44mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 4

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44mo Karlovy Vary International Film Festival
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I premi
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Anima in pace
Anima in pace
Lunedi 6 Luglio - Quarto giorno
E' stata una giornata ricca di titoli in concorso, con ben quattro opere tese a contendersi il massimo riconoscimento. Si è iniziato con Pokoj v duš (Anima in pace) dello slovacco Vladimir Balko, qui all'esordio nel lungometraggio dopo una consistente carriera televisiva. Il film racconta la vita difficile e il suicidio di un quarantenne che, appena uscito di galera, cerca di rifarsi una vita. Glielo impediscono coloro che dicono di essere suoi amici e che, invece, lo ricattano e vogliono coinvolgerlo in nuovi, loschi traffici. Per giunta ha scoperto di essere incapace a generale, per cui quello che passa per suo figlio, è sicuramente frutto di un tradimento della moglie. Accumula dolore e disperazione sino a non poterne più e autodistruggersi. Il film ha il taglio di un ritratto psicologico con qualche aggancio sociale che, tuttavia, appare più appiccicato che realmente inserito nel racconto. La vicenda è narrata con buona professionalità, ma senza grande capacità analitica per quanto riguarda la costruzione dei personaggi.
Tutta colpa di Giuda
Tutta colpa di Giuda
E' stato presentato anche il solo film italiano in concorso: Tutta colpa di Giuda - qui messo in cartellone con il titolo internazionale Freedom (Libertà) – di Davide Ferrario che racconta, in un ambiente vero e con molti carcerati autentici, le prove per la messa in scena di una passione del Cristo. Lo scenario è il carcere torinese delle Molinette ove una regista serba tenta di realizzare uno spettacolo avendo come interpreti un gruppo di detenuti. L’idea sarebbe di stimolare il ravvedimento dei condannati, impegnandoli in un lavoro creativo e edificante, ma le cose cambiano quando la regista scopre che nessuno degli attori vuole fare la parte di Giuda. Allora la teatrante, che nel frattempo ha imbastito una storia d’amore con il direttore del penitenziario, ha l’idea di mettere in scena uno spettacolo a lieto fine, senza traditori, né condanne a morte. Ovvio che il cappellano del carcere non sia d’accordo e cerchi di bloccare la cosa. Tensione e scontri saranno interrotti dall’annuncio della votazione, in Parlamento, dell’indulto che rimette in libertà quasi tutti i partecipanti alla recita. Il regista si muove in scioltezza, usa ambienti veri di cui ben conosce regole e atmosfere (Davide Ferrario ha operato come animatore culturale sia alle Molinette sia nel carcere milanese di San Vittore) imbastendo una storia stilisticamente fantasiosa che alterna sequenze quasi documentarie a balli e canti, e mescola attori professionisti con interpreti occasionali. Non si può dire che tutto sia in equilibrio e che il risultato sia pienamente soddisfacente, ma il tentativo appare interessante e alcune sequenze, in particolare quelle di ballo, sono davvero belle. Rimangono diverse frizioni fra il ruolo e la recitazione degli attori veri, in particolare un’improbabile e spaesata Luciana Littizzetto, e i detenuti ballerini, ma sono dati di minor peso rispetto alla positività di un tentativo la cui originalità non può essere messa in dubbio.
Whisky e vodka
Whisky e vodka
Terzo titolo del gruppo Whisky mit Vodka (Whisky con vodka) in cui il tedesco Andreas Dresen, di cui abbiamo apprezzato Settimo cielo (Wolke 9, 2008), presentato anche sui nostri schermi. Come il precedente è un ritratto psicologico a (quasi) lieto fine. Ad essere messo sotto l'obiettivo della macchina da presa è un maturo attore, onusto di gloria e affetto da un tasso alcolico esorbitante. Lo chiamano per interpretare un film ambientato nel 1920 e basato su un fatto di cronaca il cui protagonista fu un maturo gaudente che ebbe una relazione con madre e figlia e finì ucciso dal fidanzato di quest'ultima. Sin dalle prime riprese il divo rotola a terra ubriaco bloccando la produzione. La soluzione sembra essere quella di affiancargli un altro interprete e girare ogni sequenza due volte: una con lui l'altra con il sostituto. Alla fine si vedrà quali parte tenere e quali gettare. Stimolato dalla concorrenza del collega più giovane, il divo scopre la morigeratezza e porta avanti il lavoro sino alla fine, dando il meglio di se, tanto che, poco prima dell'ultimo ciak riceve l'offerta per un nuovo ruolo. Questa corsa contro la decadenza, la vecchiaia e la disillusione è la parte migliore di un testo che, per il resto, procede fra storie sentimentali sul set, liti fra produttore e regista per il contenimento dei costi, esaltazione ironica del complesso lavoro di realizzazione di un'opera cinematografica. Ben poco di nuovo, ma una diffusa professionalità che conferisce all'opera robustezza narrativa e una certa piacevolezze di visione.
Trottolina
Trottolina
Ultimo titolo della giornata è stato Volčok (Trottolina), film d'esordio del russo Vasilij Sigarev che ha portato sul grande schermo un suo testo teatrale. La storia è raccontata in modo alquanto complicato; messa linearmente, narra della figlia si una donna alcolizzata e semi prostituta che la madre martirizza per tutta la sua breve vita. La piccina oscilla fra amore e odio verso la mamma, sino a morire investita da un'auto mentre la insegue nel tentativo d'impedirle d'andare a ubriacarsi per l'ennesima volta. Questa vicenda è raccontata con salti temporali e, soprattutto, con la voce della morta. Quello di affidare il racconto a un defunto non è un espediente nuovissimo, si pensi, solo per fare il primo esempio che viene alla mente, a Viale del tramonto (Sunset Blvd., 1950) di Billy Wilder. Qui il peso del testo letterario si traduce in una sovrabbondanza di dialoghi, equilibrati solo in parte da abili movimenti della macchina da presa e da un montaggio efficace anche se non privo di zone oscure. Nel complesso un film interessante, viziato da una pizzico di letterarietà di troppo e dalla messa al centro del discorso di un personaggio, la madre alcolizzata e puttana, abbastanza sfruttato dalla cosiddetta letteratura dei margini.