60ma SEMINCI - Semana Internacional de Cine - Valladolid

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60ma Semana Internacional de Cine - Valladolid

logoSito del festival:  http://www.seminci.es

Giunta alla sua sessantesima edizione consecutiva, la SEMINCI di Valladolid festeggia con un programma intenso sia come quantità che qualità delle proposte che si snoderà dal 24 al 30 di ottobre. Il Festival fa del Cinema d’Autore la sua bandiera e la scelta dei selezionatori permette di avere una interessante panoramica del cinema internazionale con particolare attenzione per le produzioni realizzate in lingua spagnola ben rappresentate nelle varie sezioni. Nella serata di apertura sarà programmato il film Dheepan - Una nuova vita (Dheepan, 2015), vincitore della Palma d’Oro a Cannes che negli stessi giorni entrerà in programmazione in Italia.

E’ stato scelto quale omaggio al regista francese che aveva ottenuto, nel 2013, la Spiga d’Oro alla carriera. Presente in precedenti edizioni del Festival, nella quarantunesima edizione, aveva ottenuto la Spiga d’argento per Un héros très discre (1997) mai distribuito in Italia e, nella cinquantasettesima, era stato premiato quale migliore regista e sceneggiatore per De rouille et d'os (Un sapore di ruggine e ossa, 2012).
Escluso un titolo in coproduzione argentina, quest’anno non vi sono film italiani in competizione. Paese ospite la Finlandia di cui saranno presentati otto lungometraggi di recente produzione, altri sette selezionati dai registi finlandesi e, infine, cinque documentari. La Sezione ufficiale propone una panoramica di titoli che possono essere presentati in concorso o fuori. Ben venti lungometraggi e dodici cortometraggi si contenderanno la Spiga d’Oro, Zonda, folclore argentino (idem) di Carlos Saura e Incidencias (Incidenti) di José Corbacho e Juan Cruz saranno presentati fuori concorso.
Punto di incontro racchiude opere prime e seconde, quattordici lungometraggi tra cui dieci debutti alla regia, e otto corti tutti presentati in competizione. C’è attesa per il film coprodotto tra Italia ed Argentina, El duelo del vino (Il duello del vino) di Nicolás Carreras, seguito con gli stessi attori, di El camino del vino (Il cammino del vino). Sempre all’interno di questa sezione è prevista una Notte del Corto Spagnolo con sette titoli.
Tempo di Storia presenta dodici lungometraggi in concorso e sette fuori competizione. E’ considerata da sempre una delle sezioni più interessanti della SEMINCI.
VinodentroLocandinaDOC. España è la più completa rassegna presentata in Spagna in Festival non monotematici con oltre sessanta titoli di cui undici1 in competizione.
Castiglia y Leon Corto, è un concorso internazionale di cortometraggi di registi della Castiglia e Leon, o che sono stati girati nella comunità. Comprende undici titoli quasi tutti in prima mondiale. C’è anche un Castiglia y Leon Lungometraggi con cinque film e documentari di registi della regione, o che sono stati girati nella comunità.
Tutte queste sezioni prevedono premi in denaro per i vincitori, con un impegno finanziario del Festival non da poco.
La rassegna Cine&Vino, nata lo scorso anno come logico connubio tra due delle eccellenze della zona, prosegue presentando, tra le altre, due opere italiane, Vinodentro (2013) di Ferdinando Vicentini Ornani e Barolo Boys - Storia di una rivoluzione (2014) di Paolo Casalis e Tiziano Gaia.
In questa che è un’autentica festa del cinema che comprende concerti dal vivo, mostre, pubblicazione di libri, incontri col pubblico, stage sono coinvolti nelle proiezioni tre teatri, cinque schermi di una multisala e un paio di altre collocazioni
Giunto alla sessantesima edizione, è forse opportuno farne una breve storia.
BaroloBoys cover ITAIl Festival Internazionale del Cinema di Valladolid è uno dei più longevi in tutta Europa. E’ stato fondato il 20 marzo 1956 col nome di Settimana del cinema religioso e di teneca durante la Settimana Santa come veicolo per divulgare valori morali. Il suo obiettivo è stato, sin dall’inizio, il cinema d’autore anche se era difficile trovare una quantità sufficiente di film per alimentare il Festival. Questa situazione ha portato al primo punto di svolta nella storia della manifestazione che, quattro anni dopo la nascita, è stata convertita in Settimana Internazionale Cinematografica di Religione e Valori Umani. Il nome rifletteva la novità principale introdotta in quel momento: l'ammissione di film in cui vi era anche un senso di impegno sociale. Una seconda svolta è avvenuta nel 1973, quando il festival ha adottato il suo nome attuale, Semana Internacional de Cine de Valladolid - SEMINCI. Questo è servito ad eliminare l’orientamento religioso, decisione assunta per due ragioni molto pratiche: l'aumento del numero di film che potevano entrare in competizione e i produttori che stavano iniziando ad organizzare varie vetrine di ciò che avevano realizzato. Quando è nato il Festival non era stato pensato come rassegna competitiva, quindi nella prime due edizione non era stato assegnato alcun premio, mentre nella terza edizione, 1958, è stato creato il Don Bosco d’oro. La sua esistenza, tuttavia, è stato breve. Un anno dopo è stato sostituito dal Premio Valladolid. Nel 1960 è nata la Spiga d’oro. Nel 1961 è stato aggiunto il Premio San Gregorio. Nel 1974, diciannovesima edizione del Festival, è stato deciso di mantenere soltanto la Spiga d’oro e quella d’argento, che sono tuttora gli unici premi assegnati nelle sezioni principali
(F.F.)


 

poster Une histoire de fouGran Gala per i sessant’anni della Semana Internacional de Cine (Seminci) di Valladolid. Tappeto rosso con i personaggi piú famosi del cinema spagnolo e mondiale. Gli onori di casa sono toccati al veterano degli attori, José Sacristan. Presidente della giuria, Goran Paskaljevic, e tra gli invitati, Juliette Binoche. Applausi per due film che erano a Cannes, Dheepan - Una nuova vita del francese Jacques Audiard, film vinvitore della Palma d’Oro 2015 e 45 anni di Andrew Haigh. Rimanendo nella sezione competitiva, si è vistoil lungo film di Robert Guédiguian, (centotrentaquattro minuti), Une histoire de fou (Una storia di follia), adattamento del libro La bomba, un no rotundo a la destrucción y a la muerte y un viva a la vida (La bomba, un no deciso alla distruzione e alla morte e una evviva alla vita, 1982), testo autobiografico dello scrittore galiziano, José Antonio Gurriarán (1939). Robert Guédiguian, sessantatre anni, francese di padre armeno e di madre tedesca, è di casa a Valladolid, dove negli ultimi quattro lustri ha vinto una Spiga d’oro, una Spiga d’argento, un premio alla regia e uno per la sceneggiatura. Del resto non bisogna dimenticare che la 44ª edizione di questa manifestazione gli ha dedicato un libro e una retrospettiva. Oggi torna con una sorta di film manifesto contro i negazionisti turchi per i quali il genocidio contro il popolo armeno, durante la prima guerra mondiale, non è stato mai commesso. Seppure in maniera leggermente enfatica il racconto si apre con una vicenda ambientata nel 1921 e girata in bianco e nero nella quale un giovane armeno elimina con un colpo di pistola alla testa l’ambasciatore turco a Berlino. Dopo l’attentato, l’attentatore non scappa: grida di essere armeno e di aver ucciso il carnefice della sua gente. Nel processo si dichiara innocente: si considera autore di un atto di giustizia verso colui che, nel 1915, aveva decretato la deportazione e lo sterminio degli armeni. I giudici lo assolvono. I gruppi di lotta armeni si sentono incoraggiati. Sessant’anni dopo, questa volta a colori, il film descrive l’interno di una famiglia armena a une-histoire-de-fou-2015-robert-gu-diguian-02-932x503-e1432494168506Marsiglia. Un padre pragmatico e lavoratore gestisce un piccolo emporio: il figlio, Aram, in contatto con gruppi armeni di resistenza, vuol realizzare i sogni della nonna materna, vittima di violenze e ormai quasi pazza che quale inneggia alla lotta contro i turchi. La madre, Anouch, lo capisce mentre il padre difende quel poco di benessere che è riuscito a costruirsi attraverso anni di lavoro. Il giovane accetta di mettere una bomba nell’auto dell’ambasciatore turco a Parigi. L’esplosione coinvolge Gilles, ciclista che viene ricoverato e operato d’urgenza. L'attentatore ripara in Medio Oriente aggregandosi ai gruppi armati armeni. La famiglia resta senza notizie, ma con molti sospetti. La madre in pena decide di indagare tra gli amici del figlio, scopre che è il responsabile dell’attentato e che è colpevole di aver gravemente ferito il ciclista che rischia di perdere l’uso delle gambe. A questo punto la donna  decide di andare a Parigi. In ospedale parla col giovane, si dichiara pronta ad aiutarlo e chiede perdono per il figlio. Alcuni giorni dopo Gilles arriva improvisamente a Marsiglia. Vuol vedere la camera dove Aram viveva e sapere della lotta del popolo armeno. Vi rimane sino al momento in cui riesce a ottenere un incontro con Aram, in Medio Oriente. Il finale rimane aperto. Oltre alla difficoltà dell’incontro con la vittima, il film descrive  problemi interni ai gruppi armati che coinvolgono anche il giovane terrorista. Diciamo súbito che il titolo Storia di follia o Storia da pazzi, la dice lunga sul contenuto, troppo diluito ma, soprattutto, incentrato su un terrorismo di altra epoca, quasi nascosto dai fatti dei nostri giorni. Rimane tuttavia come manifesto, contro chi tenta di negare il genocidio di un milione e mezzo di armeni. E’ un atto d’accusa, illustrazione di tradizioni e problema di coscienze individuali. Gli attori sono quelli di tanti film di questo cineasta: Ariane Ascaride, moglie del regista, Simon Abkarian, Grégoire Leprince-Ringuet, Syrus Shahidi, Razane Jammal.

(R.F.)

85be6025-7f37-4cf9-883d-1d5066ff22e5Alcuni dei titoli presentati in questa storica sessantesima edizione sono in cartellone nella rassegna competitiva Punto de encuentro, delegata a ospitare opere prime o seconde. La scelta dei selezionatori è ha privilegiato le storie drammatiche spesso con giovanissimi inseriti attori o addirittura protagonisti della vicenda narrata. Princess (Principessa), film israeliano diretto dalla brava debuttante Tali Shalom Ezer, ne è un chiaro esempio. Adar è una ragazza dodicenne molto dotata che si rifiuta di andare a scuola e preferisce passare le sue giornate nel libero ambiente di casa sua, in cui osserva sua madre condurre una vita sessuale spensierata con il partner Michael. Quest'ultimo ha appena perso il lavoro di insegnante ed ora passa molto tempo senza uscire, proponendo giochi che coinvolgono anche la ragazzina e che si dipanano al limite di soffuse implicazioni sessuali. Cambia tutto quando, sempre alla ricerca di nuove certezze, lei inizia a frequentare un ragazzo che ha casualmente incontrato che ha una sorprendente somiglianza con lei: in breve tempo lo porta a vivere con loro. Lei non gradisce il modo in cui Michael lo tratta e improvvisamente le relazioni familiari iniziano a trasformarsi in qualcosa di molto più pericoloso. Raffinato nelle immagini con la luce sensuale che inonda dalle finestre il semplice appartamento, evoca un'atmosfera erotica che a tratti può disturbare. La debuttante Shira Haas, diciassettenne con un corpo ancora molto acerbo, eccelle nel personaggio cardine del film, è un'attrice in grado di esprimere con un solo sguardo emozioni che le parole non possono trasmettere. Gli altri, a cominciare da Keren Mor per proseguire con Ori Pfeffer, Adar Zohar-Hanetz e Amitay Yaish Benuosilio sono perfettamente all’interno dei loro personaggi. La trentasettenne regista ha una lunga esperienza con corti premiati in vari festival per cui non sorprende che questa opera prima sia stata presentata anche al Sundance Festival.
domaci-pece-film-poster 0Domáci péče (Cure domiciliari), di cui abbiamo già riferito dal Festival di Karlovy Vary, è un’opera prima del non giovanissimo autore ceco Slávek Horák. Il suo stile è asciutto, capace di trasfondere emozioni attraverso dialoghi essenziali magistralmente supportati dalla splendida interpretazione della cinquantenne Alena Mihulová, una perfetta protagonista. La storia è ispirata alla vita della madre del regista che proprio in campagna faceva da sempre assistenze domiciliari; lei stessa lo ha aiutato a togliere inesattezze e a rendere ancora meglio la figura di questa donna coraggiosa. Slávek Horák si ritaglia un piccolo cammeo, quale figlio di una assistita ammalata. Vlasta è un’infermiera che esegue cure domiciliari e, per questo, si sposta continuamente senza mai risparmiarsi. Tornata a casa, trova il marito sempre ubriaco ed i pensieri legati alla figlia ora incinta che si è trasferita nella capitale col compagno che non ha sposato. Quando le viene diagnosticato un tumore al pancreas in fase terminale, le viene consigliato dai medici di attendere la fine della sua vita in casa, abbandonando il lavoro, cercando di trascorrere i suoi ultimi mesi in serenità e senza stancarsi, ma lei non può e non vuole rinunciare a questa missione che la gratifica, che la fa sentire utile ed apprezzata: sa benissimo che la famiglia le donerebbe unicamente dolori. La cittadina campestre dove il film è ambientato è quella in cui vivono i genitori del regista e alcuni personaggi sono interpretati da attori non professionisti. Il cineasta, pur trattando temi di grande drammaticità, riesce ad essere sempre lieve, mai troppo serioso. Nelle scene soprattutto col marito, vi è spazio anche per toni da commedia allegra. Il finale, che lei non può interpretare, vede la sua famiglia forse davanti ad una svolta maggiormente positiva, con un minimo di speranza per un futuro diverso.

(F.F.)


A1  Low InD-708x280Dopo i dovuti omaggi ai Festival di Cannes e di Venezia, la Seminci sfodera i primi titoli originali riservando un paio di sorprese. In concorso il terzo film del cileno Rodrigo Sepúlveda Urzúa. Aurora. Ispirato da un fatto reale, verificatosi nel 2003, il film mette in evidenza il problema dei neonati abbandonati nei cassonetti delle immondizie, pratica allora molto frequente. Protagonista una maestra delle primarie, Sofia Olivari (Amparo Noguera), moglie di Pedro, (Luis Gnecco), coppia che vive nella cittá costiera di Ventanas. Cruccio della donna è il non poter aver figli, e l’enorme difficoltá di poterne adottare uno. Tre sue domande sono state giá respinte. Un giorno, leggendo sul giornale la notizia di una bambina morta in una discarica di rifiuti prova una forte emozione. E chiede di vederla. La burocrazia peró è un ostacolo insormontabile. Per poter vedere il corpo della neonata dovrà passare dalla morgue, agli avvocati di Stato, fare lunghe attese e rispondere a moltissime domande che coinvolgono la sua vita privata. Incappa in una odissea legale e giuridica nella quale tutti vogliono sapere perché si ostina a voler vedere quel corpo col quale non ha alcun rapporto di parentela. Sofia, sempre piú determinata nella sua lotta tenta di spiegare che un corpo trovato in un cassonetto e cremato non lascia tracce. Lei, invece, vuol dare un nome e una sepoltura cristiana per creare un luogo nel mondo dove resti notizia della nascita della persona e dove si possa andare per ricordarla e per portarle fiori. Racchiuso in ottanta minuti, interpretato da attori che il regista aveva già impiegato nel suo primo film, Un ladrón y su mujer (Un ladro e sua moglie, 2001), è un film rigoroso e teso che ha scosso l’opinione pubblica cilena su un tema sempre piú discusso in televisione e sui giornali.
tt3900206Loreak (Fiori) di Jon Garaño e José Mari Goenaga ha varie analogie col film cileno. E’ un film basco visto con sottotitoli spagnoli, presentato nella sezione Spanish Cinema. Simili le atmosfere, esterne e interiori, uguale il panorama di una località costiera, spesso avvolta nella nebbia, e di persone comuni con profonde motivazioni umane. Ad Ane, la protagonista poco piú che quarantenne, viene diagnosticata una menopausa precoce. Lavora negli uffici di un cantiere ed è sposata senza figli. Ogni gioved¡ le recapitano un mazzo di fiori. Non c’è mittente e la cosa la incuriosce. Preoccupa invece il marito che la terza volta indaga per saperne di piú. Al quarto arrivo lei decide di portare i fiori in ufficio e di dire al marito di non averne piú ricevuti. Dopo alcune settimane cessa la consegna dei fiori. Lei tenta di capire la ragione dell’interruzione degli ivi, fino a quando scopre che ha smesso di ricevere fiori il giorno della morte di un collega in un incidente stradale. Non solo, fra le cose del morto trovano una catenina che lei aveva perso. E da quel giorno è lei che ogni giovedí porta fiori sul luogo dell’incidente. La cosa, peró, preoccupa la vedova del collega, sempre in tensione con la suocera, e ora frastornata dal pensiero che il marito avesse avuto una relazione con la collega. Sulla falsariga di un thriller, i registi registrano il comportamento di tre donne colpite da un lutto e avvolte dal mistero di tanti mazzi di fiori mettendo in evidenza la solitudine, le illusioni e i conflitti di gente comune. Dura novantanove minuti e si avvale di un’interpretazione misurata e motivata di attori baschi, Nagore Aranburu, Itziar Ituño, Itziar Aizpuru, Ane Gabarain, Josean Bengoetxea. 

(R.F.)

ladecisi ndejuliaLa decisión de Julia (La scelta di Giulia), è un film spagnolo impegnato ed impegnativo, opera prima del cinquantunenne di Norberto López Amado con esperienze quale sceneggiatore ma, soprattutto, autore televisivo. Alcuni corti ed ora questa produzione realizzata in cooperativa con attori e tecnici. Il taglio è tipicamente teatrale, la storia raccontata solo attraverso dialoghi inquadrando più gli attori che non chiedendo loro movimento. Un monolo della protagonista sofferto, momenti di vita e di morte vissuti con apparente serenità, la capacità, una volta nella sua esistenza, di prendere una decisione. Gli altri interagiscono ma, soprattutto, ascoltano. Giulia va in un hotel nel centro di Madrid, con una piccola valigia come unico bagaglio, dove ha prenotato la stessa stanza, 216, al secondo piano con bella vista, in cui venti anni prima ha avuto un'esperienza che non può essere dimenticata e che è durata per parecchio tempo. Una canzone di Leo Ferré le giunge alle orecchie dalla stanza accanto. Bussano alla porta e lei apre serenamente ai suoi attesi ospiti, sapendo che è pronta ad affrontare senza ripensamenti il destino che ben conosce e che ha scelto. In una notte desolata inizia l’episodio più importante della sua vita: l'amore segreto, una fuga precipitosa, un viaggio in un luogo sconosciuto in cerca di risposte, una discesa agli inferi. In uno splendido bianco e nero utilizzato non per drammatizzare, ma per dare ulteriore distacco all’emotività esteriore della vita, il film ci fa conoscere la vicenda di una donna sopra i quarant’anni e ancora bella che decide di porre fine alla sua vita. Con lei due suoi misteriosi conoscenti, forse marito e moglie, che la fanno chiacchierare dopo che ha preso il veleno. Per evitare problemi giudiziari, ha scritto due lettere di manleva in cui spiega la sua decisione. Lei è di Madrid ma, per incontrare un uomo del Nord di cui si è innamorata e con cui fa sesso, andava in quel albergo. Oltretutto, il suo innamorato sta per sposarsi. La gioia di un amore senza aspettative, lei che rimane incinta, l’aborto. Norberto López Amado ha realizzato il film, coinvolgendo ottimi professionisti suoi amici, inserendo momenti autobiografici nella storia: la sorella è appena morta per un tumore come un suo amico. Questa storia vorrebbe essere momento di riflessione ma anche tentativo di esorcizzare il dolore. Quattro personaggi e altrettanti ottimi interpreti, su tutti la bravissima Marta Belaustegui.  
15-1140 posterLes cowboys (I cowboy), è film franco - belga diretto da Thomas Bidegain, un ottimo sceneggiatore tra l’altro presente al SEMINCI sezione ufficiale col film di Jacques Audiard. Esperienze ai massimi livelli con Pedro Almodovar e altri importanti autori, ormai da tempo è lo scrittore prediletto del regista francese. A quarantasette anni questo cineasta, nato nei Paesi Baschi, ha deciso di provare l’esperienza di regista e ha scritto una storia fin troppo ricca, una vicenda divisa in varie parti che tratta temi difficili quali il razzismo verso gli arabi, gli attentati, la decisione di una sedicenne di abbandonare la famiglia per amore, il terrore di un padre che non accetta di essere stato tradito dalla ragazza il cui genitore decideva tutto per lei. Tutto inizia in un tranquillo week end in una vasta prateria nella Francia orientale che ospita un luogo in cui si incontrano gli amanti del West americano. Alain ci va con tutta la famiglia, moglie, figlia sedicenne e il piccolo di famiglia che ha dieci anni. L’uomo balla con la ragazza e la moglie. Tutti si beano di quel mondo allegro dove il tempo si è fermato e dove ogni cosa è scandita dalla musica country. Lo stesso giorno la figlia scompare e la famiglia entra in crisi infatti la moglie sapeva di un amore segreto della ragazza con un arabo e non aveva detto niente a nessuno. Alain inizia una ricerca incessante per trovare la giovane, anche se gli costa tutto quello che ha e lo porterà a esplorare luoghi remoti, sinistri e inquietanti dove l'unico supporto gli sarà dato dal figlio che sacrifica la giovinezza per accompagnare il padre in una avventura che sembra non aver fine. Diventato ormai adulto grazie a quest’esperienza, l’ex - ragazzino ad un certo punto si rifiuta di seguire che ha un incidente e muore. Da questo momento, il giovane prosegue la ricerca e frequenta il mondo arabo e questo gli cambierà la vita. Quotato per vincere premi a questo festival, il film soffre una sceneggiatura sovrabbondante ma marcata da una certa ripetitività nella costruzione narrativa. Sicuramente molto interessante ma tutt’altro che perfetto.
(F.F.)


061322Non sempre gli spunti autobiografici, o quelli tratti da fatti reali, contribuiscono alla realizzazione di film interessanti. A volte intralciano il racconto che, seguendo liberamente l’ispirazione dell’autore avrebbe potuto invece esprimere una storia autonoma, accattivante, avvincente, semplicemente lineare, o di suspense. In questo senso, l’operazione di Margarethe Von Trotta col suo film Die abhandene Welt (Il mondo abbandonato), presentato in concorso, sembra un’impresa con molti limiti. All’origine del film la vicenda personale della regista che, dopo la morte della madre nel 1979, fu contattata da una ragazza che le chiese se la madre aveva vissuto a Mosca e se si chiamava Elizabeth, questo per rivelarle, alla fine, che lei aveva una sorella. Ora, dopo un film di impegno sociale quale Hannah Arendt, la regista ha elaborato la sua vicenda intima per trarne un film ambientato tra Germania e New York. Si apre con Sophie, (Katja Reimann), cantante di jazz che viene licenziata da un club il cui gestore reputa inutili le sue performance. Proprio in quei giorni una telefonata del padre (Matthias Habich) la catapulta oltre Oceano. Guardando la foto di una soprano tedesca di passaggio a New York, infatti, l’anziano è rimasto scioccato dalla totale somiglianza con la moglie morta e ha chiesto a Sophie di contattare l’artista lirica per indagare su una possibile parentela. Il film illustra i sotterfugi di Sophie per entrare in contatto con la soprano (Barbara Sukowa) e i particolari che man mano emergono svelando conflitti familiari e i segreti che spiegano l’origine di insospettati legami. Inevitabili alcune burrasche in famiglia e un lieto fine tutto sommato artificiale. Durata poco oltre i cento minuti.
1GUhCjhIn concorso anche Degradé (Degradato) il film di due fratelli gemelli palestinesi, Arab e Tarzan Nasser di 27 anni. Nativi di Gaza vi hanno ambientato un film che descrive in maniera insolita la condizione delle donne di quel paese e, nello stesso tempo, illustra un microcosmo che somiglia a quello della Striscia di Gaza dove vive un milione e mezzo di persone. Per sfatare il mito del velo e delle donne segregate in famiglia, i Nasser hanno scelto una sala di parrucchiere per signore, situato al centro della cittadina. Qui si confrontano tredici donne di differente estrazione sociale. Sono lí per migliorare il loro aspetto estetico e aspettano il loro turno perché le addette sono soltanto due e le condizioni di lavoro alquanto precarie. In strada e sui tetti ci sono uomini armati e l’elettricitá è a rischio. La titolare dell’esercizio è di origine russa e si occupa anche di una giovane che sta per sposarsi. Tra le clienti una supponente signora di mezz’etá, una donna incinta, una bigotta, una chiacchierona di buon senso e madri e figlie in attesa. Il film dura ottantatré minuti e si svolge totalmente in interno, ma apprensioni, intemperanze, esternazioni ravvivano il racconto facendo emergere una quotidianitá femminile simile a tante altre del mondo occidentale. Gli scontri a fuoco che costringono le donne a barricarsi nel locale esprimono invece il malessere di un popolo che soffre la presenza israeliana ma che non riesce a progredire a causa di eterni e irrisolti conflitti interni. Anche ambientato a Gaza, il film è stato girato in Giordania, ad Amman, causa la presenza di forti movimenti islamici nell’enclave palestinese, movimenti che, da circa trent’anni, hanno fatto chiudere tutte le sale cinematografiche considerandole luoghi di peccato. Il fatto ha impedito, tra l’altro, la nascita di un’industria cinematografica nazionale vera e propria.   

(R.F.)

medium cc119087bf51043d6c295d519bd78588-minlillasyster posterMin Lilla Syster (Mia sorella Stella), è coproduzione tedesco svedese in cui si parla molto in inglese poiché’ l’allenatore della coprotagonista è un ex campione di pattinaggio britannico. Primo lungometraggio del trentasettenne di Göteborg Sanna Lenke, porta in se’ le esperienze fatte dal autore che ha studiato arte drammatica e ha lavorato molto in teatro. Il suo impianto narrativo è, infatti, legato ad un linguaggio e ad una costruzione da drammaturgia classica in cui si mescolano tecniche  odierne con momenti da tragedia greca. Inizia come commedia per passare al dramma e terminare nel melodramma. Merito delle giovanissime protagoniste Rebecka Josephson e Amy Deasismont se il film riesce sempre a mantenere gradevolezza. Per loro la sceneggiatura è attenta, per i personaggi degli adulti appare quantomeno deficitaria. Si parla del drammatico mondo dello sport competitivo, delle inconsce spinte dei genitori per fare eccellere i figli quale ricompensa per i loro fallimenti esistenziali e della loro miopia nel capire che qualcosa stia andando male, dell’amore tra due sorelle molto diverse tra loro ma che hanno voglia di stare assieme, dell’emulazione della più piccola nei confronti della maggiore. Intanto, sullo sfondo i primi pruriti della ragazzina che sente attrazione per i maschi e non riesce a gestire in maniera logica una sensazione che non conosce. La campionessa magra e che cerca di esserlo sempre di più per potersi librare meglio nelle piroette, la piccola sovrappeso che tenta di seguire le sue orme ma non riesce a rinunciare a patatine fritte e dolci. In questo apparentemente normale quadro familiare, dove i genitori sono colpevolmente assenti, con la scusa degli impegni di lavoro, si matura un dramma difficile da capire e soprattutto da gestire per adulti che si sentono bravi genitori solo perché’ si occupano delle loro esigenze vitali. Ormai vicina al mondo affascinante che è l'adolescenza, Stella scopre che la sorella maggiore Katja, da lei ammirata in maniera quasi maniacale, inizia a soffrire di anoressia. A poco a poco la malattia lacera la famiglia. E’ una storia di gelosia, amore e tradimento raccontata con empatia, profondità e, a tratti, umorismo.
a-peine-j-ouvre-les-yeux-afficheA Peine les yeux j'ouvre (Come apro gli occhi) è una produzione tunisina in collaborazione con Belgio e Francia opera prima della trentunenne Leyla Bouzid. Nata a Tunisi nel 1984, si e’ formata a Parigi nel 2003 studiando letteratura francese alla Sorbona e in seguito frequentando una scuola di cinema. Varie esperienze quale aiuto regista, ha anche realizzato alcuni corti prima di giungere al suo lungometraggio presentato, tra l’altro, a Venezia nelle Giornate degli Autori, al Toronto Film Festival e alla rassegna del film indipendente di Bordeaux. Dal taglio narrativo europeo, riesce a raccontare con credibilità i momenti emozionali di una gioventù che si sente tanto forte da rischiare le ire della Polizia e del Governo. Sono soprattutto studenti universitari che, attraverso la musica, cercano di trasmettere pericolosi messaggi sia di disobbedienza sia, in certi casi, di reazione anche violenta alle imposizioni che castrano il desiderio di libertà di persone che scalpitano e non accettano nemmeno le imposizioni educative dei genitori. Tunisia, estate 2010, a pochi mesi della rivoluzione. Farah, 18 anni, terminato il liceo è forzata dalla famiglia a scegliere di diventare medico. Ma lei non riesce ad accettare questa imposizione. Canta in un gruppo rock politicamente impegnato, si ubriaca e passa la notte a scoprire la città dell'amore contro la volontà della madre che conosce fin troppo bene i pericoli di Tunisi. La donna vede se stessa nella ribellione della figlia e cerca in tutte le maniere di proteggerla da decisioni che potrebbero definitivamente segnarla. Bella la figura di questa ragazza che ama il pericolo, che sa di rischiare il carcere e, forse, è ancora più eccitata; ma quando viene arrestata e abbandonata a una violenta squadra di sadici agenti, piange e capisce tante cose. Si innamora, forse perde la verginità, sicuramente alla fine sarà più matura e, probabilmente, accetterà quella che la società ha preventivato per lei. La giovanissima Baya Medhaffer, anche lei al suo debutto, mette nel film entusiasmo, freschezza e bravura.

(F.F.)  


Beeba BoysDeepha Mehta è uno dei più celebrati registi indiani e oggi, a 65 anni, vanta premi e regie internazionali. Al festival ha portato in concorso Beeba Boys (Cattivi ragazzi) che testimonia più le qualità tecniche che intenti di ricerca. Nel film tenta di mettere a fuoco le varie mafie indiane operanti a Vancouver, in Canada, lasciando emergere l’intreccio di famiglie che si contendono il potere e la violenza esercitata per difenderlo. La storia non è nuova: un giovane agiato si avvale di un gruppo di ragazzi senza scrupoli per scalzare l’anziano capo mafia. Corredato con musiche e coreografie presenti in quasi tutta la cinematografia indiana, riprende giovani sik vestiti all’ultima moda e armati fino ai denti, protagonisti di crimini violenti e di tradimenti in una storia che si chiude con un massacro annunciato. Dura 103 minuti.
Non di crimini, ma di soldi tratta, invece, il film parlato in catalano e diretto dall’argentina Daniela Fejerman, La adopción (L’adozione). Seconda regia personale dopo alcune co-regie quest’opera segue una giovane coppia di Barcellona nel viaggio inCRNXmKvVAAAA0uV.jpg large un paese europeo, ex comunista, per adottare un bambino. Moglie e marito approfittano del periodo natalizio e questo complica loro la vita a livello burocratico anche se, in ultima analisi, l’asse del film ruota attorno alla diffusa corruzione e alle mazzette che la coppia deve pagare per ottenere il figlio. Partendo da un’esperienza personale, il suo viaggio in Ucraina per adottare un bambino, la regista traccia il percorso a ostacoli costituito da una serie di colloqui nei quali le prime offerte propongono bimbi molto malati, a volte ciechi o sordi, spesso incurabili. Il film elenca una serie di intermediari che chiedono soldi per accelerare le pratiche. Interpretato con molto piglio da due attori catalani, Nora Navas e Francesc Garrido, la storia racconta due coniugi in piena crisi di nervi in un contesto a loro estraneo e in una situazione limite che sembra peró riproporsi per ogni adozione. Dura novantasei minuti ed è l’unico titolo in concorso di produzione spagnola.
In questa sezione si è visto anche De ce eu? (Perché io?). Terzo lungometraggio del rumeno Tudor de-ce-euGiurgiu, autore di corti e di video che qui illustra in due ore e dieci minuti il livello di corruzione nelle alte sfere di quel paese. Lo fa attraverso indagini affidate a un giovane magistrato che in un primo momento si batte per far rispettare la legge, poi scopre che i suoi superiori non gli chiedono il questo ma l’esecuzione di atti che favoriscano i loro affari. Frastornato e deluso, continua le indagini fin quando gli amici gli consigliano di mollare, i superiori lo allontanano dandogli tre settimane di ferie e la sua ragazza si assenta per lasciargli tempo per riflettere. Dinanzi all’ostinazione del magistrato nel proseguire sulla sua strada, si avviano indagini contro di lui nel tentativo di rivoltare la frittata e toglierlo dai piedi. Girato essenzialmente in interni scalcinati e scarsamente illuminati, il film diluisce i tempi della denuncia sociale che risulta prevedibile e non priva di alcuni stereotipi del cinema commerciale.
wedding 04In concorso si è visto anche Hatuna MeNiyar (Nozze di carta, o Bambole nuziali), primo lungometraggio di Nitzan Gilady, regista israeliano di corti e documentari. Vicenda sentimentale racchiusa in ottantadue minuti, racconta di una bella ragazza affetta da una lieve disabilità (Moran Rosenblatt), e della madre protettiva. Lavorano entrambe in una fabbrica di carta igienica e la ragazza, all’insaputa della madre, ha un flirt con il figlio del direttore. La fabbrica peró è in piena crisi: il direttore sta studiando una maniera indolore per chiuderla, mentre il figlio cerca fondi per rinnovare e continuare. A casa, dove spesso la relega la madre, lei confeziona bambole di carta e sogna di diventare disegnatrice di moda. Il film mette in evidenza i sogni e le innocenti fughe della giovane, e le preoccupazioni della madre, incerta tra la tutela della figlia e il desiderio di rifarsi una vita. Leggermente ripetitivo nella parte centrale, il film si chiude con un finale dignitoso che è anche un segno di riscossa.

(R.F.)

8584077 9db37fdb766304bf0f6594f4f7507786 wm3000 layla (3.000 notti) segna il debutto nel lungometraggio di Mai Masri, nome non nuovo per la SEMINCI dove con 33 days (33 giorni, 2008) ha vinto la Spiga d’oro nella cinquantatreesima edizione. E’ nata in Palestina, ma è cresciuta a Beirut e ha studiato negli Stati Uniti presso la facoltà di cinema della San Francisco State University. Trent’anni dedicati a premiati documentari e a corti, ora debutta con un film dedicato al dramma di tutte le donne palestinesi. Ha impiegato vari anni per trovare finanziatori e, alla fine, è nata una coproduzione tra Palestina, Giordania, Libano, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Al di là delle ottime intenzioni, il film non sempre convince soprattutto per l’eccessivo inserimento di immagini dal taglio documentaristico in cui si usa la violenza subita dalle donne come quasi unico metodo narrativo, e occupandosi poco del mondo di dolore, di violenza, di disperazione che aleggia nella prigione con persone di cui poco si conosce. Addirittura, l’eccessiva stereo tipizzazione delle tre casistiche di personaggi (le secondine, le palestinesi e le israeliane), porta ad un certo disinteresse per quello che accade. Layal, una giovane insegnante palestinese appena sposata, è arrestata con false accuse e condannata a otto anni di carcere. Trasferita in un penitenziario femminile in Israele, dovrà affrontare un ambiente terribile in cui le prigioniere politiche palestinesi devovono condividere dietro le sbarre la loro vita con israeliane condannate per reati comuni. Dopo aver scoperto di essere incinta, la direzione la spinge verso l'aborto e cerca di coinvolgerla quale spia tra i prigionieri palestinesi. Nonostante sia incatenata, Layal non cede e dà alla luce il bambino. Per due anni le compagne di cella, tutte palestinesi, diventano zie, mamme, nonne di Namur mentre il padre ha scelto di abbandonare la famiglia per trasferirsi in Canada. La vita è dura ma lei non si tira mai indietro, anche quando c’è da partecipare a uno sciopero contro le secondine che rischia di farle perdere il figlio. Da questo punto una certa confusione non permette di trovare molta logica in quanto narrato: un’opera prima che voleva essere d’impegno ma che, alla fine, si risolve in un insieme di luoghi comuni ed è poco utile alla causa palestinese.
3000A Szerdai gyerek (La ragazza del Mercoledì) della regista ungherese Lili Horváth è sicuramente opera convenzionale ma non per questo poco interessante. La storia alle volte si ripete. Quando Maja aveva solo nove anni è stata abbandonata dalla madre che l’ha messa in un orfanotrofio. Sono passati dieci anni e anche lei ha messo in istituto suo figlio di quattro anni anche se continua ad andare a trovarlo. Sarà capace di prendere il controllo della sua vita, nonostante le circostanze sfavorevoli e le proprie tendenze autodistruttive? E’ la storia quasi eroica di una ragazza che dimostra meno della sua età ma che ha la grinta di una madre che lotta per vedere riconosciuta la sua maternità che le è negata la possibilità di stare col suo bambino poiché non è finanziariamente autosufficiente e, probabilmente, nemmeno molto matura. Vive in una casa protetta dove gli operatori cercano di aiutare i loro ospiti affinché possano costruirsi un nuovo futuro. Grazie a un progetto governativo i dirigenti aiutano un’altra ragazza ad aprire un Internet Caffè, a lei a trovare il denaro per creare una piccola lavanderia. Tutto andrebbe per il meglio se lei non fosse ancora innamorata dello sbandato padre naturale del figlio e se non fosse al centro di ritorsioni che provocano la completa distruzione del piccolo laboratorio. Tuttavia il desiderio di poter avere con se il figlio assieme all’aiuto di altri ex residenti della casa, farà il piccolo miracolo. Bori è il suo tutor, un uomo divorziato che vive per le sue donne ed è innamorato della ragazza che, vedendo in lui un padre ideale per il bimbo, lo lascia sperare. Qualche caduta di ritmo e di interesse sono presenti anche per la coesistenza tra attori dilettanti e professionisti: Lili Horváth non ha ancora il giusto mestiere e propone alcuni personaggi poco credibili. Detto questo, siamo in presenza di un’opera interessante che fa ben sperare nel futuro di questa giovanissima regista.
(F.F.)


poster-movie-l-arteria-invisible-2015Nel 2012 il regista catalano Pere Vilà Barceló si aggiudicó il premio della critica internazionale della Seminci con La lapidation de Saint Etienne (La lapidazione di Santo Stefano). Oggi torna in concorso con L’Artèria invisible che trae spunto da un romanzo di Joaquim Vidal. Girato con scene fisse, il film mostra una coppia in crisi: lui, politico sempre immerso nel lavoro, lei casalinga che vorrebbe un figlio che il marito, per il momento, non desidera. Si scopre poi che lei aveva avuto un bambino in affitto, tenuto in casa fino al compimento di sette anni e poi allontanato causa l’atteggiamento insofferente del marito. Ora il giovane convive con una ragazza che si prostituisce per sbarcare il lunario perché lui è senza arte né parte e soprattutto senza lavoro. Una mattina, tuttavia, va a trovare la madre adottiva, che si mostra lieta di rivederlo e che gli dà volentieri dei soldi. Il registra descrive una sequela di azioni quotidiane, alcune in maniera quasi fisiologica, per mostrare il vuoto nella vita dei protagonisti. Poi il film ha una svolta: un’adolescente chiede un passaggio in auto al politico. Lui acconsente, lei si sbottona la camicia e scappa dall’auto correndo e gridando. I giornali parlano di un tentativo di stupro mentre sconosciuti chiedono sessantamila euro per tacitare il fatto. Si scoprirá poi che il ricatto è stato ideato dalla moglie per aiutare il ragazzo e le cose si metteranno male per tutti. Realizzato principalmente in interni con scene fisse e momenti di silenzio che lasciano spazio a riflessioni, il film schiva il cinema commerciale. Insiste forse troppo nella descrizione di rapporti sessuali e spesso in quella di azioni quotidiane mediante quadri eleganti che sembrano movimentarsi soltanto nella seconda parte. Film da Festival, di circa due ore, è interpretato da Nora Navas e Alex Brendemühl.
The-Girl-King400In concorso anche Mika Kaurismaki col film The Girl King (La regina adolescente). Si tratta della regina Cristina di Svezia (1626 -1689), già portata sugli schermi nel 1933 da Rouben Mamoulian (1897 – 1987) per l’interpretazione di Greta Garbo, e, nel 1974, da Anthony Harvey per quella di Liv Ullman. Su sceneggiatura di Michel Marc Bouchard, il regista privilegia due aspetti del breve regno di questa sovrana, dal compimento dei diciott’anni a dieci anni dopo (1654) quando per superare gli ostacoli che la corte opponeva alla sua maniera di essere e di regnare, decide di rinnegare il protestantesimo per abbracciare la fede cattolica, e recarsi a Roma dove vivrá fino a 63 anni. In particolare il film tenta di illustrare la passione per la contessa Ebba Sparre da parte di una donna che non aveva conosciuto l’amore e che non lo conoscerà per tutta la vita essendo per questo chiamata la regina vergine e sepolta a Roma, accanto alle tombe dei papa. Non solo l’adombrato rapporto lesbico, ma soprattutto il suo amore per le arti e le lettere, mediante le quali la sovrana voleva elevare il livello culturale del suo popolo, è messo in evidenza in un film che descrive anche la smisurata ammirazione per Cartesio e il suo invito a Stoccolma che risulterá fatale al filosofo francese. Realizzato con un’accurata ricostruzione di interni d’epoca e di costumi, il film tende piú a descrivere le ansie e i tormenti di un’adolescente che prova attrazione per una coetanea che il profilo di una regina reggente. Toglie comunque il gelo e l’impassibilitá che Greta Garbo aveva conferito al personaggio e completa quello affrontato da Liv Ullmann. Il film dura centosei minuti ed è interpretato da Malin Buska, Sarah Gadon, Michael Nyqvist, Hyppolite Girardot.

(R.F.)

El duelo del vino-501095568-largeEl duelo del vino, (Il duello del vino) di Nicolás Carreras, è l’unico film, seppure coprodotto, presentato in concorso dall’Italia. E’ il seguito, con gli stessi attori, di El camino del vino (Il cammino del vino, 2010). Il regista trentacinquenne è nato a Buenos Aires, dove occupa il tempo facendo miriadi di cose. Si è laureato presso l'Università del Cine di Buenos Aires dove insegna, ha diretto numerosi cortometraggi che sono stati premiati nei festival internazionali e cerca di realizzare le sue molteplici idee. Il suo primo lungometraggio è stato Il cammino del vino che ha vinto il premio Fipresci al venticinquesimo Festival di Mar del Plata e il premio per le migliori sceneggiatura e regia all’Eno Video Festival, in Francia. Oltre a questo, ha realizzato svariati corti ed alcuni documentari. Ha fondato la casa di produzione Cactus Film che ha finanziato questo suo primo lungometraggio di fiction. In questa occasione, si è unito a lui un produttore argentino che vive da anni a Milano, Gabriel Pujia, che ha creato l’italiana Indepindiefilm con cui ha realizzato un paio di titoli interessanti. Qui questo produttore è anche coprotagonista con uno dei personaggi più divertenti del film. La cosa che interessa è quel tono goliardico lieve e, a tratti, demenziale che coinvolge personaggi notissimi del Gotha sia culinario (in una divertente caratterizzazione di se stesso Gianfranco Vissani) sia della enologia con il must della presenza di Pandora Anwyl e della stella nascente dei sommelier Luca Gardini. Chi si diverte più di tutti è Charlie Arturaola, degustatore che ha raggiunto i massimi livelli internazionali, e interpreta con bravura e ironia se stesso. L’uomo è caduto in disgrazia dopo aver perso momentaneamente - durante le riprese di un film - la sua capacità di assaporare i vini. La immagine di sommelier senza palato distrugge la sua carriera. Sono passati molti anni e Charlie è diventato un tassista a Los Angeles, ma non ha mai smesso di sognare di riguadagnare il prestigio perso. L’occasione gli viene dal fatto che la moglie, impresario che lo aveva aiutato ad assurgere nel empireo dei vini, si mette a collaborare con un astro emergente italiano. Decide di partecipare al The Duel of Wine con un collega tassista che nulla sa di vino, e a cui, attraverso una trasmittente, sussurra cosa dire. Ben presto diventa personaggio di prestigio ma, scoperto, finisce nuovamente nel limbo. Alla manifestazione si iscrive un conte mascherato, sotto di cui si nasconde Charlie. Non siamo di fronte ad un capolavoro, ma ad una onesta occasione per sorridere o ridere.
elokuva vh 050915 etu vi2 aa uno Yota (Due notti fino mattina) fa parte di quel novero di film presentati dalla Finlandia, paese ospite di questa sessantesima edizione. Coprodotto assieme ai lituani, è film interessante diretto dal trentasettenne Mikko Kuparinen che aveva debuttato con Rakkauden rasvaprosentti (Amore grasso, 2012) dopo avere realizzato anche un’opera per la televisione e vari telefilm. Questo è il primo film girato in inglese, pensando al mercato internazionale e la scelta implica alcune limitazione nella sua vena un po’ pazza ma, nello stesso tempo, aiuta il cineasta a maturare con uno stile più interessante. Un incontro sessuale fugace tra due persone che si raffrontano in un paese straniero senza sapere o parlare la stessa lingua, porta ad una situazione inattesa, quanto, per una nube di cenere vulcanica tutti i voli sono cancellati. Da lì parte una storia d'amore in cui il destino decide di far frequentare i due ancora per un giorno. Girato completamente a Vilnius, la sceneggiatura fa incontrare due persone molto diverse tra loro, un notissimo musicista finlandese che ottiene grande successo tra i giovani e una non giovanissima e architetta francese che ha appena presentato un progetto di rifacimento dell’aeroporto. Lui le offre da bere, lei finge di non sapere l’inglese, in questo modo inizia un’amicizia e, quando salgono alle rispettive camere, la donna decide di trascorrere la notte con l’uomo e poi ripartire per la Francia, ma un’eruzione vulcanica blocca i voli. I due in attesa del concerto che lui terrà iniziano a conoscersi meglio, a stimarsi, a divenire amici e, se il destino lo vorrà, a dare vita a una coppia duratura. Il regista dimostra di avere idee piacevoli con dialoghi a tratti divertenti. Semmai, il finale più pensieroso suona come moralistica punizione per chi aveva sognato di potere evitare di fare i conti con la realtà.

(F.F.)


get.doIn concorso al festival si è visto un film sull’ortodossia ebraica, Tikkun, scritto e diretto da Avishai Sivan, trentotto anni. Secondo film dopo The Wanderer (Ha'Meshotet - Il vagabondo), presentato a Cannes nel 2010, ha per protagonista il giovane Haim-Aaron, studente esemplare di religione ultra ortodossa, ammirato e invidiato da molti colleghi. Un giorno sviene durante una doccia e rischia di morire. Anzi, viene dichiarato morto da una squadra di paramedici, ma la furia del padre, che gli pratica un interminabile massaggio, lo riporta in vita. Miracolato, Haim-Aaron comincia a scoprire gli aspetti piacevoli della vita mandando su tutte le furie il padre che crede in un castigo divino per aver salvato il figlio. Girato in bianco e nero il film segue passo passo le trasgressioni del giovane, l’estromissione dalla scuola e il nuovo atteggiamento. Denuncia i guasti di un’educazione troppo severa che mal si adatta al mondo laico, e mostra situazioni estreme legate alla stretta osservanza religiosa. Film di due ore, interpretato da Aharon Traitel, nel quale la ricerca estetica e formale sembra sostituire la proposta di una sceneggiatura originale.
13Minutes PosterIn concorso per la Germania, Elser, di Oliver Hirschbiegel che nel 2004 realizzó La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler (Der Untergang). Qui E torna a parlare dei crimini nazisti raccontando la vicenda di un falegname, Elser, che nel 1938 preparó e fece esplodere la bomba nella birreria dove il Führer celebrava l’anniversario del partito nazista. Hitler ne uscí indenne, essendo andato via tredici minuti prima dell’esplosione, ma la caduta del tetto provocó la morte di sette persone. Catturato alla frontiera svizzera, Elser venne detenuto e torturato. Volevano conoscere i nomi dei complici, ma lui riuscì a dimostrare di aver agito da solo: venne rinchiuso in un campo di concentramento e liquidato nel 1945. Racchiuso in centodieci minuti, il film si svolge alternando presente e passato: mentre si susseguono scene di interrogazioni e di torture, il film ricostruisce la vita del protagonista. Cresce in un villaggio, aiutando il padre falegname, occupandosi di orologi e di musica. La famiglie è povera, e lui andrá a lavorare in un’acciaieria dove riuscirá a sottrarre i materiali per costruire la bomba. Pacifista, testimone degli scontri tra comunisti e nazisti, maturerá in solitudine la sua azione, e avrá una relazione con una donna sposata. La ricostruzione tassello per tassello perde interesse nella sua frammentarietá e Fusinell’assenza di suspense anche perché la fine è nota. Sorta di biopic che per la Germania è anche una pagina di storia, perde mordente per alcune ripetizioni e lentezze. L’attore è Christian Friedel.
Prodotto da Islanda e Danimarca il film in concorso dell’islandese Dagur Kari, Fusi, nome del protagonista quarantenne, dalla mole che supera di molto il quintale e dalla mentalitá quasi infantile. Fusi scarica valigie all’aeroporto, vive con la madre e gioca con guerre in miniatura. Sul lavoro è vittima di scherzi organizzati dai colleghi, ma non reagisce. Quando l’amante della madre lo iscrive a una scuola di ballo, conosce una ragazza che potrebbe cambiargli la vita. Lei si vergogna di dirgli che fa la spazzina, e s’inventa un negozio di fiori. Lui lo scopre, lei va in depressione. Il film descrive il comportamento di Fusi, disponibile e generoso, che aiuta la ragazza a superare la depressione. Si delinea anche una possibile convivenza per quanto lui non si senta ancora pronto a lasciare casa e soprattutto la madre. Interpretato da Gunnar Jónsson, questo ragazzone è un’immagine di bontá e di tenerezza coinvolto in una quotidianitá gretta e ribalda. E’ una vicenda sentimentale di novantaquattro minuti che illustra un incontro tra ultimi, non nuovo sugli schermi, ma diretto con molto garbo e sullo sfondo di un paesaggio desolato.

(R.F.)

How to vinHow to Win at Checkers (Every Time) (Come vincere alla Dama - ogni volta), è una coproduzione statunitense, tailandese a cui si sono aggiunti Singapore e Hong Kong. Josh Kim e’ un personaggio a dir poco dalle molteplici esperienze. Commistione per nascita tra varie realta’ etniche, coreano con madre statunitense ora vive in Asia cambiando spesso paese. E’ nato in Texas trentaquattro anni orsono, ha lavorato per la CNN a Hong Kong. Nel 2010 è stato assistente per il remake del film di John Woo A Better Tomorrow. Da allora ha diretto video per Google, campagne UEFA e una miriade di video. Recentemente ha lanciato una serie di micro-documentari trasmessi su Internet sotto il titolo Google Diaries vetro molto graditi dal popolo di Internet. Documentarista che ha realizzato un paio di lungometraggi, e’ arrivato a questo debutto nella fiction per l’interesse che aveva verso l’omonimo best-seller di Rattawut Lapcharoensap Sightseeing. Dopo la perdita di entrambi i genitori, avvenuta quando aveva 11 anni il protagonista affronta un futuro incerto. A 21 anni, tutti gli uomini thailandesi entrano in un sorteggio per determinare se devono fare il servizio militare. Se esce una carta nera, diventano riserve utilizzate solo in caso di necessità, ma se la carta è rossa dovranno trascorrere due anni nell'esercito. Il fratello è stato estratto e per lui si presentano non pochi problemi. Incapace di convincere il maggiore a fare quanto in suo potere per cambiare il destino dei due, decide di intervenire sul risultato con esiti inaspettati. Il film è ambientato nelle zone più povere da cui, nasce il ritratto di una Tailandia contemporanea che affronta grandi sfide per riuscire quantomeno ad esistere.
CFYK9s2WIAA1OMaHector (Ettore) e’ opera prima del inglese Jake Gavin che è arrivato alla regia in eta’ matura anche se ha sempre lavorato in ambiente aristic ed è mmeglio noto per il lavoro come fotografo, sia pubblicitario che ritrattista,  è apparso anche come attore in due film britannici, il film avventuroso e d’azione Plunkett e Macleane (1999) diretto al esperto Jake Scott, e il mediocre Lotus Eaters (2011), diretto da una poco ispirata Alexandra McGuiness. Nella costruzione di quest’ultimo prodotto hanno molta importanza le immagini. E’ una vicenda come tante, che parla di anziani emarginati in una casa di riposo ma non per questo privi di serenità. Come ogni anno, Hector McAdam intraprende un viaggio dalla Scozia fino ad un confortevole centro di accoglienza a Londra dove incontrerà i suoi ex compagni con la gioia delle vacanze e di una cena in cui sarà servito il tradizionale tacchino. Consapevole che questo potrebbe essere il suo ultimo viaggio, l’anziano sceglie un percorso che non fa da molto tempo, lo fa per ripercorrere il passato e incontrare le persone che ha lasciato alle spalle. Non è facile vivere senza un tetto, ma Hector è un uomo tenace che accetta i suoi simili e la vita così¡ come viene. Vive l’amicizia e la generosità, ma anche la delusione e la crudeltà. La sua odissea attraverso il paese gli proporrà incontri, nuove avventure ma anche momenti tristi da condividere con i vecchi amici. L'esperienza gli fa vivere i ricordi, l’amarezza e il dolore, ma anche una nuova speranza per il futuro. Lo splendido protagonista è il cinquantaseienne scozzese Peter Mullan, debitamente invecchiato ed in grado di commuovere pur non essendo mai melodrammatico. Caratterista particolarmente attivo, ha lavorato, tra gli altri, con Ken Loach e Mel Gibson. Da vario tempo è divenuto Flocken-för-webbvalido regista televisivo. Ha diretto alcuni episodi della serie televisiva Cardiac Arrest (Arresto cardiaco, 1994), prodotta dalla BBC, che gli ha valso il riconoscimento per migliore regista del The Royal Television Society Award.
Flocken (Il gregge) di è un film molto intenso, capace di fare pensare e discutere tanto da avere avuto, alla fine della proiezione, un fuoco di fila da parte del pubblico alla regista all’attrice Beata Gårdeler. L'azione si svolge in una piccola comunità svedese dall’aspetto idilliaco. Tutto cambia quando Jennifer, una ragazza di quattordici anni, afferma di essere stata violentata da Alexander, suo compagno di classe. La voce si diffonde rapidamente e sempre più persone credono che Jennifer stia mentendo. Quindi, nasce una sorta di linciaggio e tutte le persone esaltate si lanciano contro all’adolescente e la sua famiglia. In questo ambiente le prove non significano nulla, contro un intera cittadina che mette la legge nelle proprie mani. Niente è eccessivo: ciò che conta è rimanere all'interno della mandria.


Nadie quiere la noche-282632517-largeConclusa la presentazione dei film in concorso, che comprendeva anche opere giá viste a Cannes quali 45 Years di Andrew Haigh, An di Naoni Kawase, Hrutar di Grimur Hákonarson, Mustang di Deniz Gamze Ergüven e Nahid di Ida Panahanden, il Festival si è chiuso col film di Isabelle Coixet, Nadie quiere la noche, (Nessuno ama la notte o Nessuno vuole la notte). Interpretato da Juliette Binoche, star della cerimonia di chiusura, il film è ambientato nel profondo nord canadese, a sud del Polo Nord, dove si svolge il dramma di Josephine Peary, moglie di Robert, uno dei piú famosi esploratori americani. Il marito sta per tornare da una spedizione che si è spinta fino alle coste della Groenlandia, e lei, per dividerne il successo, intraprende un viaggio quasi impossibile alla vigilia dell’inverno boreale. Con due slitte trainate da cani e un paio di guide si spinge fino a un rifugio, accanto a un paio di igloo abitati dagli Inuit. Una guida muore nel tragitto, l’altra riporta a casa un aiutante del marito gravemente ferito. Quando gli indigeni lasciano il luogo inospitale per l’inverno, Josephine resta sola. Presto, peró, scopre che una ragazza è rimasta nell’igloo. Si chiama Allaka (Rinko Kikuchi), e anche lei è in attesa del ritorno dell’esploratore. Dopo alcune scaramucce, le due donne collaborano per sopravvivere al lungo inverno. Sospetti sull’infedeltá del marito vengono confermati dalla gravidanza di Allaka che nell’igloo dá vita a un bambino che tutte e due curano con amore. Trascorrono interminabili settimane di giornate senza luce, di tempeste di neve e del progressivo esaurirsi delle scorte alimentari. Apertosi come un film d’avventura nei bianchi e sterminati spazi del nord, il film si sviluppa in un piccolo spazio dove due donne si affrontano tra incomprensioni e gelosie e poi si proteggono a vicenda per superare la lunga e glaciale notte boreale. Scritto da Miguel Barros, il film dura centoquattro minuti.
74Prima di chiudere, uno sguardo alla sezione del cinema spagnolo dove oltre al già descritto Loreak, merita una citazione Los héroes del mal (Gli eroi del male) di Zoe Berriatúa. Peccato che la sezione non comprendesse film di livello quali La isla mínima (L’isola minima) di Alberto Rodríguez e La isla bonita (La buona isola) di Fernando Colomo, tuttavia il film di Zoe Berriatúa, trentasette anni, attore, scrittore e regista madrileno al suo quarto film, colpisce per la compattezza dell’intreccio drammatico. Tre adolescenti irrequieti e solitari, Esteban, Sarita e Aritz, stringono amicizia a scuola dove sono vittime del bullismo. La loro unione nasce da un desiderio di vendetta. Appena si presenta l’occasione, massacrano lo studente che li aveva malmenati e umiliati. Quello piú asociale e fuori controllo è Aritz, la cui rabbia lo spinge a uccidere una prostituta e aggredire un’insegnante supponente e autoritaria. In un casolare  abbandonato i tre fanno uso di alcol e di droga, e si dichiarano eterno amore. Il feeling peró è tra Esteban e Sarita: Aritz si sente messo da parte e compie azioni incontrollate. Per solidarietá, tuttavia, tutti e tre trasgrediscono la legge, mentre Esteban e Sarita cominciano a porsi il problema di dove li porterá la loro foga distruttiva. Il film dura novantatré minuti e offre un’interpretazione originale del malessere e dellla rabbia giovanile.

(R.F)

Una delle sottosezioni più interessanti di Punto de encuentro è quella molto attesa della Noche del corto español. Da questo panorama sono usciti autori che hanno avuto nomination prestigiose e vinto Festival internazionali. La selezione avviene con estrema attenzione poiché in Spagna ogni anno si realizzano centinaia di corti e la cernita è difficile e non sempre indolore anche perché ci sono varie scuole di cinema che vorrebbero essere rappresentate. Sette titoli, sette modi di intendere il cinema; sei in concorso, il settimo proposto al di fuori dilla competizione.
Un dedo en los labiosUn dedo en los labios (Un dito sulle labbra) di Gustavo Martín Garzo e Gonzalo del Pozo Vega è stato presentato fuori concorso. Realizzato completamente a Valladolid, e’ un esempio di come nel cinema non esistono tabù, nemmeno quello legato ad un tragico decesso. Una madre parla con il figlio morto, ricordando vari momenti della loro vita insieme. Girato prevalentemente in soggettiva, fa raccontare tutto in un lungo monologo ad Elisa Martín Ortega che, pur essendo alla sua prima esperienza in assoluto quale attrice, è in grado di donare forti emozioni.
14 anys i un día (Quattordici anni e un giorno) diretto dalla trentenne Lucía Alemany, dimostra come sia difficile educare i figli senza fare troppi errori. Quando Arantxa, una quattordicenne come tante, decide di confrontarsi con sua madre per dirle che non sopporta più la violenza come metodo di educazione, nasce più che un dissidio tanto da giungere ad una vera e propria rottura. Alla fine, ognuna delle due riconosce i propri errori e si torna a sperare in un futuro migliore.
dc3ada-3-03-el-dire-damic3a0-y-nil-apostando-sobre-si-lloverc3a1-o-noEn la azotea (Sul letto) di Damiá Serra, è uno dei tanti cortometraggi che descrivono i primi pruriti degli adolescenti verso l’esteriorità del sesso, i sogni, le fantasie. Qui il regista ha aggiunto un qualche cosa che crea una piacevole confusione nello spettatore. Siamo durante un estate afosa e il dodicenne Adrian, assieme ad alcuni coetanei, ogni pomeriggio osserva da un edificio in costruzione le persone che vivono nel palazzo di fronte e che amano prendere il sole nudi. I ragazzi sono interessati soprattutto a una donna che considerano la più bella che abbiano mai visto anche se non tutti sono di questa idea: quando rischiando di precipitare dal cornicione per scattare una foto alla ragazza in topless, il più preso in giro del gruppetto realizza un’ottima immagine ma della persona sbagliata.
Hermanos (Fratelli), diretto Javier Roldán, è un altro dei giovani talenti nati alla scuola di Valladolid e anche lui si occupa di ragazzini, non in chiave sessuale. Siamo negli anni ’50. Due giovanissimi fratelli, dopo avere fatto una pericolosa scommessa, hanno il loro primo incontro con la morte. Il più grande, per dimostrare di non avere paura di nulla, entra nella cassa costruita per seppellire il loro cane morto, si fa coprire di terra rischiando di rimanere soffocato. Sarà il più piccolo che capirà come salvarlo e lo riporterà alla vita prima che altri si accorgano della loro avventura.
los angeles 1991 poster okLos Ángeles 1991 (idem), di Zacarías e Macgregor, è un esempio di cooperazione internazionale, tra nazioni ed entità culturali che uniscono loro esperienze per realizzare prodotti sicuramente originali. A Los Angeles le strade sono diventate un focolaio di tensioni razziali e l'odio sta per scoppiare a livelli irrefrenabili. Un giovane è in procinto di vendicare la morte del fratello maggiore, ma scopre che non è l'unico ad avere ragioni per uccidere. Dopo momenti in cui il dramma appare inevitabile, si apre uno spiraglio di speranza.
Marceline Blurr (idem), di Nadia Mata, è forse il più bello fra i titoli presentati e dimostra quale possa essere la vera funzione del corto: una palestra per autori che sentano l’esigenza di portare avanti loro idee con un modo originale di fare cinema. Girato sia in bianco e nero sia a colori, è uno splendido affresco in cui finalmente si vede qualcosa cinematograficamente interessante. Ispirato ai film della Nouvelle Vague, è la storia di una ragazza che vede il mondo come un luogo magico con cui interagire forse per essere completamente felice.
2214390539 7934ce174fNorte (Nord), di Javier García è un corto convenzionale che vorrebbe essere coraggioso poiché parla di terrorismo ma che si dimostra come ulteriore occasione perduta per approfondire un tema così difficile come quello dei separatisti. Un ex terrorista del ETA e una donna rimasta vedova per un suo attentato sono nella stessa stanza della prigione Nanclares de la Oca. Dieci anni passati da quando lui ha ucciso il marito ed è il loro primo incontro faccia a faccia.

(F.F.)


I premi

hrutarSecondo previsioni il film islandese Hrútar di  Grímur Hákonarson ha vinto la Spiga d’oro, il premio piú importante della 60º Seminci. La spiga d’argento è stata assegnata a un altro film di Cannes, Mustang della regista turca Deniz Gamze Ergüven. Il premio di regia è andato alla giapponese Naomi Kawase per An. Miglior attrice, Charlotte Rampling, protagonista femminile di 45 Years dell’inglese Andrew Haigh. Miglior attore il finlandese Gunnar Jónsson per il film Fusi, diretto da Dagur Kári.   
Il premio Pilar Miró al miglior regista esordiente è andato ex-aequo all’islandese Grímur Hákonarson di Hrútar e alla turca Deniz Gamze Ergüven di Mustang. Il premio Miguel Delibes alla migliore sceneggiatura è stato assegnato al regista cileno Rodrigo Sepúlveda per il film Aurora. Il premio per la migliore fotografia è stato vinto dall’israeliano Shai Goldman per il film Tikkun di Avishai Sivan.
Ha vinto la spiga d’oro al miglior cortometraggio la spagnola Clara Roquet con El adiós (Il commiato). Spiga d’argento divisa tra Café froid (Caffé freddo) dei francesi Stéphanie Lansaque e François Leroy e Tank del belga Raoul Servais.
Il premio della critica internazionale (Fipresci) è stato assegnato al film Mustang che ha ottenuto anche il premio del pubblico. Molti altri premi sono stati assegnati nelle sezioni collaterali, da Punto de Encuentro dove il primo premio è stato assegnato a 2 yötä aamuun (Due notti fino al domani) del finlandese Mikko Kuparinen e quello per il cortometraggio al belga Frederike Migom per Nkosi Coiffure (Permanente Nkosi), a Tiempo de Historia vinto dalla spagnola Silvia Munt  con La granja del Pas  (La fattoria del passo), e dove il secondo premio è andato a Anna Roussillon per il film Je suis le peuple (Io sono il popolo).
Il premio de la Juventud è stato assegnato nella sezione ufficiale a Hrútar, mentre nella sezione Punto de Encuentro  ha vinto il film ceco Domáci péce (Servizio domiciliare) di Slávek Horák.  Miglior documentario spagnolo: Filosofia a la presó (Filosofia dietro le sbarre) di Girbert Arroyo e Marc Parramon.

(R.F.)