44mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 5

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44mo Karlovy Vary International Film Festival
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Un angelo al mare
Un angelo al mare
Martedì 7 Luglio - Quinto giorno
Ancora un giorno moscio per il concorso. Il primo titolo in cartellone, Un ange à la mer (Un angelo al mare) del belga Fréderic Dumont, ha molto deluso. E' l'estenuante radiografia della follia di un professionista e del tentativo del figlioletto di aiutarlo a risalire la china. Il dodicenne Louis vive in Marocco con i genitori e il fratello. Il padre, avvocato è preda di una gravissimo esaurimento nervoso e non trova di meglio che raccontare al figlioletto, sotto il vincolo del segreto, che sta per uccidersi. Ovvio che il ragazzino ne sia più che turbato e si metta a spiarlo e pedinarlo in modo ossessivo. La strana situazione distrugge l'equilibrio della famiglia e spinge la moglie e madre, prima, ad una relazione con un collega del marito, poi, all'abbandono della casa assieme ai figli. A questo punto è il piccolo che, pur di rimanere in qualche moto vicino al genitore, si uccide gettandosi dall'auto in corsa. Come dire una storiaccia a forti tinte, con qualche venatura torbida (il rapporto padre – figlio ha qualche cosa di morboso) e un'impostazione quasi antifreudiana per cui non sono i figli a dover uccidere i padri, ma quest'ultimi a causare la distruzione di propri rampolli. E' un'opera malandata, retta da interpretazioni inferiori alla sufficienza, costruita su una catena, lunga e noiosa, di scene madri.
Porcellini
Porcellini
E' andata appena meglio con Świnki (Porcellini) del polacco Robert Gliński, già vincitore del massimo premio di questo festival con Czéść Tereska (Ciao, Teresa, 2001). Ancora una volta questo cineasta sembra interessato in modo particolare, quasi ossessivo, dalle devianze minorili. Se nel film del 2001 era una ragazzina marginalizzata ad arrivare all'omicidio di un handicappato, qui sono di scena i giovinetti che si prostituiscono a ricchi stranieri, nella fattispecie tedeschi, per raccattare qualche euro. Al centro della storia c'è l'imberbe Tomek, ottimo studente con il sogno di vincere un concorso di astronomia. Viene da una famiglia modesta, sua madre lavora in ospedale e teme di essere licenziata, suo padre è disoccupato e s'illude d'avere un avvenire come allenatore di calcio. Attorno una schiera di ragazzi e ragazze il cui unico scopo sono l'abbigliamento alla moda e le serate in discoteca. Piccoli obiettivi per il raggiungimento dei quali la prostituzione, maschile e femminile, costituisce una comoda scorciatoia. Le famiglie sono distrutte, la mancanza di lavoro è acuta, i salari sono da fame, neppure la Chiesa è in grado di rispondere in modo serio alle richieste di questi adolescenti che, quasi inconsapevolmente, scivolano nel crimine e nella disperazione. Il film soffre dei medesimi difetti che segnavano l'opera precedente: un gusto per la depravazione giovanile non sempre controllato da uno sguardo lucido che sappia evitare la caduta nel compiacimento. Questi porcellini, è il termine polacco con cui sono indicati quanti praticano la prostituzione infantile, sono troppo fotogenici, ben curati e patinatamente viziosi (in senso cinematografico) per destare vero orrore e sano disgusto. Sembrano quasi i personaggi di uno spot pubblicitario sul vizio. Allo stesso modo i genitori sono ugualmente prevedibili e frutto di cliché troppo abusati. In poche parole ciò che manca al film è una vera ripulsa di un fenomeno orribile e sanguinario, così come la regia non è in grado di mettere in campo un'analisi seria sia delle psicologie, sia delle ragioni materiali che stanno dietro a questo degrado diffuso e inquietante.