72ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 5

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72ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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Equals 1Equals dell’americano Drake Doremus, presentato in concorso dalla Mostra, è uno di quei film il cui soggetto appare attuale e interessante, ma la cui realizzazione lascia non poco a desiderare. In un mondo prossimo futuro la pace e la tranquillità sociali sono state realizzate privando gli esseri umani di qualsiasi pulsione sentimentale. Tutti sono vestiti con abiti dai colori neutri, declinati a seconda delle funzioni svolte, qualsiasi impeto emotivo o sentimentale è considerato sintono di malattia e, come tale, curato con medicinali inibitori, l’isolamento e, nei casi estremi, la dolce morte. In questo panorama gelido un uomo e una donna, colleghi di lavoro, scoprono l’amore e, di conseguenza, di essere affetti da SOS (Sindrome dell’accensione, Switched - on Syndrom) per cui decidono di fuggire in una ipotetica e pericolosissima penisola, oltre i confini della zona in cui vivono. Il loro tentativo fallirà, quantomeno per quanto riguarda l’uomo a cui sarà impiantato – giusto poche ore prima dell’appuntamento con la ragazza – un congegno che inibisce definitivamente i sentimenti. Il tema della privazione di ogni spinta emotiva – meglio della sua utilizzazione a fini economici – è decisamente importante, ma la regia rinuncia ad affrontarlo in profondità preferendo incamminarsi sulla via dell’amore contrastato, stile Giulietta e Romeo, approdando a un film più romantico che emblematico di un futuro possibile e terribile.
the danisch girl 2Valutazione di poco migliore quella a cui induce Tom Hooper con The Danish Girl (La ragazza danese) nato dal romanzo omonimo scritto, nel 2001, da David Ebershoffed ispirato alla vita dei pittori Lili Elbe (1882 – 1931) e Gerda Wegener (1886 – 1940). Una coppia in cui la moglie accompagnò il marito sino alla morte nonostante che l’uomo, avendo scoperto in sé una prepotente tendenza al femminile, si sottoponesse a un’evirazione con successiva ricostruzione vaginale che causò la sua morte poche ore dopo il secondo intervento. Eravamo nel 1926 e le tematiche transgender destavano ancor maggiorie scandalo di quanto non avvenga ai giorni nostri. Il regista prende in mano un tema, quello dell’identità sessuale profonda, di grande attualità e lo confezione in maniera raffinata ricorrendo a citazioni paesaggistiche e ambientali tratte dai pittori dell’epoca. E’ un film costruito in maniera perfetta che affronta un tema all’ordine del giorno, ma mostra un eccesso di precisione per risultare del tutto convincente e sfuggire al sospetto di un eccesso di furberia.
l-attesa 2In ogni caso meglio dell’esordio dell’italiano Piero Messina con L’attesa la cui una materia nasce da una rilettura de La vita che ti diedi, il dramma di Luigi Pirandello (1867 – 1936) ispirato alle sue novelle La camera in attesa (1916) e I pensionati della memoria (1914). Un testo scritto nel 1923 e messo in scena lo stesso anno al Teatro Quirino di Roma da Alda Borelli. Nel caso di questo film la storia è quella di una madre ancor giovane che subisce un lutto terribile: le muore (disgrazia, malattia incidente?) improvvisamente il figlio che era venuto a trovarla nella grande villa siciliana in cui lei vive in quasi solitudine tranne l’ambiguo rapporto con un fattore abile in mille cose quanto taciturno. Proprio nei giorni della disgrazia arriva la fidanzata del morto giunta nella grande magione per riconciliarsi con l’amato dopo un non meglio passato burrascoso. La madre le nasconde la morte del figlio e fidanzato e inizia con la ragazza un dialogo a mezza strada fra la relazione complice e il tentativo di sostituzione del morto con un’altra presenza viva. Il film è pieno di immagini inutili, come nel punto in cui la camera che segue il filo del telefonino sino alla presa elettrica a cui è attaccato e sequenze strampalate, come quella del bagno nel lago della ragazza con due giovani, uno dei quali dichiaratamente omosessuale (citazione di Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie?). In poche parole un film lento e sovrabbondante, pesante nella confezione e ruffiano nell’esaltazione di bellezze e riti isolani giustificati più dalla sponsorizzazione regionale che non da reali esigenze espressive.