27 Giugno 2012
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47mo Karlovy Vary International Film Festival |
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Nos Vemos, papà (Ti vediamo, papà), opera prima della messicana Lucia Carreras, è il ritratto di una difficile elaborazione del lutto e di un esasperato complesso edipico. Pilar non riesce a superare il dolore per la morte del padre, con cui aveva un rapporto ricco di venature incestuose o che lei ha vissuto come tali. Ne immagina continuamente la presenza nelle stanze in cui vivevano e che ora abita da sola, arrivando sino a masturbarsi sui vestiti del defunto. Suo fratello, che vorrebbe vendere la casa, si preoccupa per il deteriorarsi delle condizioni della sorella e arriva a rinchiuderla in una stanza dell’appartamento in cui lui vive con moglie e figli. Naturalmente, di consultare uno psichiatra non se ne parla nemmeno: sarebbe un disonore per l’intera famiglia. Alla fine sarà proprio il fratello sanoa essere sconfitto e la sorella ritornerà nella grande villa di famiglia, felice di poter continuare i suoi giochi solitari. Il tema del superamento del dolore per la morte di una persona cara è argomento di grande importanza, così come non è per niente trascurabile l’analisi delle relazioni, talvolta ambigue, che legano genitori e figli. Un tema che, vale la pena ricordarlo, ha dato origine a quel Complesso di Edipo teorizzato da SigmundFreud (1856 –1939). Purtroppo nel film entrambi gli argomenti sono utilizzati più come intelaiatura melodrammatica che non quale base per una seria analisi o per una narrazione davvero originale. Gli interpreti, soprattutto Cecilia Suárez, fanno del loro meglio per rendere interessante un testo dal profilo irrimediabilmente basso.
Anche Zabić bobra (Uccidere un castoro) del polacco Jan Jakub Kolski muove sul terreno del quadro psicologico. Al centro del racconto c’è Eryk, un ufficiale dei servizi di frontiera con la Russia che ha lasciato fuggire - per amore - una giovane (cecena? afgana?) inseguita dai miliziani russi che le hanno già sterminato la famiglia. Preda a laceranti demoni interni, finisce coll’isolarsi in un casolare di campagna ove è raggiunto da una giovane sessualmente molto intraprendente. S’innamora anche di lei arrivando a uccidere il padre che l’ha violentata quando era ancora adolescente. Raggiunto da un gruppo di suoi colleghi che vogliono fargli pagare il fio della sua bontà, morirà a sua volta – ma la cosa ha l’aspetto di un quasi suicidio - per mano di una donna aggregata ai suoi inseguitori, forse la stessa ragazza che ha vendicato uccidendole il padre stupratore. Forse, così raccontata, la storia raccontata dal film può sembrare persino banale, ma il regista ha cura di renderla di non facile comprensione, saltando dall’oggi all'ieri, evitando di chiarire snodi non secondari e puntando al massimo sulla lacerazione dei caratteri e su non poche scene di sesso, spesso realizzate come veri e propri combattimenti. Nel complesso il film offre non pochi motivi d’interesse, anche se, complessivamente considerato, presenta più scompensi e motivi di perplessità che non ragioni d’adesione.
U.R.
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