37° Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano 2015

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Sito del festival:http://www.habanafilmfestival.com/

37mo Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano.

manifestoDal 3 dicembre e fino al 13 L’Avana veste gli abiti di capitale del cinema latinoamericano. La 37° edizione del Festival del Nuevo Cine Latinoamericano è la prima del dopo embargo, e vi è molta attesa per vedere se e quali differenze saranno in essa presente. La scorsa edizione era stata caratterizzata dal abbandono della pellicola per le proiezioni effettuate in video: era uno dei pochissimi, forse l’unico grande festival, che non aveva rinunciato al contatto fisico col film. La prima edizione si era tenuta dal 3 al 10 Dicembre 1979, una intensa settimana che aveva ospitato più di 600 registi provenienti da tutta l’America Latina e aveva avuto come presidenti della giuria Gabriel García Márquez (Fiction) e Santiago Álvarez (documentari e cartoni animati). Nelle successive edizioni si è portata la durata di questa grande festa del cinema a 11 intensi giorni in cui L’Avana parla solo di cinema, e non solo nelle sale storiche in cui avvengono le proiezioni. Il Cine Charles Chaplin, il d’essay Yara, il Riviera, l’Ambassador e l’Arenal propongono la notevolissima quantità di titoli selezionati – solo in concorso nella sezione ufficiale sono 23 – il cui numero ogni anno aumenta.

La serata d’apertura e quella di chiusura saranno ospitati dal Teatro Karl Marx che con i suoi oltre 5.000 posti è il più grande del latinoamerica. Inaugurato il 30 dicembre 1949 il Teatro Blanquita (dal nome della moglie del proprietario del locale) è arrivato ad avere 6.500 posti. Per problemi economici aveva chiuso nel 1955. Dopo la Rivoluzione, nei primi anni ’60 è stato riaperto con l’attuale nome. Il 17 Dicembre 1975 ospitò il Primo Congresso del Partito Comunista di Cuba. Il Festival si propone di individuare e diffondere film che contribuiscono, per contenuti e valori artistici, all'arricchimento e alla riaffermazione dell'identità culturale latinoamericana e caraibica. Molteplici sono le sezioni in concorso con titoli di fiction, documentari. Animazione, opera prima, sceneggiature originali e poster. Inoltre, vi saranno più di un centinaio di incontri e seminari su diversi argomenti di interesse culturale che sono seguiti soprattutto dagli studenti delle varie scuole di cinema cubane. Il Festival ospita un’ampia selezione di film recenti provenienti da tutto il mondo anche se nella Sezione ufficiale vengono privilegiati i titoli caraibici e latinoamericani. La corposa sezione ufficiale prevede vari premi assegnati da giurie in cui sono presenti, oltreché specialisti del cinema, intellettuali di buon nome. I Gran Coral, il premio che simboleggia il corallo delle grandi barriere particolarmente diffuse nel Mar dei Caraibi, è il premio assegnato nelle varie sezioni. Come spesso capita nei Festival di tutto il mondo, i titoli forse più interessanti si trovano nelle sezioni senza competizione dove vengono inseriti sia titoli troppo sfruttati per essere selezionati per entrare in concorso che altri realizzati da indipendenti che non hanno la forza di imporsi nella scelta della rosa di quelli in concorso.
La Sezione Latinoamérica en perspectiva (Latinoamerica in prospettiva) è il contenitore di maggiore capacità in cui vengono inserite innumerevoli sottosezioni.
- Los colores de la diversidad (I colori della diversità)
La diversità nelle sue molteplici accezioni come oggetto di dibattito e di rivendicazione.
- Música, cámara, acción (Musica, cinepresa, azione)
Attraverso film e documentari il suono magico di questa regione che racchiude paesi differenti uniti dallo stesso rapporto con suoni e ritmo.
- Ciudades y otros paisajes (Città ed altri paesaggi)
Storie in cui lo spazio proposto da città e natura diventa protagonista delle vicende umane.
- Éxodos (Esodi)
Migrazioni e altri spostamenti nel contesto latinoamericano raccontati attraverso tecniche narrative differenti
- Memoria (idem)
La storia come esercitazione di riscatto e di riflessione critica attraverso un approccio generazionale.
- Vanguardia (Avanguardia)
E’ una delle sottosezioni più interessanti che hanno fatto conoscere, nel corso degli anni, nomi divenuti importanti per la cinematografia internazionale. Sono opere visionarie che esplorano nuovi temi e nuove forme di linguaggio filmico.
- Cinemateca latinoamericana (Cineteca latinoamericana)
Documenti che fanno meglio conoscere le origini del cinema cubano. L’ICCAI, l’istituto statale del cinema di Cuba, è stato inaugurato tre mesi dopo la rivoluzione e, con i suoi filmati, ha seguito passo a passo lo sviluppo di un cinema di qualità e di un paese unico al mondo.
- Para todas las edades (Per tutte le età)
Il cinema pensato per un pubblico infantile e di adolescenti. Nell’Avenida dei cinema c’è un locale con 500 posti, tinteggiato di colori rasserenati e con tanti disegni alle pareti, che tutto l’anno propone cicli per le scuole al mattino e film familiari al pomeriggio. A Cuba il cinema lo si insegna già dai primi anni di vita.
- Arte y tradición (Arte e tradizione)
Nel latinoamerica l’arte si coniuga con la tradizione, creando prodotti che parlano al cuore ma, soprattutto, che cercano di tenere viva la tradizione.
- A sala llena (A sala piena)
Un’occasione per il grande pubblico di vedere o rivedere i maggiori successi della stagione.
- A medianoche (A mezzanotte)
Un Must di molti Festival. Dopo la mezzanotte incursioni nel ambito del cinema fantástico con tinte horror e sapore terrorifico.
- Historias de violencia (Storie di violenza)
Emarginazione, fratture familiari e l'intolleranza. Titoli che si occupano del drammatico scenario dell’aggressione e della denuncia.
- Cuestion de fe (Questione di fede)
E’ noto che Cuba è paese molto cattolico ma anche aperto ad altre religioni: quando era in vita il precedente presidente del Festival, Alfredo Guevara, veniva sempre officiato un rito infrareligioni. Il tema qui trattato è il sacro e la sua rilevanza sia nel privato che nella vita popolare.
- En sociedad (Nella società)
Comunità umane, incontro e spesso scontro, nell'intersezione tra privato e pubblico
- La hora del corto (L’ora del corto)
Moltissimi i titoli, tante le possibilità di incontrare lavori interessanti. L’unità tra le varie opere viene donata dalla lunghezza, massimo 30 minuti. Per il resto massima libertà nella scelta dei temi e delle tecniche narrative.
- SOS: medioambiente (SOS, ambiente)
Il deterioramento dell'ambiente, l'ordine pubblico e l'attivismo ambientale nella regione attraverso documentari ma anche reportage.
- Deportivamente (Sportivamente)
Lo scenario sportivo, le sue gioie e le ombre in ritratti curati nella scelta dei temi da trattare.
Oltre a questa incredibile sezione, tante altre a cui si aggiungono mostre, incontri, lezioni di cinema, tavole rotonde, stage di perfezionamento, presentazione di libri e riviste.
Il Festival dell'Avana ospiterà la prima parte di una retrospettiva dedicata a Marco Bellocchio molto amato a Cuba e definito dagli organizzatori “singolare figura del cinema italiano del dopoguerra, che da I pugni in tasca (1965), ha accumulato una lunga filmografia basato sullo studio e critica della istituzione borghese, i suoi valori, la storia e la sua rappresentativa. Questo omaggio coincide con il cinquantenario dalla sua opera del debutto.”
Ecco i titoli in concorso nella sezione ufficiale:
Ausência (Ausencia) - Brasile, Cile, Francia – Regia di Chico Teixeira
Boi Neon (Toro de neón) - Brasile, Uruguay, Olanda - Regia di Gabriel Mascaro
Campo Grande - Brasile, Francia - Regia di Sandra Kogut
Cuba libre – Cuba - Regia di Jorge Luis Sánchez González
El abrazo de la serpiente - Colombia, Venezuela, Argentina - Regia di Ciro Guerra
El acompañante - Cuba, Venezuela, Colombia, Francia, Panamá Regia di Pavel Giroud
El Bosque de Karadima - Cile, Argentina - Regia di Matías Lira
El Clan - Argentina, Spagna - Regia di Pablo Trapero
El club - Cile - Regia di Pablo Larraín
Eva no duerme - Argentina, Francia, Spagna - Regia di Pablo Agüero
La cosa humana - Cuba, Perú - Regia di Gerardo Chijona
La luz incidente - Argentina, Francia, Uruguay - Regia di Ariel Rotter
La memoria del agua - Cile, Spagna, Argentina, Germania - Regia di Matías Bize García
La obra del siglo - Cuba, Argentina, Germania, Svizzera - Regia di Carlos Enrique Machado Quintela
Las elegidas - Messico, Francia - Regia di David Pablos
NN - Perú, Colombia, Francia, Germania - Regia di Héctor Gálvez
Paulina - Argentina, Brasile, Francia - Regia di Santiago Mitre
Que horas ela volta? (La segunda Madre) -  Brasile - Regia di Anna Muylaert
Que viva la música - Colombia, Messico - Regia di Carlos Moreno
Te prometo anarquía - Messico, Germania - Regia di Julio Hernández Cordón
Un monstruo de mil cabezas - Messico - Regia di Rodrigo Plá
Vuelos prohibidos - Cuba, Francia - Regia di Rigoberto López Pego
Yo - Messico, Canada, Svizzera, Repubblica Dominicana - Regia di Matías Meyer


el-clan-706665 tnLa trentasettesima edizione del Festival de Cine Latinoamericano ha avuto inizio ieri sera, con un tutto esaurito, nel mitico Teatro Karl Marx, un nome che conferma le immutate intenzioni del governo cubano di mantenere viva anche nella era nuova del dopo embargo cultura, tradizione ed idee politiche. Oltre cinquemila persone creano emozioni e atmosfere che si vivono intensamente ma quasi impossibili da raccontare. L’orchestra sinfonica de la Universidad de las Artes de La Habana ha aperto la serata seguita dalla consegna a Geraldine Chaplin - Presidente della Giuria Ufficiale - il premio quale migliore attrice riconosciutole nella precedente edizione e non ritirato, e dalle immagini create con la usuale bravura dal ICCAI, l’istituto cinematografico cubano che festeggia i 57 anni di attività, gli stessi della rivoluzione castrista. Il ricco programma del Festival prevede ben 444 titoli e oltre 1500 proiezioni. Per l’inaugurazione, presente il regista ed il produttore, è stato scelto il film El clan (Il clan) di produzione argentina spagnola diretto dal cinquantaquattrenne Pablo Trapero in cui si parla di uno dei momenti più drammatici e difficili del suo paese dove la violenza e la malavita erano accettate dalle autorità e, forse, addirittura aiutate. Il film ha vari importanti riconoscimenti tra cui la menzione della giuria di Toronto e il Leone d’argento quale migliore regista alla ultima Mostra di Venezia. Il pubblico lo ha gradito tanto da essere il secondo film per incassi di tutta la storia in Argentina, Cile e Uruguay. L’autore ha detto: chi veniva invitato in quegli anni nel quartiere di San Isidro a Buenos Aires, se conosceva Alessandro Puccio pensava che sarebbe stato più che tranquillo. Le persone ricche o con potere erano, invece, a rischio di rapimento, rapimenti e omicidi tanto frequenti che colpirono emotivamente anche il popolo. La Polizia investigò dal 1982 al 1985 e scoprì, con grande difficoltà, i crimini di questa famiglia per bene che per motivi ideologici e, ovviamente, per il denaro, era divenuta una terribile ed incontrollabile minaccia. Il film è molto bene costruito, con alcuni spezzoni documentaristici che danno ancora maggiore veridicità a quanto raccontato. Ci sono tutti gli elementi per essere gradito: dramma, thriller, love story, denuncia, biografia, scene di azione. Argentina, primi anni ottanta. Dietro la facciata perbene di una famiglia tradizionale del quartiere di San Isidro si nasconde un terribile clan che su dedica al rapimento e all'omicidio di persone che conosce e frequenta. Archimede, il patriarca decide ed organizza tutta la parte operativa come in una qualsiasi azienda ottenendo anche ottimi guadagni. Alessandro, il figlio maggiore è molto amato quale campione sportivo noto a tutti per essere il miglior atleta del club Casi e giocatore della squadra de Las Pumas (I puma) usa la sua popolarità per identificare i potenziali candidati senza destare sospetti e segnalarli al padre. I membri della famiglia, tutti complici in misura maggiore o minore non fosse altro per omertà, vivono grazie ai ricchi riscatti pagati dai parenti degli ostaggi. Il soggetto, basato sulla vera storia della famiglia Puccio, è bene inserito negli ultimi anni della dittatura militare e dei primi passi verso la democrazia. La denuncia maggiore la si ha quando nel finale, si scoprono le pene che hanno scontato i vari colpevoli di tanti efferati delitti e rapimenti, crimini che avevano distrutto l’equilibrio di un quartiere sempre ritenuto tranquillo.


Cuba-Libre-SmallCon la presentazione di tre titoli in concorso con stili, contenuti e possibilità di piacere molto diversi tra loro si è entrati nella giusta atmosfera della trentasettesima edizione del Festival. Cuba libre (idem) del cinquantacinquenne Jorge Luis Sánchez González è film biografico dedicato al bisnonno del autore che quel particolare periodo lo aveva vissuto in prima persona. E’ una fase storica cubana poco nota anche se molto importante per gli strascichi che ha lasciato fino ai giorni nostri soprattutto su alcuni diritti ottenuti dagli Stati Uniti e mai persi nel corso degli anni. Giovanissimo, l’autore era particolarmente attivo nei cineclub e, a soli 21 anni, è entrato ufficialmente nell’istituto di cinema statale come assistente alla regia per poi passare a dirigere vari corti e documentari presentati in Festival internazionali e debuttare con El Benny (Il Benny, 2006) selezionato da quello di Locarno. La sua capacità di raccontare fatti storici lo ha aiutato nello sviluppo di quest’opera ma lo ha limitato nella capacità narrativa, creando un testo interessante per l’argomento trattato non per la qualità di un prodotto adatto più alla televisione che al cinema. Cuba, 1898. Samuel e Simon sono due bambini che, dopo la sconfitta e la partenza della Spagna alla fine della Guerra di Indipendenza, vivono intensamente il momento in cui gli americani si comportano come un esercito di occupazione. Fingono di instaurare una democrazia ma cercano di imporre il capitalismo. Molti gli errori nella costruzione dei personaggi come, ad esempio, militari statunitensi che sfoggiano un accento molto poco credibile.
Memoria del AguaLa memoria del agua (Il ricordo dell’acqua), diretto dal trentaseienne cileno Matías Bize García, è una commedia psicologica basata sulla crisi di una innamoratissima coppia che perde la felicità e si separa dopo un tragico incidente che mette in discussione le loro vite e il loro rapporto. Quando una nuova opportunità si presenta, quasi fosse inviata dal cielo, capiscono che il passato non va dimenticato. Spesso, purtroppo, le buone intenzioni non creano un film valido e, in questo caso, da un soggetto interessante non nasce un’opera coinvolgente. Oltretutto, film vorrebbe giocare su un finale a sorpresa tanto ingenuo in quanto prevedibile sin dalle prime battute. I due continuano ad amarsi ma non potranno mai più vivere assieme. L’accoglienza del pubblico, nonostante la presenza in sala del regista, è stata tiepida.
Campo Grande della cinquantenne brasiliana Sandra Kogut è sicuramente il più interessante della terna anche se richiede una certa dedizione da parte del pubblico. Come spesso accade, i registi si innamorano della loro opera, soprattutto se è la prima che dirigono, e non sono in grado di gestirla al meglio. Con venti minuti in meno il film avrebbe raggiunto un altro tipo di gradimento. La regista è un’artista visuale di fama mondiale e ha lavorato Campo grandeanche in Italia. Nel cinema ha fatto cose eccellenti come il documentario Parabolic People (Gente parabolica, 1991) e altri sei titoli presentati in vari Festival. Questo è il suo debutto nel lungometraggio con un tema delicato e difficile da trattare per la presenza di vittime incolpevoli vittime, due fratellini che devono affrontare da soli la vita, che vengono dalla provincia e devono affrontare la caotica Rio De Janeiro. Ygor ha otto anni, la sorellina Rayane sei: sono lasciati dalla madre alla porta della Signora Regina, nel quartiere residenziale di Ipanema, con un foglietto in mano che riporta nome ed indirizzo della donna ma nulla che permetta di capire se e come la madre dei ragazzini conosca la destinataria dei due piccoli. I ragazzini non hanno dubbi sul fatto che la madre li verrà a riprendere e per questo si sentono forti tanto da essere ostili a chi li ha accolti, seppure controvoglia. L'emergenza improvvisa e inaspettata di questi bambini appartenenti, oltretutto, ad un ceto molto diverso da quello della padrona di casa, crea tensioni ma anche complicità tra lei e la figlia ventenne. Alla fine, la donna si arma di coraggio e cerca di trovare la madre transfuga in una città, Campo Grande, quasi irriconoscibile a causa della delle trasformazioni che hanno distrutto l’antico per sostituirlo con una modernità priva di anima. Grazie ai ragazzini scopre un mondo a lei sconosciuto ma riesce a capirlo e amarlo nella sua complessità. Bravissima Carla Ribas, spontanei e molto credibili i due bambini debuttanti nel magico mondo del cinema.


Ti prometto anarchiaOggi sono stati proposti titoli, soprattutto quello diretto dal regista cileno Pablo Larrain, che hanno buone possibilità di ottenere qualche premio. Omosessualità, thriller e rapporti difficili tra emarginati sono i temi principali di tre opere quantomeno interessanti, storie molto presenti nel cinema latinoamericano che si interroga su diversità, desaparecidos e Chiesa vista come mondo in cui alle volte il peccato si annida nelle persone che dovrebbero giudicare i penitenti. Te prometo anarquía (Ti prometto anarchia) del quarantenne guatemalteco Julio Hernández Cordón, noto soprattutto per il suo film del debutto Km. 31 (2003), è una coproduzione messicano - tedesca che vorrebbe essere di denuncia del mercato illegale del sangue ma che si limita a raccontare e far vedere il grande amore omosessuale tra due adolescenti, amici da sempre. Accettabile come impostazione, non trova un finale plausibile e si perde in ingenuità forse accettabili in un debuttante non in un regista di esperienza. Amici e amanti, Michael e Johnny sono assieme fino dall'infanzia. Passano il loro tempo ad andare con lo skate board in giro per Città del Messico guadagnando denaro facile vendendo il loro sangue sul mercato illegale. L’attività diventa business fino a quando una operazione, in cui hanno coinvolto decine di donatori, non va come previsto e Michael è mandato fuori città da sua madre che spera possa iniziare una nuova vita lontano dall’amico. Così non è. Personaggi grotteschi, soluzioni narrative non supportate dalla sceneggiatura, l’ostentazione dell’omosessualità vista solo nell’esteriorità sessuale, rendono il film noioso e, a tratti, poco sopportabile.
NN-Sin-Identidad-posterNN del peruviano Héctor Gálvez vuole raccontare il dopo desaparecidos attraverso il ritrovamento dei resti di un uomo. Saldamente costruito, ottimamente interpretato da Paul Vega, è un onesto prodotto a cui si assiste senza troppe recriminazioni. Il regista, la cui opera prima Paraíso (Paradiso, 2009), era stata presentato in prima mondiale nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, dimostra di conoscere il mestiere e, pur utilizzando alcune divagazioni poco logiche, racconta in maniera corretta una storia che emoziona ma non cade mai nel melò. I resti di un uomo sui trent’anni di, cui non si conosce l’identità, sono stati esumati, ma l’identificazione appare quasi impossibile. Il gruppo di studio, capitanato da un medico legale, non si limita alla parte medica, ma si occupa anche di quella investigativa. L’unica traccia che possono seguire è scoprire chi raffigura una foto che il morto aveva nel taschino della camicia: una ragazza sorridente sui venti anni. Si presenta una donna convinta possa essere il marito scomparso nel nulla nel gennaio del 1988 e il medico cerca di aiutarla a trovare una nuova identità di vita. L’aiuta dandole la possibilità di seppellire i resti di un uomo che lei è convinta essere il marito.
El club (Il club) di Pablo Larraín è fino ad ora il film più interessante presentato nella sezione ufficiale. Il trentanovenne cileno è nome che ha saputo imporsi in pochi anni sulla scena internazionale del cinema dopo essere stato molto premiato per la sua attività nella pubblicità. E’ una forza della natura, un autore che ha saputo imporre la sua firma stilistica anche quando ha prodotto per la HBO la serie Profugos (Profughi) sulla situazione di chi deve fuggire dalla Patria per non soccombere. Conosciuto soprattutto per il bellissimo Tony El Club-poster1Manero (2010) – il suo protagonista Alfredo Castro è tra gli interpreti di questo nuovo film – tratta sempre temi difficili e scomodi con bravura assoluta. Parla di quattro uomini che vivono isolati in una piccola casa di una città costiera. Ognuno di loro ha commesso un peccato, ed è diventato prigioniero della propria identità. Ora vivono seguendo rigide regole, sotto l'occhio vigile di una donna che si prende cura di loro. La fragile stabilità della routine viene interrotta dall'arrivo di un quinto uomo, un nuovo compagno di sventure, che porta in primo piano un passato che tutti credono essere ormai dimenticato. I quattro sono preti accusati di pederastia, di rapimento e commercio di neonati, di omosessualità su minorenni e così via. La donna è una suora che ha qualcosa da nascondere, l’uomo che crea lo scompenso è un nuovo arrivato di cui poco si sa ma che viene riconosciuto da un pescatore del luogo come il suo violentatore quando aveva otto anni e, per la vergogna, l’ex prete si suicida. Tutto questo accade nei primi minuti; man mano il dramma – seppure a tratti con atmosfere da commedia – si sviluppa a causa dell’arrivo di un gesuita, psicologo, che indaga su quella morte. Sceneggiatura perfetta, attori ai massimi livelli. Ha vinto l’Orso d’argento alla Berlinale - Gran Premio della Giuria.


lacosahumnacartel001La cosa humana (La cosa degli uomini) di Gerardo Chijona è una buona commedia che, partendo dai temi di diversità sociale, riesce a fare sorridere o ridere. Il sessantaseienne regista, molto noto non solo a Cuba, ha una notevole esperienza nel mondo del cinema soprattutto come assistente alla regia, autore di documentari prima di debuttare con Adorables mentiras (Adorabili bugie, 1999) nel lungometraggio ottenendo il premio quale migliore sceneggiatura di questo festival. Una coppia di giovani ladri rubano un manoscritto originale, redatto di suo pugno dal romanziere e di cui non ci sono copie. Uno dei due, che ha sempre avuto il desiderio di divenire scrittore, legge estasiato il racconto e decide di presentarlo come suo in un concorso letterario in cui il primo premio sono cinquemila euro. Il bando richiede che sia presentato un documento scritto col computer, per cui il giovane e si iscrive ad un corso per imparare ad usare questo strumento. Caso vuole che la docente sia la moglie del derubato. Mentre copia lo scritto, aggiungendovi idee sue, trasferisce le sue emozioni nel racconto e vince battendo lo stesso scrittore che aveva partecipato anche lui al concorso. Di più non è possibile dire, ma un happy end non troppo forzoso chiude il film. Gradito dal pubblico, è risultato bene accetto anche dai critici. Meriterebbe una distribuzione in circuiti più o meno commerciali per fare capire che la classica commedia cubana è ancora viva e vegeta, capace di divertire e di coinvolgere.
la-luz-incidente-estrenosLa luz incidente (La luce che ti colpisce) del quarantaquattrenne argentino Ariel Rotter è un dramma che non sempre riesce ad essere convincente e presenta non poche cadute in atmosfere da telenovela raffinata. Girato in bianco e nero e ambientato probabilmente nei primi anni sessanta, punta troppo sul doppio dramma della protagonista per riuscire ad essere interessante. Dopo pochi minuti, pur comprendendo il dolore che sta vivendo la protagonista, avviene un certo distacco da lei e dai suoi problemi, molti dei quali creati con una sana dose di masochismo che la rende infelice anche nei momenti più sereni. Nelle scene eccessivamente cariche di drammaticità, un po’ di genere, ci sono state molte risate da parte del pubblico. Eppure il film è ben girato, validamente interpretato. Quello che manca è la capacità di sceneggiatura e regia di creare qualcosa di realmente interessante. Presentando la sua opera il regista ha detto che per cinque anni è stato dubbioso se girarlo, probabilmente tratta di temi che emotivamente lo hanno coinvolto troppo e non gli hanno permesso il giusto distacco da quanto raccontato. Dopo incidente che priva Luisa del marito, la donna non riesce a rifarsi una vita. Oltretutto, accudisce in maniera maniacale le sue gemelline con problemi di handicap e rifiuta di accettare una nuova serenità. Un uomo ricco, elegante e innamoratissimo le fa la corte, adora le bambine, vorrebbe creare con lei una nuova famiglia. Questa situazione le causa gravi dubbi e riaccende il dolore sopito: forse con l’aiuto della madre del marito troverà il coraggio di affrontare una nuova vita di coppia.
un-monstruo-de-mil-cabezas-2015-posterUn monstruo de mil cabezas (Il mostro dalle mille teste) è il film più che interessante diretto dal quarantasettenne regista messicano – nato in Uruguay - Rodrigo Plá e di cui abbiamo già parlato dalla Mostra di Venezia. Tra le tante opere interessanti che ha realizzato basterà ricordare La zona (Il quartiere, 2008) in cui denunciava l’extraterritorialità creata in condomini di lusso dotati di Polizia privata a cui tutto era permesso. Qui si occupa delle Assicurazioni private in Messico, ma potrebbe essere ambientata in altre parti del mondo, enti che, per aumentare i ricavi, negano, persino in casi gravi, prestazioni troppo care. Sonia è sui quarantacinque anni e vive il dramma del marito sofferente a causa di un tumore. L’uomo viene portato durante una crisi in ospedale e lì, dopo il primo intervento, le dicono di sentire il medico delle assicurazioni che coordina le cure al marito. Tenta varie volte di contattarlo, non ci riesce, lo segue in taxi fino a casa sua e, quando lui le nega aiuto, lei estrae una pistola per ottenere quello che le spetterebbe. L’uomo non può autorizzare ma la donna non si scoraggia: raggiunge e minaccia il Presidente della Società, il responsabile delle risorse umane per giungere a un funzionario che può mettere la prima firma ma che ha bisogno di un'altra persone che apponga la seconda. Sempre ostaggio della donna, il Presidente inizia a parteggiare per lei. Finale beffardo. Bella costruzione narrativa, un ritmo notevole, tensione sempre presente per un film realmente bene congegnato.


Lopera del secoloLa obra del siglo (L’opera del secolo) è diretto dal trentunenne Carlos Enrique Machado Quintela ed è film che naviga nella fiction con vari interventi documentaristici. Basato cortometraggio El vuelo del mosquito, realizzato al inizio di quest’anno dallo stesso regista, è un film molto borioso con uno stile che sembra volere raccontare più la bravura dell’autore che non di una gravissima vicenda che tuttora, dopo più di trent’anni, ha strascichi molto gravi. Si parte con atmosfere da commedia per inserire man mano momenti drammatici. Nei blocchi multifamiliari della città costruita per ospitare i lavoratori addetti ad una centrale nucleare vi sono nugoli di zanzare portatrici di gravi malattie. Due campagne di fumigazione dovrebbero ripulire uno dei tanti appartamenti e, attraverso questa operazione, si inizia a parlare della centrale nucleare nata in dieci anni di lavoro (fu terminata nel 1992) frutto della cooperazione cubano-sovietica e che aveva lo scopo di dare vita al primo reattore nucleare nei Caraibi. Funzionò, data la pericolosità, per pochissimo tempo, ma ora servirebbero centoventi milioni di dollari per bonificare il tutto. La storia viene raccontata attraverso la vita di tre uomini solitari che dividono quell’appartamento e che, forse, non si rendono neppure conto della drammaticità della loro situazione. Cambio di formato dell’immagine con passaggi da quello a francobollo, dedicato alla parte documentaristica, costruzione narrativa classica un po’ superata e la sensazione che si poteva fare decisamente meglio.
AusenciaAusência (Assenza) del cinquantasettenne brasiliano Chico Teixeira è molto ben realizzato e si basa su di un dramma della quotidianità, di quelli vissuti senza clamore ma con gravi ripercussioni per i protagonisti. Una madre ancora giovane, diventata forte bevitrice dopo essere stata abbandonata dal compagno, un figlio costretto a sentirsi adulto nonostante abbia meno di quattordici anni, il fratellino che vede in lui un padre, la madre e l’unico vero amico. E’ un dramma familiare, sentimentale, sessuale vissuto quotidianamente. Attraverso una serie di momenti della vita il ragazzo scopre un mondo parallelo in cui chi tenta di raggiungere la normalità rischia di soccombere. Il giovane abbandona la scuola per guadagnare qualcosa lavorando per lo zio in un mercato di strada, condivide le sue emozioni con gli amici Mudinho e Silvinha, stabilisce un rapporto complesso - tra l’affettivo e il sessuale - con un giovane professore a cui consegna la spesa. L’assenza che dà il titolo al film è legata alla mancanza di affetto subita dal protagonista che cerca disperatamente un abbraccio della madre, lo mendica dall’insegnante e si sente sempre più solo quando la donna decide di tornare a Bahia col figlio minore lasciandolo da solo. E’ una storia ben racconta, emotivamente coinvolgente ma che dura quei venti minuti di troppo per poterla considerare realmente interessante.
caffe amaroLa sezione che come interesse si pone subito dopo quella ufficiale, è dedicata alle opere prime, qui dove i debutti nella regia non sono necessariamente da giovanissimi. Ne è una riprova un film cubano Café Amargo (Caffè amaro) diretto dal quarantasettenne Rigoberto Jiménez Hernàndez, un documentarista di ottimo livello. Ambientato in una piantagione di caffè nel 1958 mentre la Rivoluzione sta muovendo i primi passi, è tratto da una storia vera che è servita unicamente quale ispirazione agli sceneggiatori. Quattro sorelle mandano avanti la piccola attività di famiglia con ritmi uguali da sempre, poche le emozioni e una vita molto tranquilla. Si presenta alla loro porta un ribelle braccato dai militari – i suoi compagni sono stati uccisi – un giovane medico che ha abbandonato una vita comoda e agiata per il suo credo politico e sociale. Dapprima diffidano di lui che, ben presto, conquista la fiducia di tutte ma anche l’amore di una delle sorelle. Quando si accorgono di rischiare troppo, allontanano l’uomo e da qui sfocia un dramma. Il film prosegue quarant’anni dopo con le donne ormai vecchie e la spiegazione di quanto era accaduto in quel brutto giorno del 1958. Il neo regista ha molto da imparare, le attrici dicono non recitano le battute, poche sono le emozioni che si vivono anche se il film migliora notevolmente negli ultimi minuti, quando le giovani sorelle sono sostituite da esperte attrici cubane. Il film è stato realizzato con la collaborazione della Scuola di Cinema di San Antonio, forse la migliore di Cuba dopo quella de La Havana.


L-accompagnatoreEl acompañante (L’accompagnatore) di Pavel Giroud ha toni da piacevole commedia uniti a drammaticità ben costruita ma con alcune cadute nel melò. Il quarantatreenne regista cubano dimostra di conoscere bene il mestiere tanto da riuscire anche a fare sorridere con temi molto difficili. La scelta del personaggio principale, figlio di un generale senza cuore, è un po’ forzata ma, probabilmente, è funzionale per il pubblico dell’isola che sicuramente saprà riconoscere nei personaggi figure ben precise. Il regista conosce perfettamente tutti i mestieri del cinema e riesce ad ottenere dai suoi collaboratori un prodotto di livello internazionale. Racconta di quanto avevano fatto le autorità cubane agli inizi degli anni ottanta per tentare di arginare il diffondersi del AIDS, sistemi costrittivi e strutture chiamate sanatori ma con molte caratteristiche di un carcere. Horacio Romero, il più grande pugile cubano del momento, è trovato sieropositivo ad un test per la droga. La sua punizione è iniziare a lavorare a Los E arrivata mia figliaCocos, un sanatorio in cui i pazienti di AIDS vengono ricoverati obbligatoriamente e dove una volta la settimana possono uscire con un accompagnatore. Il pugile diventa uno di loro e, in particolare, deve funzionare come angelo custode di Daniel – figlio di un ufficiale che si vergogna di lui - che contesta chi lo ha inviato a combattere in Congo considerandolo un eroe per poi togliergli i suoi diritti di essere umano. I loro interessi si scontrano perché il carceriere potrà essere reintegrato nel mondo sportivo solo se il giovane si comporterà bene mentre Daniel vuole vivere i suoi ultimi giorni in libertà ed è disposto a tutto pur di realizzare il suo sogno. Belli tutti i personaggi, anche la dottoressa a capo del progetto ed il perfido medico lui stesso contagiato dalla malattia. I rapporti umani tra queste persone che vogliono arrivare vive alla morte sono molto belli, con amori impossibili, liti furiose, amicizie vere. I protagonisti Yoyuel Romero e Armando Miguel Gomez sono perfetti, bravi gli altri. Gli sceneggiatori a tratti esagerano sugli effetti speciali visivi dei dopo pestaggi e rendono i volti delle persone grottesche macchie di sangue, ma, tutto sommato, sono peccati veniali.
Que horas ela volta? (Uscito in Italia nel giugno scorso con il titolo E' arrivata mia figlia) ha ricevuto applausi convinti e, con buona probabilità, potrà vincere il premio per la migliore interprete femminile. Diretto dalla bravissima cinquantunenne Anna Muylaert, questo film brasiliano poggia su di una sceneggiatura quasi perfetta in cui si uniscono commedia, gap generazionale, crisi di coppia, desiderio di un’amante giovane, figli segreti e così via.


yo still -sept 05Yo (idem) diretto dal trentaseienne messicano Matías Meyer basa quasi tutta la sua forza sulla convincete interpretazione Raul Silva Gomez, attore che merita la massima attenzione. Ambientato in quel nulla che può essere un ristorante su una strada trafficata da camion, delinea perfettamente quel mondo in cui niente può cambiare, tutto si ripete monotonamente, non esiste la possibilità di trovare svaghi e il primo paese è ha diversi chilometri. Qui ogni giorno scorre come il precedente. Protagonisti una madre single, non è dato a sapere se separata o ragazza madre, e un figlio che dice di avere quindici anni ma ne ha molti di più. Yo è un giovane molto forte, ma con capacità mentali limitate. Vive e lavora nel ristorante di famiglia (ammazza le galline in uno strambo modo), vuole bene alla madre ma odia l'uomo che divide con lei il letto. Viene assunta una donna per dare una mano a servire a tavola e questa porta al lavoro la figlia di undici anni, Elena. Ben presto i due diventano compagni di giochi col rischio che Yo non capisca i limiti tra scherzi innocenti e un comportamento equivoco. L’amico della madre lo costringe ad andare a lavorare nell’edilizia dove si fa benvolere da tutti, E’ accompagnato in un karaoke dove una giovane prostituta gli fa conoscere l’amore. Tutto andrebbe bene se il ragazzo non provocasse involontariamente la morte di un’amica che fa la vita e che si scopre essere uomo. Delicato, drammatico, comico, coinvolgente. Al suo terzo lungometraggio questo regista dimostra una buona maturità e sicurezza nell’utilizzo degli attori.
laselegidas2 2Las elegidas (Le elette), diretto dal trentatreenne messicano David Pablos, è un film a tratti disturbante per l’argomento trattato, anche se ogni cosa viene raccontata con lievità senza utilizzare le occasioni fornite dalla storia per immagini pruriginose. Nel suo debutto nel lungometraggio questo regista dimostra di avere acquisito linguaggio e metrica cinematografica equilibrati ed efficaci. Utilizza attori professionisti e no, in un perfetto cocktail in cui si mescolano ottimamente la sicurezza dei personaggi negativi con il timore delle pecorelle sacrificate sull’altare della prostituzione. Scrivendo la sceneggiatura, il regista ha creato questa famiglia perfetta con un padre molto presente, un figlio sposato, un altro che inizia a lavorare nell’azienda familiare. La madre è affettuosa, vive con serenità e piacere la sua posizione di middle class in cui si è inserita grazie al lavoro dei suoi cari. Peccato che questa famiglia perfetta ottenga illeciti guadagni costringendo alla prostituzione minorenni fatte innamorare da uno dei figli, raggirate e rese schiave. Tutto funziona perfettamente fino a quando Ulisse, giovane ed ancora non completamente corrotto, trova l’amore in una delle ragazze vendute come merce a chi può pagare le loro prestazioni. Lei si chiama Sofia e ha quattordici anni, è innamorata di lui ma può fare ben poco contro le ferree regole di questa struttura organizzata in cui vigono vincoli da cui non si può sgarrare. Il padre accetta che il figlio liberi la ragazza, a patto che lui gliene ne procuri un’altra. Da qui inizia la parte più drammatica del film col ragazzo che deve fare innamorare una ragazza e portarla verso il baratro. Momenti di disperazione, ma il desiderio di ottenere per sé e per Sofia una vita migliore lo aiuta in questa terribile azione. Il film è ben girato – il regista ha una preparazione cinematografica maturata negli Stati Uniti – ma ha, come molte produzioni latinoamericane, il difetto di non disdegnare il melò.


que-viva-la-musica-confirma-fecha-de-estreno-carlos-moreno opt2 Que viva la música (Evviva la musica) del quarantaseienne colombiano Carlos Moreno è film affascinante ma che divide il pubblico in entusiasti e completamente delusi. Bisogna sapere e volere leggere dietro un’esteriorità un po’ caotica per riuscire realmente a capire il significato di un testo in grado di emozionare come pochi. Si parla della buona borghesia, del problema di ragazzi a cui viene dato tutto dai genitori tranne l’amore, del desiderio di provare emozioni diverse per poi decidere, forse, se proseguire in questi momenti privi di freni inibitori, molto vicini all’autodistruzione, o tornare alla vita senza problemi ed emozioni in cui si erano adagiati. Droga quasi presente ovunque per rispettare l’immagine di una Colombia dove tutto era permesso o sopportato. Siamo nei primi anni ottanta e una bella adolescente, biondissima e molto desiderata sia da uomini che donne, durante una delle tante feste esagera e, dopo avere distrutto il parabrezza di un’auto, è inseguita dagli ex amici particolarmente inferociti. Si trova in una zona popolare che mai aveva frequentato e, attratta dalla musica, entra in un locale con tutta gente che balla apparentante in completa serenità. Diventa il centro dell’attenzione sia perché ha il ritmo nelle vene sia perché si concede facilmente. Continua in queste sue esperienze molto pericolose ma fa coppia con il disc jockey. Non rifiuta nulla in una corsa all’autodistruzione che pare senza fine. Si mette assieme ad un indio che ama uccidere, lei sotto gli effetti della droga sorride fino a quando non elimina in maniera inumana un turista tedesco che ha appena provato i funghi allucinogeni. Salva la compagna del giovane e sembra avere un decisivo ripensamento sulla sua esistenza. Il regista, che come molti cineasti latinoamericani proviene dal documentario, ha già realizzato vari lungometraggi quali Perro come perro (Cane mangia cane, 2007) e Todos tus muertos (Tutti i tuoi morti, 2011) presentati in vari festival. Regista, compositore, musicista, montatore firma opere sempre interessanti e spesso molto discusse.
El-bosque-de-Karadima-MagaZinemaEl Bosque de Karadima (Il bosco di Karadima) del quarantenne Matías Lira è film che ha avuto non pochi problemi in Cile poiché parla di un potentissimo prete, tuttora amato nonostante se ne conoscano le malefatte. Senza mai entrare nella facile pruriginosità, parla di rapporti con minori e di omosessualità. Fernando Karadima, pastore e leader di una parrocchia gradita dall’alta borghesia cilena tra il 1980 e il 2000, è stato considerato da molti un santo, un vero e proprio Dio sulla terra. Qui si racconta la sua storia attraverso quella di Thomas, un diciottenne che studia medicina e che è alla ricerca della vocazione e di cui il sacerdote diviene mentore spirituale. Per venti anni vive in prima persona gli abusi fisici e psicologici dal sacerdote, fino a quando decide di parlare e confrontarsi con le reti del potere, ecclesiastico e no, che proteggono da sempre il parroco. Nonostante le pesanti accuse, confermate da decine di vittime, il sacerdote è rimasto tale pur ricevendo dal Vaticano un ridimensionamento e la perdita della parrocchia milionaria, proprietaria un centinaio di lussuosi appartamenti dieci dei quali erano abitati dal suoi parenti. Thomas, sposatosi con una compagna di corso, non era mai padrone della sua vita poiché il religioso aveva plagiato anche la donna. Decise di denunciarlo quando l’uomo tentò di abusare del loro figlio. Il tema scabrosissimo è trattato con lievità, evitando scene eccessivamente esplicative. Basato su di una storia vera, pare fotocopia di altre che il Vaticano non ha condannato come meritavano.


vuelos prohibidosVuelos prohibidos (Voli proibiti) del sessantasettenne regista cubano Rigoberto López Pego è opera pretenziosa, piena di svarioni e di illogicità raccontando una storia banale che mai riesce realmente ad interessare. Molto noto a Cuba, non è necessariamente il più amato. Ambientato nei primi anni 2000 riprende, a l’Havana, auto di modelli recenti e con contrassegno 2014, fa vedere valige non presenti in quegli anni e descrive il Charles De Gaulle in maniera assolutamente sbagliata. Non solo, Parigi viene vista come in una cartolina datata incapace di essere credibile, con Tour Eiffel, Sacro Cuore e quant’altro di ovvio si possa immaginare. Il Novotel, in cui li alloggia l’Air France dopo che è stato annullato il volo per La Havana, è presentato come quello dell’Aeroporto francese e invece è vicino alla scalinata del Trocadéro, in aggiunta il cameriere del servizio in camera porta un vino da 50 euro già stappato!!!. Il regista ha tenuto a precisare che è film cubano nonostante sia coprodotto coi francesi. Purtroppo è parlato in francese per buona parte ed è stato presentato senza sottotitoli innervosendo molti spettatori. Monique è nata a Parigi, ha trentacinque anni e un padre cubano che non sa di avere messo incinta la madre arrivata sull’isola a seguito del ’68 e tornata a Parigi pochi mesi dopo. Quando la donna muore in un incidente automobilistico, che ha la parvenza di un suicidio, lei decide di andare a conoscere il padre biologico. In aeroporto, aiuta un cubano cinquantenne che non riesce a farsi capire e che è in attesa dello stesso volo per Cuba e che sarà cancellato a causa della situazione metereologica avversa. Arrivano nell’albergo in cui la compagnia li ospita, bevono qualcosa e la donna, forse soltanto per parlare, lo raggiunge nella sua camera. Tra confessioni e sensazioni molto diverse cercano di condividere le loro visioni di Cuba, in un un viaggio tra tempeste sessuali, verità, frustrazioni, dubbi e speranze. Diventano amanti per una intensa notte, si rivedono nell’isola perché l’uomo ha deciso di accompagnare la ragazza dal padre. Nella parte ambientata a Cuba il ridicolo non ha limiti, inserendo situazioni da commedie popolari di basso livello.
El-Abrazo-de-la-Serpiente01El abrazo de la serpiente (L’abbraccio del serpente) è diretto dal talentuoso regista colombiano Ciro Guerra che, a trentaquattro anni, ha accumulato esperienze di ottimo livello nei documentari, nei corti, nell’animazione oltreché in tre lungometraggi ben accolti dalla critica. Questa sua ultima opera richiede dedizione e capacità di concentrazione per non perdere i momenti più importanti immersi in un film di oltre due ore. In bianco e nero, è parlato in cubeo, huitoto, tikuna, spagnolo e tedesco, spesso senza sottotitoli. Racconta con credibilità storica del primo contatto, incontro, approccio, tradimento e una possibile amicizia che trascende la vita tra Karamakate, uno sciamano dell'Amazzonia ultimo superstite della sua tribù, e due scienziati che a quarant’anni di distanza attraversano parte del Rio delle Amazzoni alla ricerca di una pianta sacra che potrebbe curare molti mali. Ispirato ai diari di Theodor Koch-Grunberg e Richard Evan Schultes, primi esploratori che hanno viaggiato in Colombia, il film ha come sfondo l’immensità dell’Amazzonia. Gli incontri con un missionario rimasto solo ad accudire ragazzi orfani che tratta con durezza e quasi sadismo, il ritorno del altro studioso che trova quelli che erano bimbi ora invasati sotto il potere di un uomo che si professa il nuovo Messia. Il regista riesce ad emozionare con un film che appare a tratti quasi immobile: la sua bravura sta nello sfruttare le poche situazioni significative in maniera ottimale.


Eva-no-duerme-Seccion-OficialUltimi titoli in competizione all’interno della Sezione Ufficiale, due opere firmate da registi argentini che meritano la massima attenzione e che potrebbero ambire a qualche premio: Eva no duerme (Eva non dorme) di Pablo Agüero e La patota (Paulina) di Santiago Mitre sulla crisi esistenziale di una ragazza borghese che abbandona il suo mondo fatto di serenità per buttarsi anima e corpo nel difficile lavoro di insegnante in una zona campestre. Il primo in ottantacinque minuti fornisce un quadro molto interessante dell'Argentina dal 1952 fino a metà degli anni settanta. Si tratta della travagliata odissea del corpo di Evita Peron attraverso quattro racconti che rappresentano perfettamente il clima e la situazione politica in vari periodi della difficile vita del paese. Il trentottenne regista utilizza uno stile assolutamente particolare proponendo come racconto storico poche immagini documentaristiche di grande impatto intercalate da alcuni momenti delle disavventure subite dalla salma della moglie del fondatore del peronismo, una donna amata, odiata, temuta a seconda del regime che, in quel momento, era al potere. Considerata santa da molti, demone da altri, questa ex ballerina morta a soli trentatré anni ha rappresentato il suo paese nel immaginario collettivo: il marito creatore di stravolgimenti che impoverivano il popolo e arricchivano lui, lei anima della nazione: assieme hanno fatto incredibili danni ma tuttora il partito che si ispira a loro ha un grande seguito. La presidentessa è morta e uno dei migliori specialisti viene incaricato dell’imbalsamazione della salma. Dopo mesi di lavoro raggiunge un risultato perfetto, ma, causa di una serie di colpi di stato e di alcuni dittatori che vogliono cancellare la memoria popolare dell'eredità di Evita, il suo corpo diventa il centro di un confronto che durerà venticinque anni, quando da morta diventerà più potente che da viva. C’è il personaggio del Ufficiale di Marina che ci accompagna in vari momenti per fornire un filo logico, l’imbalsamatore che crea un miracolo estetico non rendendosi conto che fuori dal suo studio vi è la distruzione e la morte per tanti giovani, il trasportatore (è un colonnello fedelissimo ai suoi superiori) che si incarica di trasferire il corpo in un luogo segreto. Durante una fase dittatoriale un generale, rapito dai dissidenti, è interrogato da una ragazza comunista che cerca di scoprire dove sia nascosto il corpo e viene a sapere che, con la complicità del Vaticano, era stato tumulato in un cimitero segreto. Le luci, che rendono i volti degli interpreti ancora più drammatici, sono splendide, i dialoghi dono permeati da una sofferta intensità, la sceneggiatura è perfetta. Questo cineasta si era già fatto notare per la sua opera prima, Salamandra (2009), con cui ha partecipato sia alla Quinzaine di Cannes sia al Festival Toronto. Nel suo lavoro alterna documentari a fiction, in questo caso coniuga i due modi espressivi in maniera più che interessante.
La Patota 2015 filmPaulina è un film intenso che non lascia indifferenti per i temi trattati, tentando di dimostrare che anche nel mondo arido dell’arrivismo e della vita comoda possono esserci persone che si mettono ancora in gioco. Si impara a conoscere la ricca provincia che convive con la povertà delle comunità rurali, si parteggia per una ragazza coraggiosa e determinata sino all’incoscienza che, seguendo un credo cattolico, fa scelte controcorrente. Dirige il trentacinquenne Santiago Mitre prediligendo dialoghi tra padre e figlia ad altri modi narrativi. Un padre giudice che ama profondamente la figlia per cui vorrebbe un futuro di successo nell’avvocatura, una figlia assolutamente sicura delle sue scelte di vita. Paulina, a ventotto anni, abbandona una brillante carriera di avvocato per dedicarsi all'insegnamento in una regione depressa dell'Argentina. Deve affrontare un ambiente ostile, è molto presa dalla sua missione educativa, anche a costo di sacrificare il rapporto col padre. Poco dopo il suo arrivo è aggredita da una banda di giovani, tra cui alcuni dei suoi studenti. Nonostante il trauma e l'incapacità di capire cosa sia successo, rimane fedele al suo credo. E’ stata violentata, ha riconosciuto anche il più invasato degli aggressori ma non li vuole denunciare perché li giustifica con la povertà e le ingiustizie sofferte. Rimane incinta, il fidanzato non accetta di essere padre del bambino, lei non vuole abortire e viene quasi ripudiata dal padre. Film crea emozioni e coinvolge in questo difficile scontro che la giovane ha con se stessa e col mondo che la circonda, Il ritmo è sempre giusto e la regia utilizza i pochi personaggi in maniera perfetta. Il dramma è costantemente nell’aria, ma vissuto con una disarmante serenità che fa perdere alla protagonista l’amicizia delle persone a lei vicine. Dolores Fonzi da un’equilibrata interpretazione, Oscar Martinez nel ruolo del padre è semplicemente perfetto. Il taglio teatrale imposto dalla sceneggiatura aiuta ad apprezzare i dialoghi che sono di rara efficacia. Il regista è uomo mite, sceneggiatore di vaglia che ha debuttato nella regia col più che interessante El estudiante (Lo studente, 2013), presentato con successo in molteplici festival, qui ha fatto tesoro della sua esperienza di documentarista dando verità ad una storia bella, ai livelli dell’autodistruzione.


el-clan-706665 tn PREMI


Lungometraggi narrativi
Premio Coral al miglior film:
El Club (Il club) di Pablo Larraín (Cile)
Premio Speciale della giuria
Toro de Neón (Toro al neon) di Gabriel Mascaro (Brasile, Uruguay, Olanda)
Menzione speciale della giuria
La obra del siglo (L’opera del secolo) di Carlos Enrique Machado Quintela (Cuba, Argentina, Germania, Svizzera)
Cortometraggi narrativi
Premio Coral al miglior cortometraggio
La nube (idem) di Marcel Beltrán Fernández (Cuba)
Menzione speciale della giuria
Camino del agua (Il ricordo dell’acqua) di Carlos Felipe Montoya (Colombia)

Premi speciali

Premio alla regia
Sandra Kogut, Campo Grande (idem) (Brasile, Francia)
Premio al montaggio
Etienne Boussac, per il film El abrazo de la serpiente (L’abbraccio del serpente) di Ciro Guerra (Colombia, Venezuela, Argentina)
Premio alla musica
Nascuy Linares per il film El abrazo de la serpiente (L’abbraccio del serpente) di Ciro Guerra (Colombia, Venezuela, Argentina)
Premio al suono
Alejandro de Icaza e Raúl Locatelli per Yo (idem) (Messico, Canada, Svizzera, Repubblica Dominicana)
Premio alla sceneggiatura
Julio Hernández Cordón per Te prometo anarquía (Ti prometto anarchia) di Julio Hernández Cordón (Messico, Germania)
Premio alla fotografia
Guillermo Nieto per il film La luz incidente (La luce incidente) di Ariel Rotter (Argentina, Francia, Uruguay)
Premio per l’interpretazione femminile
Jana Raluy per il film Un monstruo de mil cabezas (Un mostro dalle mille teste) di Rodrigo Plá (Messico)
Premio per l’interpretazione maschile
Diego Calva e Eduardo Eliseo Martínez per il film Te prometo anarquía (Ti prometto anarchia) di Julio Hernández Cordón (Mesico, Germania)
Premio alla direzione artistica
Ailí Chen per il film La luz incidente (La luce incidente) di Ariel Rotter (Argentina, Francia, Uruguay)
Opere prime
Premio alla miglior opera prima
Desde allá (Da lontano) di Lorenzo Vigas (Venezuela, Messico)
Premio speciale della giuria
Magallanes (Magellano) di Salvador del Solar (Perù, Argentina, Colombia, Spagna)
Premio al contributo artistico
Manos sucias (Mani sporche) di Josef Wladyka (Colombia)
Premio del pubblico
El Clan (Il clan) di Pablo Trapero (Argentina, Spagna)
Documentari
Premio al miglior documentario di lungometraggio
Casa Blanca (Una casa bianca) di Aleksandra Maciuszek (Cuba, Messico, Polonia)
Premio al miglior cortometraggio
Tripido (Tripode) di Mónica Moya (Colombia)
Premio speciale della giuria
La pasión de JL (La passione di JL) di Carlos Nader (Brasile)
Menzione speciale
Los impunes (Gli impuniti) di Agnès Gattegno (Francia)
Animazione
Premio al miglior mediometraggio
Las aventuras de Juan Quin (Le avventure di Juan Quin) di Alexander Rodríguez González (Cuba)
Premio al miglior cortometraggio
Los ases del corral (Le assi dell’aia) di Irving Sevilla García e Manuel Alejandro Báez Téllez (Messico)
Premio speciale della giuria
Guida (idem) di Rosana Urbes (Brasile)
Sceneggiatura inedita
El hilo rojo (Il filo rosso) di Arturo Infante (Cuba)
Premio CARTEL
José Alberto Menéndez (Pepe Menéndez) per il film Cuba Libre (Cuba libera) (Cuba)
Premio FIPRESCI
Paulina (idem) di Santiago Mitre (Argentina, Brasile, Francia)
Premio SIGNIS
Campo Grande (Il grande campo) di Sandra Kogut (Brasile, Francia)