44mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 7

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44mo Karlovy Vary International Film Festival
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L'Himalaya, la dove nascono i venti
L'Himalaya, la dove nascono i venti
Giovedì 9 luglio – settimo giorno.
Ultimi due titoli in concorso. Arami Memounen got, Himalaya (L'Himalaya, la dove nascono i venti) porta la firma del regista sudcoreano Jeon Soo-il, un frequentatore assiduo di questo festival, visto che vi ha già presentato due film: Sae nun Pey sok sun eu g rin da (L'uccello che si è fermato in aria, 1999) e Geogemen tangyi soneyeo oi (Con una ragazza dal fondo nero, 2007). Questa sua ultima fatica non offre molti motivi d'interesse se non una buona attenzione per il paesaggio. Un dirigente di un'azienda sudcoreana parte in missione per il Nepal. Francamente appare difficile comprendere le ragioni del viaggio, fatto in condizioni quantomeno dementi – giacca e cravatta su scoscesi sentieri di montagna – se non che un suo dipendente è stato vittima di una grave incidente d'auto e lui ha il compito di portare del denaro alla famiglia. La comprensione del racconto si fa ancora più labile quando il manager decide di rimanere frai montanari, dicendo di essere in vacanza e non comunicando le gravi condizioni del loro congiunto. Dopo qualche giorno, in cui ha vissuto la vita dei nepalesi, arriva la notizia della morte del lavoratore emigrato e lui riprende la via del ritorno, sempre in abiti da città e trolley, per le scoscese vie d'alta montagna! Come si può capire da queste poche righe non si tratta di un'opera che si basi sulla logica e la verosimiglianza. Molto probabilmente il regista voleva farne una sorta di ritratto dell'anima e di confronto fra due culture, ma la cosa non gli è riuscita quasi e il film oscilla fra noia e presunzione.
Anime fredde
Anime fredde
Le cose non sono andate molto bene neppure con Cold Souls (Anime fredde), titolo d'esordio nel lungometraggio della franco – americana Sophie Barthes. Il film ruota attorno alla figura dell'attore Paul Giamatti, che s'immagina intento a preparare un'edizione teatrale di Zio Vania (1896) di Anton Pavlovič Čechov (1860 - 1904). Preso da una sorta di turbamento mentale, decide di consultare un centro il cui responsabile assicura essere capace a imbottigliare le anime. Solo che, una volta liberato del suo spirito inquieto, non riesce più ad essere l'artista di prima. Rivorrebbe indietro l'anima, ma scopre che dietro l'asettica azienda di cui si è fidato, c'è un enorme giro di quattrini con la Russia, basato sulla compravendita di anime. Riuscirà a ritornare se stesso solo dopo un travagliato viaggio a San Pietroburgo. Il film vorrebbe essere una metafora del commercio intellettuale spinto sino alla privazione delle individualità più profonde, dell'arte e degli esseri umani, ma approda solo ad una storia pasticciata, perennemente in bilico fra verosimiglianza e fantasia.
Bugiardo
Bugiardo
Migliori sorprese sono venute dalla sezioni collaterali in cui abbiamo visto sia un delizioso, piccolo film belga, sia un ottimo testo italo – austriaco. Menteur (Bugiardo) di Tom Geens è il ritratto di un giovane disoccupato che tenta di ottenere un impiego all'altezza delle aspettative dei suoi genitori. Non ha alcuna qualificazione professionale, né laurea o diploma, per cui lo mettono alla porta. Ciononostante racconta in casa di essere diventato, come il fratello, un dirigente affermato, salvo precipitare nella disperazione quanto i nodi vengono all pettine, compreso quello che lo porta a scoprire come anche suo padre non sia affatto un grande manager, ma un semplice impiegato che ha esibito una laurea fasulla. E' un piccolo film che perde forza quando scivola, nel finale, sul versante della nevrosi e della follia, ma che funziona assai bene sinché radiografa il trauma di una poveraccio schiacciato da un meccanismo che ha eretto la competizione a dogma. Lo stile ha un taglio decisamente televisivo, ma la cosa non influisce troppo sulla forza complessiva dell'opera.
La pivellina
La pivellina
La vera bella sorpresa della giornata è stato La pivellina della coppia italo – austriaca Tizza Covi e Rainer Fimmel, due documentaristi che esordiscono nel lungometraggio senza perdere nulla delle loro forza espressiva. In un accampamento di artisti girovaghi, alla periferia di Roma, la moglie di un clown trova una bimba abbandonata. La prende con sé e la cura come una vera madre, mentre il marito vorrebbe la si consegnasse alla polizia. Il rapporto fra la domma matura e la piccola diventa sempre più forte, tuttavia quando la madre naturale manda un biglietto dicendo che, da lì a un paio di giorni, verrà a riprenderla, la donna non fa nulla per trattenerla e, seppure con il cuore a pezzi, prepara una festa per salutare la partenza della pivellina, una festa triste alla fine della quale la genitrice non arriverà. Il film è girato con toni quasi documentari, profuma di veri sentimenti e di ambienti reali, guarda a questi emarginati come ad esseri pieni di dignità e amore. Un bel ritratto e un quadro doloroso e crudele di quella che potremo chiamare l'altra faccia di una grande città. Seppure non succeda quasi nulla, la storia anima una tensione forte e straziante che fa del film un vero, piccolo gioiello.
I limiti del controllo
I limiti del controllo
L'ultimo film di Jim Jarmusch, The limits of control (I limiti del controllo), si muove su una binario completamente diverso. E' un'opera zeppa di divi (Isaach De Bankolé, Alex Descas, Jean-François Stévenin, John Hurt, Tilda Swinton, Bill Murray, ..), girata con molti soldi, ma priva di mordente. Come il solito lo stile di questo autore quasi rifiuta i dialoghi. La storia ruota attorno a un nero che riceve l'incarico di uccidere il capo di una fantomatica centrale americana di supercontrollo, nascosta fra le montagne della sierra spagnola. Per arrivare all'obiettivo percorre la Francia e la Spagna (gli uffici per il turismo sovvenzionano e ringraziano!) incontra personaggi misteriosi con cui scambia più scatole di fiammiferi, con dentro messaggi o diamanti, che non parole. La bella fotografia di Christopher Doyle non salva il film da un senso di vuoto profondo, quasi da cortometraggio eccessivamente tirato per le lunghe.