60ma SEMINCI - Semana Internacional de Cine - Valladolid - Pagina 4

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60ma SEMINCI - Semana Internacional de Cine - Valladolid
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061322Non sempre gli spunti autobiografici, o quelli tratti da fatti reali, contribuiscono alla realizzazione di film interessanti. A volte intralciano il racconto che, seguendo liberamente l’ispirazione dell’autore avrebbe potuto invece esprimere una storia autonoma, accattivante, avvincente, semplicemente lineare, o di suspense. In questo senso, l’operazione di Margarethe Von Trotta col suo film Die abhandene Welt (Il mondo abbandonato), presentato in concorso, sembra un’impresa con molti limiti. All’origine del film la vicenda personale della regista che, dopo la morte della madre nel 1979, fu contattata da una ragazza che le chiese se la madre aveva vissuto a Mosca e se si chiamava Elizabeth, questo per rivelarle, alla fine, che lei aveva una sorella. Ora, dopo un film di impegno sociale quale Hannah Arendt, la regista ha elaborato la sua vicenda intima per trarne un film ambientato tra Germania e New York. Si apre con Sophie, (Katja Reimann), cantante di jazz che viene licenziata da un club il cui gestore reputa inutili le sue performance. Proprio in quei giorni una telefonata del padre (Matthias Habich) la catapulta oltre Oceano. Guardando la foto di una soprano tedesca di passaggio a New York, infatti, l’anziano è rimasto scioccato dalla totale somiglianza con la moglie morta e ha chiesto a Sophie di contattare l’artista lirica per indagare su una possibile parentela. Il film illustra i sotterfugi di Sophie per entrare in contatto con la soprano (Barbara Sukowa) e i particolari che man mano emergono svelando conflitti familiari e i segreti che spiegano l’origine di insospettati legami. Inevitabili alcune burrasche in famiglia e un lieto fine tutto sommato artificiale. Durata poco oltre i cento minuti.
1GUhCjhIn concorso anche Degradé (Degradato) il film di due fratelli gemelli palestinesi, Arab e Tarzan Nasser di 27 anni. Nativi di Gaza vi hanno ambientato un film che descrive in maniera insolita la condizione delle donne di quel paese e, nello stesso tempo, illustra un microcosmo che somiglia a quello della Striscia di Gaza dove vive un milione e mezzo di persone. Per sfatare il mito del velo e delle donne segregate in famiglia, i Nasser hanno scelto una sala di parrucchiere per signore, situato al centro della cittadina. Qui si confrontano tredici donne di differente estrazione sociale. Sono lí per migliorare il loro aspetto estetico e aspettano il loro turno perché le addette sono soltanto due e le condizioni di lavoro alquanto precarie. In strada e sui tetti ci sono uomini armati e l’elettricitá è a rischio. La titolare dell’esercizio è di origine russa e si occupa anche di una giovane che sta per sposarsi. Tra le clienti una supponente signora di mezz’etá, una donna incinta, una bigotta, una chiacchierona di buon senso e madri e figlie in attesa. Il film dura ottantatré minuti e si svolge totalmente in interno, ma apprensioni, intemperanze, esternazioni ravvivano il racconto facendo emergere una quotidianitá femminile simile a tante altre del mondo occidentale. Gli scontri a fuoco che costringono le donne a barricarsi nel locale esprimono invece il malessere di un popolo che soffre la presenza israeliana ma che non riesce a progredire a causa di eterni e irrisolti conflitti interni. Anche ambientato a Gaza, il film è stato girato in Giordania, ad Amman, causa la presenza di forti movimenti islamici nell’enclave palestinese, movimenti che, da circa trent’anni, hanno fatto chiudere tutte le sale cinematografiche considerandole luoghi di peccato. Il fatto ha impedito, tra l’altro, la nascita di un’industria cinematografica nazionale vera e propria.   

(R.F.)

medium cc119087bf51043d6c295d519bd78588-minlillasyster posterMin Lilla Syster (Mia sorella Stella), è coproduzione tedesco svedese in cui si parla molto in inglese poiché’ l’allenatore della coprotagonista è un ex campione di pattinaggio britannico. Primo lungometraggio del trentasettenne di Göteborg Sanna Lenke, porta in se’ le esperienze fatte dal autore che ha studiato arte drammatica e ha lavorato molto in teatro. Il suo impianto narrativo è, infatti, legato ad un linguaggio e ad una costruzione da drammaturgia classica in cui si mescolano tecniche  odierne con momenti da tragedia greca. Inizia come commedia per passare al dramma e terminare nel melodramma. Merito delle giovanissime protagoniste Rebecka Josephson e Amy Deasismont se il film riesce sempre a mantenere gradevolezza. Per loro la sceneggiatura è attenta, per i personaggi degli adulti appare quantomeno deficitaria. Si parla del drammatico mondo dello sport competitivo, delle inconsce spinte dei genitori per fare eccellere i figli quale ricompensa per i loro fallimenti esistenziali e della loro miopia nel capire che qualcosa stia andando male, dell’amore tra due sorelle molto diverse tra loro ma che hanno voglia di stare assieme, dell’emulazione della più piccola nei confronti della maggiore. Intanto, sullo sfondo i primi pruriti della ragazzina che sente attrazione per i maschi e non riesce a gestire in maniera logica una sensazione che non conosce. La campionessa magra e che cerca di esserlo sempre di più per potersi librare meglio nelle piroette, la piccola sovrappeso che tenta di seguire le sue orme ma non riesce a rinunciare a patatine fritte e dolci. In questo apparentemente normale quadro familiare, dove i genitori sono colpevolmente assenti, con la scusa degli impegni di lavoro, si matura un dramma difficile da capire e soprattutto da gestire per adulti che si sentono bravi genitori solo perché’ si occupano delle loro esigenze vitali. Ormai vicina al mondo affascinante che è l'adolescenza, Stella scopre che la sorella maggiore Katja, da lei ammirata in maniera quasi maniacale, inizia a soffrire di anoressia. A poco a poco la malattia lacera la famiglia. E’ una storia di gelosia, amore e tradimento raccontata con empatia, profondità e, a tratti, umorismo.
a-peine-j-ouvre-les-yeux-afficheA Peine les yeux j'ouvre (Come apro gli occhi) è una produzione tunisina in collaborazione con Belgio e Francia opera prima della trentunenne Leyla Bouzid. Nata a Tunisi nel 1984, si e’ formata a Parigi nel 2003 studiando letteratura francese alla Sorbona e in seguito frequentando una scuola di cinema. Varie esperienze quale aiuto regista, ha anche realizzato alcuni corti prima di giungere al suo lungometraggio presentato, tra l’altro, a Venezia nelle Giornate degli Autori, al Toronto Film Festival e alla rassegna del film indipendente di Bordeaux. Dal taglio narrativo europeo, riesce a raccontare con credibilità i momenti emozionali di una gioventù che si sente tanto forte da rischiare le ire della Polizia e del Governo. Sono soprattutto studenti universitari che, attraverso la musica, cercano di trasmettere pericolosi messaggi sia di disobbedienza sia, in certi casi, di reazione anche violenta alle imposizioni che castrano il desiderio di libertà di persone che scalpitano e non accettano nemmeno le imposizioni educative dei genitori. Tunisia, estate 2010, a pochi mesi della rivoluzione. Farah, 18 anni, terminato il liceo è forzata dalla famiglia a scegliere di diventare medico. Ma lei non riesce ad accettare questa imposizione. Canta in un gruppo rock politicamente impegnato, si ubriaca e passa la notte a scoprire la città dell'amore contro la volontà della madre che conosce fin troppo bene i pericoli di Tunisi. La donna vede se stessa nella ribellione della figlia e cerca in tutte le maniere di proteggerla da decisioni che potrebbero definitivamente segnarla. Bella la figura di questa ragazza che ama il pericolo, che sa di rischiare il carcere e, forse, è ancora più eccitata; ma quando viene arrestata e abbandonata a una violenta squadra di sadici agenti, piange e capisce tante cose. Si innamora, forse perde la verginità, sicuramente alla fine sarà più matura e, probabilmente, accetterà quella che la società ha preventivato per lei. La giovanissima Baya Medhaffer, anche lei al suo debutto, mette nel film entusiasmo, freschezza e bravura.

(F.F.)