37° Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano 2015 - Pagina 8

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37° Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano 2015
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yo still -sept 05Yo (idem) diretto dal trentaseienne messicano Matías Meyer basa quasi tutta la sua forza sulla convincete interpretazione Raul Silva Gomez, attore che merita la massima attenzione. Ambientato in quel nulla che può essere un ristorante su una strada trafficata da camion, delinea perfettamente quel mondo in cui niente può cambiare, tutto si ripete monotonamente, non esiste la possibilità di trovare svaghi e il primo paese è ha diversi chilometri. Qui ogni giorno scorre come il precedente. Protagonisti una madre single, non è dato a sapere se separata o ragazza madre, e un figlio che dice di avere quindici anni ma ne ha molti di più. Yo è un giovane molto forte, ma con capacità mentali limitate. Vive e lavora nel ristorante di famiglia (ammazza le galline in uno strambo modo), vuole bene alla madre ma odia l'uomo che divide con lei il letto. Viene assunta una donna per dare una mano a servire a tavola e questa porta al lavoro la figlia di undici anni, Elena. Ben presto i due diventano compagni di giochi col rischio che Yo non capisca i limiti tra scherzi innocenti e un comportamento equivoco. L’amico della madre lo costringe ad andare a lavorare nell’edilizia dove si fa benvolere da tutti, E’ accompagnato in un karaoke dove una giovane prostituta gli fa conoscere l’amore. Tutto andrebbe bene se il ragazzo non provocasse involontariamente la morte di un’amica che fa la vita e che si scopre essere uomo. Delicato, drammatico, comico, coinvolgente. Al suo terzo lungometraggio questo regista dimostra una buona maturità e sicurezza nell’utilizzo degli attori.
laselegidas2 2Las elegidas (Le elette), diretto dal trentatreenne messicano David Pablos, è un film a tratti disturbante per l’argomento trattato, anche se ogni cosa viene raccontata con lievità senza utilizzare le occasioni fornite dalla storia per immagini pruriginose. Nel suo debutto nel lungometraggio questo regista dimostra di avere acquisito linguaggio e metrica cinematografica equilibrati ed efficaci. Utilizza attori professionisti e no, in un perfetto cocktail in cui si mescolano ottimamente la sicurezza dei personaggi negativi con il timore delle pecorelle sacrificate sull’altare della prostituzione. Scrivendo la sceneggiatura, il regista ha creato questa famiglia perfetta con un padre molto presente, un figlio sposato, un altro che inizia a lavorare nell’azienda familiare. La madre è affettuosa, vive con serenità e piacere la sua posizione di middle class in cui si è inserita grazie al lavoro dei suoi cari. Peccato che questa famiglia perfetta ottenga illeciti guadagni costringendo alla prostituzione minorenni fatte innamorare da uno dei figli, raggirate e rese schiave. Tutto funziona perfettamente fino a quando Ulisse, giovane ed ancora non completamente corrotto, trova l’amore in una delle ragazze vendute come merce a chi può pagare le loro prestazioni. Lei si chiama Sofia e ha quattordici anni, è innamorata di lui ma può fare ben poco contro le ferree regole di questa struttura organizzata in cui vigono vincoli da cui non si può sgarrare. Il padre accetta che il figlio liberi la ragazza, a patto che lui gliene ne procuri un’altra. Da qui inizia la parte più drammatica del film col ragazzo che deve fare innamorare una ragazza e portarla verso il baratro. Momenti di disperazione, ma il desiderio di ottenere per sé e per Sofia una vita migliore lo aiuta in questa terribile azione. Il film è ben girato – il regista ha una preparazione cinematografica maturata negli Stati Uniti – ma ha, come molte produzioni latinoamericane, il difetto di non disdegnare il melò.