival Internacional de Cine de Guadalajara - Pagina 5

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33° Festival Internacional de Cine de Guadalajara
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la negradaLa negrada (Il negro, 2017) è più interessante per il tema trattato che non per un valido sviluppo narrativo. È il primo lungometraggio messicano sulla comunità afro-messicana, girato interamente con autentici abitanti di diversi villaggi della Costa Chica di Oaxaca. 350.000 erano gli schiavi provenienti dall’Africa, quasi un milione e mezzo i discendenti che attualmente si riconoscono in questa origine. Il loro più grave problema è che, non avendo una propria lingua o una cultura ben definita, sono una minoranza non riconosciuta e protetta. Il termine negrada non vuole essere offensivo ed è stato creato da loro stessi quale difesa culturale nei confronti dei bianchi che li umiliavano con epiteti difficili da sopportare. Validissima l’idea di fare conoscere la loro esistenza, poco interessante la sceneggiatura scritta dal regista, Jorge Pérez Solano, degna più una telenovela che non di un film di impegno sociale. A questo va aggiunto che il lodevole desiderio di ottenere naturalezza, utilizzando attori non professionisti, è a scapito di un’accettabile resa nella costruzione dei personaggi. Già nel suo primo lungometraggio, La tirisia (2014) aveva dimostrato di mettere in primo piano l’impegno senza curarsi troppo della messa in scena – era basato sulle storie di centinaia di donne costrette a vendere i propri figli per sostenere le loro famiglie e tenersi il proprio compagno – anche allora di scarso livello. La speranza è che prima o poi riesca a realizzare un prodotto che si avvicini alla sufficienza. Sullo sfondo di un villaggio in cui si sopravvive grazie a qualche bagnante che mangia nei ristoranti sul mare o per le semplici attività commerciali, si sviluppa una storia melodrammatica incapace di coinvolgere. Giovanna e Maddalena condividono Neri, un uomo che ha saputo conquistarle. La malattia della prima darà all’altra la forza per riprendere la propria vita in mano rinunciando a lui.
un filosofo en la arena-149261653-largeUn filósofo en la arena (Un filosofo nell’arena, 2017) è un documentario sicuramente ben realizzato e basato su di una sceneggiatura costruita in maniera corretta ma che punta troppo su scene ad effetto per conquistare il pubblico alle tematiche che vuole difendere. I realizzatori, Aarón Fernández e Jesús Muñoz, sono professionali con buona esperienza in questo tipo di film. Hanno realizzato un’opera a favore della tauromachia che utilizza varie volte scene violente di macelli o di disumani allevamenti intensivi per dimostrare che nella corrida il toro è un combattente e muore con dignità, lottando fino all’ultimo, sicuramente una vita fortunata. Il distinguo non è sulla tesi difesa ma come essa venga presentata senza proporre un vero contraddittorio. Vi sono varie brevi interviste a persone prese dalla strada; peccato che i contrari a questa Arte tanto discussa e, forse, discutibile facciano sempre la figura di perfetti idioti. Dopo essere andato in pensione il filosofo francese Francis Wolff, un grande fan della corrida, decide di intraprendere un viaggio attraverso la Francia, il Messico e la Spagna con due cineasti messicani che non sanno nulla di quel mondo che sembra avere i suoi giorni contati. Durante varie settimane incontrano diversi personaggi con cui riflettono sul rapporto degli esseri umani con gli animali e la natura, sul significato di questo itinerario, che è la vita, e sul nostro rapporto con la morte.
La incertitudeLa Incertidumbre (L’incertezza, 2018) è il film di minore qualità presentato fino ad ora. Diretto da Haroldo Fajardo qui al suo terzo titolo, cerca di trovare una sua esteriorità da d’essai attraverso l’uso di un bianco e nero che non riesce mai ad essere importante per la narrazione. Script confuso, interpreti poco credibili, musiche scontate e a tratti insopportabili. Gerardo è il vocalist di una rock band che è stata invitata a suonare al Festival di Interference, il più importante del paese. La notorietà che questo invito comporta immerge Gerardo in una spirale di eccesso e autodistruzione.