31° Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano 2009 - Pagina 8

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31° Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano 2009
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Viaggio perche’ ne ho bisogno, torno perche’ ti amo
Viaggio perche’ ne ho bisogno, torno perche’ ti amo

Il finale del Festival ha sicuramente proposto i titoli migliori o, quantomeno, più interessanti, offrendo un buon esempio di quello che il cinema latinoamericano è in grado di esprimere. Già in concorso alla 66ma Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti, il film brasiliano Viajo porque preciso, volto porque te amo (Viaggio perche’ ne ho bisogno, torno perche’ ti amo) è opera molto interessante, piacevole, in grado di raccontare in maniera completa la vita di un uomo senza mai farlo vedere in volto. La sua voce è sufficiente per fare capire ogni cosa, le immagini viste attraverso ai suoi occhi, e non solo, ci aiutano a capire tutto di lui. E’ un giovane geologo che affronta un viaggio di un mese per disegnare il percorso di un canale indispensabile a irrigare terreni altrimenti destinati all’aridità’. I primi giorni, pedantemente, segna le sue rilevazioni scandendo il tempo che manca al suo ritorno a casa: scrive alla moglie botanica, si confida con lei, cerca disperatamente di avere un contatto umano. Ben presto si scopre che è stato abbandonato e che il suo dialogo è con se stesso, conscio che il suo è un viaggio decisivo. Vive le sensazioni positive di chi fruirà di quest’acqua, solidarizza con le persone che perderanno la casa per permettere la costruzione del canale. Perfetti i personaggi minori anche quando compaiono in pochi fotogrammi: gli incontri di una notte con prostitute in un motel finalmente accettabile che gli permette di dimenticare la tristezza di dove dorme normalmente, persone semplici che vivono serenamente una vita da disperati, le stazioni di servizio unico punto d’incontro, il nulla che nel Sertão brasiliano è vita. Ottimamente diretto a quattro mani da Marcelo Gomes e Karim Ainouz, è film di rara bellezza e poesia.

L’ultima estate a La Boyita
L’ultima estate a La Boyita

El último verano de La Boyita (L’ultima estate a La Boyita) è il bel film argentino diretto da Julia Solomonoff che riesce a raccontare con grande sensibilità il rapporto tra una bambina, figlia del proprietario della fattoria, e il figlio adolescente della famiglia che gestisce questo luogo magico. Jorgelina decide di passare le vacanze in campagna col padre medico, a La Boyita, mentre i fratelli sono al mare con la madre. Ha un rapporto speciale con l’uomo che ammira e adora, più suo amico e complice di genitore. Incontra il giovane Mario, grande appassionato di cavalli e ottimo cavallerizzo. Tra i due c’e’ amicizia vera, ma lui si comporta in maniera strana, ad esempio non volendo mai togliersi davanti a lei la camicia. Lei cerca di capire, intuisce che il ragazzo non sta bene (perde sangue dall’inguine) e chiede aiuto al padre che scopre quali sono gli incredibili problemi fisici di Mario, conosciuti ma mai ammessi dalla madre che insiste nella speranza che tutto possa tornare alla normalità. La bravura della regista, già assistente in I diari della motocicletta e la cui opera prima Hermanas (Sorelle) ha avuto buon successo di critica anche in Italia, è di non giudicare, di non volere mai inserire immagini che distolgano dalla bucolica serenità di un luogo dove tutto trascorre senza che nulla accada. Il film è previsto in uscita in Italia.

Hiroshima
Hiroshima

Hiroshima è sicuramente il film più interessante, non necessariamente il più bello, di questo Festival. Coproduzione di Uruguay, Colombia, Argentina e Spagna, è diretto con bravura e ironia dal regista uruguayano Pablo Stoll Ward che sceglie una forma narrativa assolutamente originale creando un musical senza parole, un film muto (anche quando abbaia il cane appare la scritta “guau, guau”) in cui le immagini hanno grandissima forza narrativa e sono in grado di fornire forti emozioni. Non siamo di fronte a un’opera pensata per pochi intellettuali, ma a un film spesso divertente, sempre interessante, che piace sia al pubblico sia agli addetti ai lavori. Juan è la voce solista in una band rock, ma parla pochissimo. Lavora di notte in una panetteria, ma di giorno sparisce. Lo seguiamo nel lungo percorso che lo porta al paese dove è nato, da cui manca da tempo, in cui il tempo si è fermato (lo invitano a giocare al pallone in una partita che dura da settimane e che ha il punteggio di 169 a 167, di cui mai forse ci sarà una fine), inizia a cucinare una grigliata con un amico e se ne dimentica, incontra una ragazza che forse è innamorata di lui. Arriva, resta poche ore e torna alla sua vita di sempre, senza che nessuno dimostri particolare interesse per la sua presenza o assenza. I realizzatori dicono sia tratta da una storia vera, sicuramente racconta di una vita possibile, di quell’invisibilità che molti subiscono per tutta la vita.

Lisanka
Lisanka

Grandissima attesa da parte del pubblico per Lisanka dell’acclamato regista cubano Daniel Díaz Torres, autore negli anni ’90 di uno dei film politicamente più scorretti di Cuba, Alicia en el pueblo de Maravillas (Alice nel paese delle meraviglie), una satira sul modo di vivere a Cuba che aveva avuto non pochi problemi con le autorità. Anche qui non mancano le prese di posizioni verso un mondo cubano imperfetto, con rivoluzionari non sempre eroi, gente di campagna non rispettata perche’ non combattente, i rapporti con i soldati russi non sempre idilliaci. Tutto è raccontato con grande allegria, bravura, in maniera popolare, cercando e trovando con facilità la risata da parte del pubblico. Nella Cuba del 1962 in un piccolo paese vicino a una base militare soviética, la vita trascorre abbastanza tranquillamente ma, ad esempio, sono legate le campane della Chiesa perche’ non gradite agli alleati. Lisanka è una bella ragazza che ama godersi la vita e che non si preoccupa di quello che possono dire i suoi compaesani. Guida un trattore rosa ed è amata da tre uomini, due cubani e un soviético che lottano senza esclusione di colpi per ottenere le sue grazie. A complicare tutto uno dei cubani è un rivoluzionario (anche se la dissenteria non gli ha mai permesso di combattere) e l’altro è un contadino. Scoppia la crisi dei missili e il paesino e i suoi abitanti diventeranno famosi in tutto il mondo. Non siamo di fronte ad un grande cinema, ma il modo di raccontare di Daniel Díaz Torres è piacevole e i suoi personaggi sono perfetti per la storia che ha scelto.