47mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 3

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47mo Karlovy Vary International Film Festival
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altQuella proposta dalla sezione competitiva è stata una giornata rivolta ai rapporti familiari. Si è iniziato con il canadese Rafaël Quellet che ha costruito, in Camion, il ritratto di una famiglia disgregata che riesce a trovare una nuova unità nel dolore. Germain è un camionista sessantenne alla guida di un bisonte della strada che trasporta tronchi d’albero. Un giorno ha un terribile incidente con un’auto guidata da una donna che rimane uccisa nell’impatto. Per lui il trauma è talmente devastante da indurlo ad abbandonare ogni voglia di lavorare e a farlo rimanere in casa del tutto passivo. Quando i suoi due figli, la moglie è morta da anni, vengono a sapere delle sue condizioni ritornano a casa accolti con burbero affetto. Sono due giovani diversissimi: uno ha avuto un grave incidente a un braccio e ora vive della pensione, l’altro ha messo da parte le ambizioni di studio e lavora in un’impresa di pulizia che, la notte, netta gli uffici. Per giunta il primo è un dongiovanni di successo, mentre l’altro allontana le non poche ragazze che lo circondano nel ricordo di un amore adolescenziale da tempo finito. L’atmosfera familiare spingerà tutti a rimettere in discussione i rispettivi stati morali e sociali, regalandoci un finale in cui ogni cosa sembra andare a posto: l’anziano riprende il volante, il figlio menomato trova lavoro come meccanico, il fratello inizia una nuova relazione e riprende gli studi. E’ un film molto corretto e generoso negli intenti, anche se prevedibile negli sviluppi. Un dato molto positivo è nell’utilizzo, anche psicologico, del paesaggio con l’alternarsi di ariosi spazi aperti a claustrofobiche strutture ipermoderne.
altRimaniamo in ambito familiare, ma con l’aggiunta di temi sociali, con Deine Schönheit ist nichts west … (La tua bellezza non ha nessun valore ….) del tedesco d’origine curda Hüseyin Tabak. La storia ruota attorno all’amore adolescenziale del dodicenne Vaysel la cui famiglia è arrivata a Vienna portandosi dietro le sofferenze del capofamiglia, militante curdo imprigionato  in Turchia per molti anni. Nella nuova patria il gruppo subisce lacerazioni interne, uno dei figli disprezza il padre – si è fatto tatuare su una spalla la bandiera turca e finisce in prigione per spaccio di droga, e l’intero gruppo deve fare i conti con una struttura sociale che, nonostante le generose mediazioni culturali, disprezza gli stranieri. Il tenero amore fra i due ragazzini avrà un finale drammatico con la deportazione della famiglia della giovane – sono immigrati slavi non in regola con i documenti – e la separazione della coppia, più immaginata che realizzata. Il film ha un giusto equilibrio fra tenerezza e denuncia sociale, fra psicologia individuale e temi politici. Il tratto stilistico non è originalissimo e ha spesso momenti televisivi, ma nel complesso il film riesce a coinvolgere senza eccessivi ricatti morali. 

U.R.

altUndeva la Palilula  (Accade qualcosa a Palilula), diretto da Silviu Purcarete, è un film romeno innegabilmente interessante anche se non graditissimo al pubblico festivaliero. A suo sfavore gioca l’estrema lunghezza (quasi due ore e mezzo) e una certa pretenziosità del regista che si assurge a maestro essendo solo un buon conoscitore di Federico Fellini ed Emir Kusturica. Un giovane pediatra giunge a Palilula, una piccola cittadina sommersa dalla neve posta in qualche parte del mondo, per iniziare il suo primo lavoro dopo la laurea. Il suo impatto con l’ospedale è traumatico a causa di colleghi a dir poco originali e degenti che amano essere curati con i liquori piuttosto che con le medicine. Il reparto di pediatria è dismesso da tempo memorabile perché lì non nascono bambini. Gli abitanti sono tutti alcolizzati e organizzano infinite feste e baccanali in cui si divertono e, forse, dimenticano la tristezza del posto in cui vivono. Ambientato nei primi anni 60’, il film vuole ironizzare sul crollo del comunismo e il vuoto lasciato da potere realsocialista. Nel suo debutto cinematografico questo non più giovane regista teatrale invita gli spettatori in un mondo pieno di bizzarri personaggi, spettacoli surreali e situazioni kafkiane. Che riesca nel suo intento è assolutamente da dimostrare, di sicuro ha inventato un mondo in cui tutto è possibile tranne la normalità. Peccato la mancanza di umiltà di cui dicevamo, altrimenti il film poteva essere più gradito ma, si sa, nemmeno dai maestri si ama ricevere lezioni, figurarsi da un autore alla sua opera prima. Ci sono ermafroditi, gemelle farmaciste dai ritmi sincopati, donne lupo mannaro, altre grassissime, una coppia che si fa chiamare Laurel e Hardy, prostitute, coniugi che finiscono all’ospedale dopo sanguinosi litigi, ma si amano profondamente, medici frustrati, infermiere ninfomani. E’ un circo che forse sarebbe piaciuto a Federico Fellini ma che ricorda soprattutto Emir Kusturica. E’ un film per veri cinefili che sappiano apprezzare il bello anche dentro tanta mediocrità.
altVanishing Waves (Una vita si spegne) è un film di fantarealtà in cui si racconta di un giovane scienziato che accetta di entrare nella testa di una donna in coma. Ben presto si accorge di essere coinvolto nei pensieri dell’ammalata e di poterli perfino condizionare tanto da divenirne, nel suo cervello, un focoso amante che pratica il sesso a tutti i livelli. Ovvia conseguenza il distacco dalla moglie ma anche dalla realtà e la scelta di vivere solo per quella persona che ormai rappresenta il suo ideale di donna non permettendogli di avere un’effettiva valutazione di se stesso. Gli interpreti sembrano essere a loro agio più quando sono nudi che non quando devono esprimere qualcosa, vestiti, con la sola mimica del viso. Dopo il debutto con Kolekcioniere (Il collezionista, 2008), molto discusso ma anche amato soprattutto nei circuiti dei festival, la giovane regista lituana Kristina Buožytė ritorna al cinema con un film in cui cerca di studiare i comportamenti sessuali e sentimentali attraverso una coppia fuori da ogni convenzione. Purtroppo, lo fa nella maniera più semplicistica e banale usando troppi nudi e scene di sesso alternati a noiosi disegni che vorrebbero rappresentare i movimenti geometrici del cervello. Come se non bastasse, anche questo film supera le due ore: troppe per chi ha così poco da dire.
F.F.