47mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 2

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47mo Karlovy Vary International Film Festival
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altMer eller mindre mann (Quasi uomo) è un bel film norvegese diretto da Martin Lund in cui si ritrae un trentenne in bilico fra maturità e adolescenza. Henrik sa per diventare padre, ma non riesce ancora ad assumere responsabilità da adulto, soprattutto nei confronti della compagna, che mostra ben maggiore consapevolezza di lui. Ciò da cui sembra proprio non riuscire a staccarsi è il legame con un gruppo di ex compagni di scuola i cui massimi divertimenti sono le sbornie colossali, gli scherzi di spogliatoio e l’urinare dal balcone sul giardino sottostante. Le cose non vanno meglio sul fronte del lavoro, con rapporti a dir poco bizzosi con colleghi e capi. Sarà il dolore e la ferma determinazione della compagna a fargli capire che gli anni dell’incoscienza sono ormai lontani e che essere uomo vuol dire anche farsi carico di quanti ti stanno intorno. Raccontato in questo modo, sembra una favoletta moralistica, ma la mano del regista e, soprattutto, la bravura di Henrik Rafaelsen nel costruire un personaggio che vive di sottotoni e sguardi, rendono corposo un ritratto apparentemente normale.
altL’escissione degli organi sessuali esterni femminili è, purtroppo, una pratica ancora in uso in alcuni paesi africani. Si farebbe, dicono i bigotti che la sostengono e praticano, per privare del piacere le donne a garanzia dell’imperio dei mariti e del rispetto di alcune norme religiose. Il canadese Martin Laroche affronta questo dramma in Les manèges humaine (Gli affari umani) mettendo al centro del film una giovane d’origine africana, Sophie, che sta girando un documentario su un piccolo luna park. Poco a poco scopriamo che la sua propensione a soddisfare oralmente gli uomini, nasce dalla menomazione subita a quattro anni, quando viveva ancora in Africa. Sua madre le fece escidere clitoride, grandi labbra e parte della vagina perché diventasse una sposa pura e sottomessa. Salvata da uno zio che l’ha portata in Canada, le ha cambiato nome e inserita nella nuova società, porta dentro di sé il dolore per essere ancora vergine, nonostante l’intensa attività sessuale praticata, e di non potersi dare completamente all’uomo che ama. Alla fine supererà questa drammatica condizione decidendo di farsi deflorare dolorosamente da un maturo membro del gruppo che sta filmando. Indubbiamente il film usa toni abbastanza melodrammatici, pratica uno stile particolare e, a tratti, cervellotico – tutto il film è visto dall’obiettivo della telecamera con cui la giovane sta realizzando il documentario – ma ha il pregio di ricordare un dramma atroce è ben poco ricordato.
U.R. 

altCon dodici film in concorso, East of the West anche quest’anno propone una carrellata completa e particolarmente emozionante del cinema del Est europeo, soprattutto di quello fatto dai giovani, dai debuttanti, da chi al cinema fornisce più emozioni ed originalità che non necessariamente impeccabili prodotti belli esteticamente ma non per questo da vedere. Presenti Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Estonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Romania, Ucraina, ma anche Serbia e Croazia. Hanno inaugurato i padroni di casa con due bei titoli, uno dei quali in coproduzione. Popauta (Gemme) opera prima di Zdenek Jirasky, è ambientato nel periodo natalizio in cui alcune situazioni possono raggiungere livelli drammatico od umoristici ben maggiori che non durante l’altra parte dell’anno. Protagonista una famiglia povera finanziariamente ma non per i sogni che li animano. In realtà, i quattro vivono sotto lo stesso tetto ma non condividono con gli altri le loro aspirazioni. Il padre è casellante, costruisce modellini in bottiglia, gioca alle slot machine quello che ha o che ha ottenuto cedendo oggetti di famiglia, riduce alla miseria la famiglia. Il suo sogno è di cambiare realmente vita, di abbandonare una povertà che non riesce a sopportare. La madre lava le scale, fa lavori di tutti i tipi pur di fare quadrare i conti. Ha sempre sognato una carriera artistica e, quando per racimolare qualche soldo in più tenta l’avventura di spettacoli sexy e di un calendario di nudi, tutto sommato è felice. Il figlio diciottenne si innamora di non più giovanissima spogliarellista da pub con un impresario violento che, alla fine, gli offre di comperarla. Lui lo fa, rubando i soldi ad amico ma, tutto sommato, rendendo felice la donna ma anche il derubato. La figlia vive nella capitale, sogna vita differente da quella del paese, è fidanzata con un coetaneo ed amoreggia con un altro. Risultato finale è che, quando rimane incinta, non può dire con certezza chi sia il padre. Oltre a loro una coppia vietnamita che sogna di tornare al paese, un proprietario di pub losco e amico solo di se stesso, rapporti eterni che rischiano di finire in un nonnulla. Non un grande film ma sicuramente da vedere per capire meglio la società cieca (ma non solo quella).
altDi livello nettamente superiore il debutto della giovanissima Iveta Grófová che si avvale di un direttore di fotografia sempre al femminile. Costato poche migliaia di euro, è coprodotto da Cechi e Slovacchi perfettamente compenetrati in questa triste vicenda. AZ fare mesta Aš (E’ difficile vivere ad Aš) ci racconta di bella ragazza slovacca che dopo il diploma di scuola superiore lascia il suo paese per lavorare in Boemia, nella città di Aš. Sognatrice, contatta via internet ragazzo che immagina di vederla in una piazza continuamente online in una web cam; lei, ben presto, va realmente nel luogo e, dialogando col telefonino, diviene protagonista di una platonica ma intensa vicenda d’amore. Sogna, e perde il suo lavoro in sartoria industriale, non ha più i soldi per pagare un letto in uno squallido pensionato, accetta di lavorare in locale per uomini, piano piano inizia anche ad avere contatti fisici con gli avventori per poi finire nel letti di uomo quasi sessantenne che le promette vita felice e agiata. Inutile dire come finisce la storia, quello che importa è che tutti gli attori sono non professionisti, che i personaggi riportano il loro nome di battesimo, che la madre della protagonista lo è anche nella vita reale. Con questa sua scelta sicuramente difficile per una debuttante, Iveta ha donato alla storia ancora maggiore freschezza, raccontando storie torbide (ci sono anche le amiche della ragazza) con grande umanità. Perfino un paio di scene di nudo sono più che giustificate e poste al momento giusto.
F.F.