02 Luglio 2010
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45mo Karlovy Vary International Film Festival |
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Giovedì 8 luglio Settimo giorno.
Drugoje Nêbo (Un altro cielo) segna il debutto nel lungometraggio del georgiano Dimitri Mamulia. E un film sofferto, personale e molto bello che radiografa la disperazione di un pastore che vive in una grande steppa asiatica e il cui gregge è decimato dallinfluenza suina. Sua moglie è fuggita da tempo per cercare una vita migliore e non ha lasciato indirizzo. Senza mezzi e accompagnato dal figlioletto arriva a Mosca con il miraggio di rintracciare la consorte. Le illusioni sono presto annullate dalle difficoltà di una vita miserevole, l'ostacolo della lingua (non parla russo), una sostanziale estraneità di quanti incontra, le difficoltà di trovare il denaro necessario a sopravvivere. Si rivolge alla polizia, fa ricerche negli ospedali e nei mercati, parla con i connazionali, svolge lavori di facchinaggio, impiega il figlio in una segheria. Due notizie arrivano a sconvolgere ulteriormente la sua vita: la morte del ragazzo in un incidente sul lavoro e la notizia che gli agenti hanno ritrovato lindirizzo della moglie. Parte, la rintraccia e, insieme, ritornano in auto. Forse si è ristabilita una minima unità, forse sono solo due disperazioni che si associano per rendere meno dura la vita. Il film ha pochissimi dialoghi e gioca le sue carte migliori sul viso e sul corpo di Habib Bufares che si dimostra attore davvero straordinario. Sembrerebbe una storia individuale, invece, fa trapelare le difficoltà di esistenze estranee al boom economico di cui sembra godere la Russia. In questo senso la mostruosa macchina per il taglio degli alberi diventa il simbolo di un progresso che non ha nulla di umano e che, anzi, sradica i corpi, le culture e le anime con la stessa violenza con cui abbatte le betulle. E unopera forte e di grande bellezza che reclama dallo spettatore attenzione e pazienza, ripagandolo con la comunicazione di un dolore umanissimo e tuttalto che estraneo alla nostra vita, anche se viviamo a migliaia di chilometri dalla capitale russa.
Neka Ostane Medju Nama (Resti fra noi) del croato Rajko Grlić è una commedia amara sul genere di quelle che tanto hanno segnato la cinematografia jugoslava ante Emir Kusturica. Lobiettivo è puntato sulla borghesia di Zagabria, quella che è riuscita ad arricchirsi nel pieno delle guerre interetniche e la lacerazione del paese. Un ceto ben simboleggiato da Nikola, un agiato imprenditore che mantiene due famiglie, l'una all'insaputa dell'altra, aiuta il fratello professore squattrinato e aspirante artista a sopravvivere e ha, quasi come unica occupazione, quella di portarsi a letto quante più giovani ragazze gli capitano a tiro. Alla morte del padre, un famoso pittore, i rapporti fra i due fratelli diventano ancora più stretti, si spalleggiano, coprono i reciproci adulteri e si danno da fare come due ragazzini. Tutto questo sino allesplosione del dramma: la scoperta da parte della moglie legittima dellaltra famiglia e il tentativo di suicidio della consorte dellartista, separata e impiegata di banca, causa la scoperta di un ammanco di cassa di cui si è resa responsabile per pagare un bel gigolò con velleità di calciatore. E' un film flebile, superficiale, a tratti divertente ma privo di una vera struttura narrativa. Una proposta godibile che neppure i vezzi e le smancerie di Miki Manojlović, attore mito del cinema serbo, riescono a trasformare in oggetto di riflessione.
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