02 Luglio 2014
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49mo Karlovy Vary International Film Festival |
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Conclusioni….
(U.R.) La quarantanovesima edizione del Festival di Karlovy Vary si è allineata a quella che sembra essere, almeno sino ad oggi, la tendenza nell’anno per quanto riguarda le grandi rassegne di film: una linea di sufficienza senza punte d’eccellenza. Così è stato per Berlino e Cannes, ove il livello medio si è mosso su un livello medio alto, ma dove sono mancati i titoli degni di essere ricordati in futuro. Qui solo tre film si sono staccati dal livello medio e non è detto che la giuria li premi. Ci riferiamo a La Tirisia del messicano Jorge Pérez Solano, a nostro giudizio l’opera nettamente più significativa, a Szabadesés (Caduta libera) dell’ungherese György Pálfi e a Simindis Kundzuli (L’sola del granoturco) del georgiano George Ovashvili. Un discorso a parte merita lo straordinario disegno animato Rocks in My Pockets (Rocce in tasca) della lettone Signe Baumane, un film che, per il suo stesso genere, esce dal campo della narrazione di tipo tradizionale. In al altre parole il segno complessivo della manifestazione, il cui bilancio quantitativo è stato particolarmente positivo con oltre cento ventimila biglietti venduti, tende a un livello medio - alto con pochi punti d’eccellenza. Non è una situazione nuova né attribuibile solo a questa manifestazione. Il cinema sta attraversando in tutto il mondo una profonda crisi di trasformazione cui ha contribuito pesantemente la tecnologia consentendo spettacolarizzazioni impensabili o di difficile realizzazione sino a pochi anni or sono. Possibilità che hanno spinto prepotentemente l’industria sulla strada dei supercolossi elettronici, ma hanno anche reso più difficile, almeno per il momento, la vita dei cineasti che si muovono su un terreno più attento alla sperimentazione e all’arte. A questo stato di difficoltà complessiva si sono accompagnate le crisi che hanno colpito alcune cinematografie sino a pochi anni or sono all’avanguardia nella innovazione e creazione. Il cinema cinese, salvo poche eccezioni, si sta indirizzando, anche grazie alle scelte politiche governative, verso una trasformazione in senso hollywoodiano. I film iraniani hanno subito e continuano a subire il peso di scelte politiche censorie e repressive. La cinematografia rumena, che aveva offerto esempi straordinari di vitalità, appare in una fasce di riflessione, forse gelata dallo stesso successo internazionale arriso ad alcuni autori di quel paese. Venute meno queste tre importanti fonti creative sono rimaste sul campo alcune cinematografie europee e qualche scintilla di quelle latinoamericane. Karlovy Vary ha registrato questo e non poteva far altro o far meglio.
...e qualche nota sparsa
(F.F.) Another view propone 33 titoli che hanno quale comune denominatore l’avere insoliti approcci artistici, in pratica film d’essay di buon interesse. Due sono i titoli italiani selezionati, L’arbitro di Paolo Zucca e La mafia uccide solo d’estate di Pierfrancesco Diliberto (Pif). Tra le proposte piu’ interessanti e che difficilmente entreranno in un circuito distributivo tradizionale c’è B’ella, film del Malawi che mostra un'Africa autentica e che è stato realizzato grazie soprattutto alla Repubblica Ceca che ha creduto in questo progetto. Ricerca di identità, la vera amicizia, il primo amore, i rapporti complicati in un gruppo, rispetto della cultura tradizionale, scoprendo punti di forza personali, il rispetto per i genitori, la vita e la morte. Regista e sceneggiatore Tawonga Taddja Nkhonjera racconta la storia di un adolescente di diciassette che ha problematriche comuni a tutti i giovani di tutto il mondo. La storia si svolge in un villaggio chiamato Chazunda; B'ella, questo il nome della ragazza, ha una sua idea precisa sulla vita degli africani e vive il disagio di essere troppo giovane per essere ascoltata e troppo adulta per accettare tutto senza discutere. Tra i temi trattati, piu’ vicini alle problematiche di questo piccolo paese con quattordici milioni di abitanti, l’AIDS, la parità tra uomini e donne, l'importanza dell'istruzione e l'autostima delle ragazze africane. Girato in venticinque giorni, con il regista che ha curato, sempre in Malawi, anche la post - produzione. Questo cineasta è attivo nel cinema con corti e documentari da sei anni, vorrebbe creare una scuola professionale nel suo paese e conta molto sul successo del film per convincere il governo. Laureato in antropologia in Australia, è sensibile a tutto quanto rappresenti differenze e simiglianze tra i popoli. Attori non professionisti, un risultato finale interessante ma che non riesce ad emozionare, un film comunque da guardare e discutere.
Nella sezione Orizzonti, che non prevede competizione, sono presenti ventotto produzioni recenti provenienti da tutto il mondo, tra cui alcune premiate in importanti festival. La presenza italiana è garantita da Il capitale umano di Paolo Virzì, Le meraviglie di Alice Rohrwacher e Incompresa di Asia Argento. Tra i titoli presentati di buon interesse l’inglese Starred Up (Preferiti su tutti) del quarantottenne David Mackenzie, autore che qui ha firmato il suo film migliore, premiato in vari festival internazionale: in Italia era arrivato Follia (Asylum, 2005), un thriller sentimentale non memorabile. E’ un’opera totalmente ambientata in una prigione la cui vita racconta con durezza, in maniera particolarmente realistica, quasi disturbante. Il diciannovenne Eric è prematuramente trasferito in un carcere per adulti ma non si preoccupa e si prepara a dare battaglia. Dopo che ha ridotto a malpartito un secondino, il direttore della prigione lo affida ad uno dei detenuti più anziani, Nev, che è anche suo padre. Eric, che è cresciuto con l’esigenza di attaccare per non soccombere, rifiuta le regole non scritte della prigione e si inimica tutti. Lo costringono ad entrare in gruppo di terapia psicologica e, dopo un primo rifiuto, finalmente puo’ confessare quali sono i suoi problemi e si sente meglio. Il giovane scopre che non solo è possibile controllare la sua rabbia e aggressività, ma anche di avere fiducia negli altri. L'opportunità per il cambiamento porta speranza, ma è boicottato in tutte le maniere dai capi della prigione. Il film è perfetto nella costruzione psicologica dei personaggi, ed è sostenuto da un ottimo gruppo di interpreti e da una sceneggiatura che si rifà alla tragedia classica. L’obiettivo scava dentro i volti, perfora i bui interni con una forza espressiva notevole che fa della claustrofobia la vera protagonista del film. Mackenzie non fa sconti agli spettatori e li costringe a subire la stessa violenza dei suoi personaggi. Bello, intenso, difficile da dimenticare.
La sezione che prevede competizione e un premio ufficiale è il Forum degli Indipendenti con dodici titoli tra cui una coproduzione italiana realizzata in collaborazione con Romania e Grecia: La mezza stagione, diretto da Fabrizio Caputo. Il film è stato realizzato grazie al intervento sia finanziario che di location della Apulia Film Commision. Nella prima scena si vede un vecchio che si lamenta di un mondo che non capisce più. Le sequenze successive gradualmente introducono i vari abitanti di un imprecisato villaggio italiano del sud e tante scene bizzarre in cui compaiono i personaggi delle tre storie che si uniscono in questa commedia dai toni anche drammatici che dura un’ottantina di minuti serrati. Alcune di queste figure le conosciamo nella vita di tutti i giorni e il regista ci fornisce scarse informazioni sui loro rapporti e sulla loro vita. Tuttavia, la sensazione che si ha, grazie anche al cupo commento musicale, e che accadrà qualcosa di nefasto, di inquietante. Il film si propone di esplorare il mondo della provincia italiana dove lo sforzo di vivere al passo coi tempi si scontra con tradizioni radicate profondamente. Rappresenta il nuovo progetto di un gruppo di giovani professionisti pugliesi: un film radicalmente indipendente e di ricerca che fonde cinema, musica sperimentale e critica culturale per raccontare personaggi e luoghi di una provincia sospesa tra tradizione e contemporaneità. Concepito nell’ambito del Berlinale Talent Campus, quest’opera si avvale della produzione della Taratata Film diretta da Danilo Caputo con gli attori in gran parte non professionisti. Cesare e’ un musicista elettronico che si ispira ai suoni che registra per strada e che trasforma in musica: per soppravvivere lavora in un albergo. Giovanni è il portiere di notte nello stesso albergo, ma non riesce a dormire durante il giorno a causa di tutti i rumori che lo circondano. Carosina, oppressa dalla voce minacciosa del padre morto, dovrà passare attraverso uno strano rituale per liberare se stessa da quel fantasma. Le storie si intersecano ma rimangono indipendenti tra loro. Il film dimostra come con un budget limitatissimo si possa realizzare qualcosa di interessante e sufficientemente originale.
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