02 Luglio 2010
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45mo Karlovy Vary International Film Festival |
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Mercoledì 7 luglio Sesto giorno.
Hitler à Hollywood (Hitler a Hollywood) del belga Frédéric Sojcher ha la forma di una falsa inchiesta in cui lattrice e regista portoghese Maria de Medeiros è sulle tracce di un film interpretato da Micheline Presle, girato nel 1939 e diretto da un misterioso cineasta, Luis Aramcheck di cui si è persa traccia. Dopo un gran numero dinterviste a famose personalità del mondo del cinema, pellegrinaggi a Londra, Parigi, Malta, Cannes, Berlino la ricercatrice scopre un vero e proprio complotto internazionale: Luis Aramcheck aveva in mente di realizzare, con altri, un enorme centro cinematografico, in grado di fare concorrenza a Hollywood, ma furono proprio gli americani, scoperti i fini del disegno, a tramare, in modo anche cruento, contro il cineasta, facendone abortire lidea. Perché, come afferma Andrey Konchalovskiy, ormai cineasta americano, anche se fratello del più noto Nikita Mikhalkov, lidea di libertà di Hollywood è che se in un paesino italiano ci sono due cinema, essi si devono fare concorrenza, a patto che entrambi proiettino film americani. Alla fine della lunga ricerca lattrice ritroverà il cineasta scomparso, rifugiatosi a Malta fra le rovine del suo sogno, giusto in tempo perché anche quei resti deruti siano bombardati da un aereo americano. Il film è una divertente perorazione in favore del cinema autenticamente europeo e, non a caso, si chiude con limmagine del centoduenne Manoel de Oliveira cui il film è dedicato. Unorazione che suscita solidarietà e malinconia. La seconda legata al fatto che la cultura americana sembra aver ormai sgominato ogni resistenza, non solo in campo cinematografico, per cui appare difficile, per non dire impossibile, immaginare un moto di rivolta o una semplice rinascita del film europeo. Da notare, infine, lottima fotografia che alterna effetti elettronici a brani dattualità e a sequenze dordinaria forma cinematografica.
Ao Ge (Diago) del cinese Chi Zhang è ambientato a Macao ed è tratto da un racconto di Lio Chi-Heng, uscito in occasione del decimo anniversario del trasferimento dell'excolonia portoghese (tale dal 1557) all'amministrazione speciale della Repubblica Popolare Cinese. Siamo nel 1999 e, mentre la televisione scandisce le ore del passaggio, il doganiere Diago vive un'esistenza sempre più disperata fra amici che sognano impossibili vincite al gioco e finiranno uccisi dai creditori, e altri che cercano di adattarsi alla nuova realtà o progettano di emigrare a Lisbona. In più è ossessionato dalla ricerca del padre, un attore portoghese che ha messo incinta la madre ed è subito ritornato in patria. Parallela alla sua ricerca, simbolo di unidentità imprecisa e mai assimilata sino in fondo, la storia di una professoressa di mandarino, originaria della colonia, inviata presso la polizia di Macao con il compito di insegnare la nuova lingua agli agenti. Anche lei cerca la sua famiglia quale conquista di un'identità più vera di quella che emerge dai suoi documenti. La ricerca dell'uomo sortirà un risultato positivo, solo che, al momento di affrontare il padre carnale, preferirà lasciare sulla porta di casa una foto dei genitori e ritornare a Macao. Il film è costruito molto bene, ma soffre di un'ufficialità e di un ossequio alle regole della propaganda cinese (con l'arrivo della madrepatria ogni cosa va meglio di prima) che mette in crisi anche il più flebile accenno dialettico.
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