45mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 8

Stampa
PDF
Indice
45mo Karlovy Vary International Film Festival
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
I premi
Tutte le pagine

 

 

I dirigenti
I dirigenti

 

Venerdì 9 luglio – ottavo giorno.

I titoli di cui abbiamo riferito sino ad ora esauriscono il ventaglio delle opere scelte per il concorso internazionale. Fra le decine di film che hanno partecipato al programma delle numerose sezioni in cui il festival si è articolato (documentari, opere di produzione indipendente, eventi speciali, tributi, orizzonti, film scelti dai critici della rivista americana Variety, recente produzione ceca, uno sguardo diverso,…) ne proponiamo due che, nell’assoluta diversità stilistica e narrativa, hanno rappresentato altrettante piacevoli sorprese. The Company Men (letteralmente: Gli uomini dell’azienda, ma meglio ancora I dirigenti) segna l’esordio alla regia nel lungometraggio dello sceneggiatore John Wells, di cui sono stati molto apprezzati i contributi a serie televisive di successo come ER (Pronto soccorso), The West Wing (L’'ala ovest), Third Watch (Il terzo sguardo) e China Beach (La spiaggia Cina). Questa sua nuova fatica conferma la capacità di Hollywood di tastare il polso alla realtà, ricavarne storie di alto contenuto drammatico, dare allo spettatore un ritratto, in tempi brevissimi, di quanto sta accadendo al paese. E’ la storia di tre dirigenti - il capo, il secondo e un giovane executive - che, quasi nello stesso momento, si vedono privati del lavoro causa la crisi attraversata dal paese e, in esso, dalla società di trasporti che li impiega. Situazione difficile, aggravata dal fatto che il capo supremo ha deciso di spostare l’asse aziendale dal settore base alla speculazione immobiliare. Privati di un consistente reddito devono fare bruscamente i conti con una nuova situazione economica: via le auto di lusso, le case milionarie, i vestiti e gli accessori firmati, l’abbonamento al campo di golf e altre piacevolezze. Dopo vari tentativi di ritrovare un impiego, approderanno ciascuno a esiti diversi, rappresentativi della società che rinasce dall’ubriacatura della finanza facile. Il giovane Bobby riscoprirà la forza e la bellezza del lavoro manuale trasformandosi in edile sotto la guida del cognato che aveva sempre considerato con malcelato disprezzo, l’ex - capo Gene (uno stupendo Tommy Lee Jones) recupererà la forza per mettersi in proprio e iniziare da zero, l’anziano Phil soccomberà alla disperazione e si ucciderà. Le prime due soluzioni individuano altrettanti modi per uscire dalle difficoltà e, soprattutto, recuperare alcuni dei valori base su cui si è fondata per decenni la cultura americana: lavoro e iniziativa individuale. Nel film ci sono almeno due sequenze memorabili: l’immagine delle scrivanie deserte dei licenziati e la visita ai capannoni abbandonati del porto di Boston, in cui l’esperto Gene impartisce un’elementare ma chiarissima lezione d’economia al giovane Bobby.

 

Miele
Miele

 

Bal (Miele) del turco Semith Kaplanoglu naviga su mari opposti a quelli percorsi dal regista americano. Il film, che costituisce la terza puntata della trilogia che questo regista ha avviato con Yumurta (Uovo, 2007) e sviluppato in Süt (Latte, 2008), ha ricevuto il massimo riconoscimento all’ultimo Festival di Berlino. Com’è nello stile di quest’autore è opera quasi muta, con lunghe sequenze in cui sembra che nulla stia accadendo, ma che contribuisco a creare una tensione artistica ed emotiva molto forte. La storia, se di storia si può parlare, è quella di un bambino che vive fra i monti con la madre e il padre apicoltore e falegname. Frequenta con scarso profitto la scuola elementare e sogna di ricevere un distintivo di merito, com’è già accaduto ad altri studenti. Un giorno il papà muore sul lavoro e lui e la madre rimangono soli ad affrontare una vita durissima. L’ultima immagine lo mostra mentre si addormenta alla base di un enorme albero: la natura è crudele, ma sa anche essere protettiva e con essa si deve convivere. Il film è molto bello e segnala come i germi lanciati sul terreno del giovane cinema turco stiano dando ottimi frutti. Una semina a cui ha contribuito in modo fondamentale Nuri Bilge Ceylan il cui primo film, Kasaba (La cittadella, 1997), si articolava in due parti, la prima delle quali ambientata proprio in una poverissima scuola rurale. In altre parole siamo alla presenza di un cinema che riesce a trasformare in pura poesia lo sguardo sul reale svelandone, nello stesso tempo, complessità e dolore.

Image

Conclusioni

La quarantacinquesima edizione del Festival ha confermato l’importanza e l’interesse di questa manifestazione. Lo ha fatto, soprattutto, con una selezione per il concorso che, contrariamente a quanto accaduto quest’anno a altre iniziative più blasonate come Berlino e Cannes, ha superato i risultati degli scorsi anni, proponendo, in tempi in cui il cinema attraversa una grave crisi d’idee e d’espressività, alcuni titoli di ottimo livello. Purtroppo continuano a pesare le difficoltà logistiche, con sale spesso inadeguate alla massa degli spettatori, in totale sono stati 126 808 i biglietti venduti, quando non addirittura improvvisate. Tutto questo induce a un giudizio largamente positivo e alla speranza che, per quanto riguarda le strutture, alla fine siano adeguate al prestigio e all’importanza della manifestazione.