44mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 3

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44mo Karlovy Vary International Film Festival
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I premi
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Villa Amalia
Villa Amalia
Domenica 5 luglio – Terzo giorno
Due film in concorso, nessuno indimenticabile. Il francese Benoit Jacquot ha tratto Villa Amalia dal romanzo omonimo di Pascal Quignard. Ann è una pianista e compositrice affermata, ma la sia vita è segnata dall'insoddisfazione e dal dolore, mai sopito, per l'abbandono del padre quando era poco più che una bambina. La sua situazione psicologica precipita quando scopre che l'uomo, con cui vive da alcuni anni, la sta tradendo. La scoperta coincide con l'incontro con un vecchio conoscente omosessuale che lei aveva perso di vista, tanto che, all'inizio, non lo riconosce neppure. Lentamente matura la decisione di abbandonare la carriera, i successi, ogni cosa per rifarsi una vita in solitudine. Vende tutto ciò che possiede, affida il denaro ricavato all'amico e parte per un lungo viaggio che la porta a un approdo abbastanza scontato: una villetta semideruta immersa nel verde dell'isola di Ischia davanti ad un panorama mozzafiato. Un percorso segnato dalla distruzione del vecchio, la difficile conquista del nuovo e punteggiato da tappe abbastanza prevedibili, come la scoperta della bellezza di un rapporto lesbico. Il film, che potremmo definire di classica buona qualità francese, soffre di un sovraccarico di elementi letterari, particolarmente a livello di dialoghi, e radiografa una situazione né nuova, né originalmente indagata. Rimane la solita straordinaria interpretazione di Isabelle Hupepert che, con il passare degli anni e l'aumentare delle rughe ,ha acquistato una forte intensità espressiva.
Venti
Venti
Anche Bist (Venti) dell'iraniano Abdolreza Kahani non va oltre una conferma, questa volta delle difficoltà censorie cui deve rispondere il cinema di quel paese. Siamo lontani dai ritratti di vita, partecipati e rivelatori, che ci avevano dato, in passato, Abbas Kiarostami e Mohsen Makhmalbaf e ci collochiamo, piuttosto, sul versante di un vecchio, piccolo neorealismo che, con i tempi che corrono, rischia di trasformarsi in una via di fuga dal reale. Il signor Soleimani è il proprietario di un ristorante specializzato in banchetti funerari e nuziali. Ha vissuto una vita solitaria e maniacale, ma è un tipo sostanzialmente comprensivo e tollerante verso i dipendenti, in particolare nei confronti di un cuoco menomato ad un braccio che lascia dormire nel locale assieme alla moglie. Purtroppo i tempi sono cambiati, lui decide di ritirarsi e vendere il locale ad un costruttore che utilizzerà l'area per edificare un nuovo palazzo. All'annuncio della chiusura dell'esercizio - che avverrà fra venti giorni, da cui il titolo del film - i dipendenti iniziano ad agitarsi e a cercare nuove sistemazioni. Una ricerca senza grandi esiti, che si chiude con un evento lieto, il matrimonio fra un cameriere e una cuoca vedova, e uno triste: la morte improvvisa del proprietario. Il film è intessuto di cronaca minuta, evita con cura argomenti in qualche misura pericolosi, sminuzza la realtà in piccoli aneddoti incapaci di consentire allo spettatore di risalire a un quadro più complesso. In poche parole un'opera necessitata e poco ispirata.
Nord
Nord
Nelle molte sezioni collaterali della manifestazione di sono visti alcuni titoli degni d'attenzione. Uno di essi è North (Nord) del norvegese Rune Denstad Langlo, un'opera itinerante, sia nel senso del paesaggio, sia della psicologia del personaggio al centro del racconto. Jomar Henriksen  è stato un atleta promettente, ma ora, a trent'anni, imbolsito e mentalmente instabile, vive facendo il guardiano in una sciovia, perennemente immerso in una nube alcolica che ne distrugge progressivamente l'equilibrio mentale. Un giorno incendia, per errore, la casupola in cui vive; è l'occasione per realizzare il sogno che lo ossessiona da tempo: andare nell'estremo nord per raggiungere l'ex-moglie, che ora vive con un altro. Il film è tutto in questo percorso, in scenari da favola, fra tempeste di neve e incontri con personaggi incredibili, come il giovanotto che vive solo in mezzo al bianco nulla e ha inventato il mezzo più economico per sbronzarsi: rasarsi un pezzo della testa e incerottarvi alcuni assorbenti macerati nell'alcool. E' una radiografia, simpatica e dolente, di una disperazione esistenziale che fa tutt'uno con il paesaggio in cui s'inserisce. E' un piccolo film, d'ottima fattura e grande interesse.
Senza nome
Senza nome
Valido anche Sin nombre (Senza nome) del messicano Carl Joji Fakunaga in cui si narrano due drammi destinati ad incrociarsi. Il primo è quello di una famiglia honduregna che tenta di arrivare negli Stati Uniti, il secondo l'odissea di un diciassettenne, membro di una banda di strada messicana, condannato a morte dai suoi compari per aver ucciso il capobanda che gli aveva ammazzato la fidanzata. Delle due vicende solo quella dei migranti si concluderà in modo non del tutto drammatico, con l'arrivo negli States della più giovane del gruppo. Il gangster in erba, invece, sarà raggiunto dal piombo degli inseguitori proprio mentre sta per mettere piede negli USA. Il film non risparmia le immagini violente, ma non lo fa mai al solo scopo di colpire gli spettatori. Tutto è funzionale al racconto, un testo imbevuto di dolore e disperazione per questi dannati della terra che, da qualunque parte stiano, sono destinati ad essere perdenti.
Vivo!
Vivo!
E' un po' la stessa situazione di Alive! (Vivo!) che l'albanese Artan Minarolli ha dedicato ai tanti compatrioti spariti in fondo al mare Adriatico nel tentativo di raggiungere clandestinamente l'Italia. Koli è un ragazzo per bene, studia a Tirana ed è fidanzato con una coetanea di buona famiglia. La sua vita è sconvolta dalla morte del padre e dalla notizia dell'acuirsi della faida che oppone il suo clan a quello di un villaggio vicino. Costretto a ritornare a casa, deve nascondersi e fuggire, infine a uccidere la ragazza mandata a eliminarlo. Ora non gli resta altra strada se non il tentativo di emigrare clandestinamente su una vecchia carretta che andrà a fondo prima di arrivare a destinazione. E' un film di buon taglio, generoso nella descrizione delle dure condizioni di vita della nazione schipettara, costruito con intelligente semplicità e ottima professionalità.