49mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 2

Stampa
PDF
Indice
49mo Karlovy Vary International Film Festival
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
Pagina 9
Tutte le pagine

25637-all-yours(U.R.) La rassegna competitiva si è aperta con un una coproduzione fra Belgio e Canada non priva d’interesse. Je suis a toi (Sono tuo), secondo film narrativo del belga David Lambert, racconta il drammatico triangolo che si viene a creare fra un panettiere omosessuale che possiede una pasticceria in una cittadina di provincia, un marchettaro argentino e una donna canadese che sta allevando da sola un figlioletto dopo essere stata abbandonata dal marito. L’esercente incontra il giovane sud americano in internet, se ne incapriccia e gli offre un biglietto aereo affinché vada da lui. In realtà vuole anche sfruttarlo come garzone nel suo esercizio, unendo il piacere alla convenienza economica. Il giovane, che si prostituisce per denaro ma è eterosessuale, scopre sin dalle prime ore che ciò che gli è stato proposto odora di sfruttamento, sia sessuale che economico, e si ribella instaurando una relazione conflittuale con il padrone. La canadese lavora nella panetteria come commessa e anche lei ha un rapporto travagliato con il padrone che mostra sovente tendenze dispotiche anche nei suoi confronti. Le cose esplodono quando si scopre che il giovane è sieropositivo, ma sarà proprio la malattia a risaldare, forse sino ad una relazione amorosa stabile, i legami fra il giovane e la donna. Il film è girato in modo tradizionale seguendo una sceneggiatura abbastanza prevedibile, ma ha il merito di mettere assieme due temi, quello della diversità sessuale e quello dello sfruttamento economico, che solitamente sono affrontati in maniera indipendente. Qui la figura del padrone dominante, ma non privo di una sua malinconia esistenziale, assume un rilievo e una complessità tutt’altro che trascurabili, mettendo in ombra le figure dei due giovani che, invece, si muovono in un quadro più tradizionale.
25642-low-downJeff Preiss, autore molto conosciuto nel campo del cinema sperimentale, ha esordito nel film narrativo con Low Down (Depresso), un film basato sul libro di memorie, Low Down: Junk, Jazz And Other Fairy Tales From Childhood (Depresso, droga, Jazz, e altre fiabe dall’infanzia) che Amy-Jo Albany – qui anche in veste di sceneggiatrice - ha dedicato al padre, il famoso pianista jazz Joe Albany (1924 – 1988) uno dei pochi musicisti bianchi che hanno suonato la musica bebop con Charlie Parker (1920 – 1955). E’ un quadro abbastanza tradizionale in cui si mescolano genialità, abuso di sostanze, eccessi alcolici, il tutto immerso in anni, i primi settanta, segnati dagli orrori della guerra vietnamita e da un clima ufficiale marcato da tendenze apertamente reazionarie: sino al 1974 la presidenza del paese era nelle mani di Richard Nixon, a cui successe Gerald Ford. Questo intreccio di genialità e deboscia, speranza e conformismo è realizzato con immagini apparentemente banali, in realtà perfettamente in linea con gli ambienti e i personaggi che vi si agitano. Ne risulta un film affascinante nella forma, ben poco originale nella vicenda narrata che si ricollega, ancora una volta, al mito dell’artista maledetto, tanto più grande quanto umanamente fragile. Un testo che alterna fascino visuale a ovvietà narrative, ma che, nel complesso, offre un bilancio decisamente positivo. 

25315-afterlife(F.F.) Dodici titoli che racchiudono quest’anno anche la Grecia, la sezione forse più seguita da chi va a Karlovy Vary per avere un’idea di come si evolvono cinematografie meno note che spaziano tra Sloveni, Moldavi, Albanesi e tante altre che difficilmente riescono a trovare corretta circuitazione fuori dai loro paesi. Il primo titolo presentato è curioso, divertente ma anche in grado di fare pensare. Utóélet (Dopo la vita, 2014) è diretto dal debuttante ungherese Virág Zomborácz e, nei suoi novanta minuti, propone un tema interessante più per come è sviluppato che non come idea iniziale. Il protagonista è un ventenne diffidente e insicuro che ha terminato gli studi di teologia, voluti dalla famiglia molto religiosa ma non condivisi con entusiasmo da lui. E’ considerato strano e da seguire con attenzione perché’ non faccia male a se stesso ed agli altri. Vive con la sua famiglia in un villaggio molto isolato ed è quasi tenuto nascosto. Il rapporto con il padre autoritario è piuttosto complicato. Pastore temuto ed amato, non prende suo figlio molto seriamente e lo tratta con disprezzo. L’uomo viene stroncato da un infarto e muore, ma il suo fantasma comincia ad apparire a Mózes, l'unico della famiglia che possa vederlo e che continua a temerlo. Il giovane fa fatica a capire come lo spirito del padre potrebbe trovare la pace e, per la prima volta in vita sua, è messo in una situazione in cui deve prendere saldamente le redini per tentare, finalmente, di riconquistare la sua vita trasformando il rapporto con il padre. Il genitore, anche da morto, cerca di imporsi e di distruggere tutto quanto pensato o fatto dal figlio, ma alla fine si capisce che probabilmente il padre desiderava essere sicuro che il figlio fosse realmente maturo. Belli i personaggi collaterali con la sorellina timorata di Dio, la madre che si è autoannullata, la zia ninfomane. Debutto energico dello scrittore-regista Virág Zomborácz che gestisce con originalità il tema del lutto e le sensazioni che si hanno con la perdita di una persona cara. In una azzeccata miscela di generi, il film unisce episodi divertenti al limite del bizzarro con elementi di alta drammaticità.
25864-botaBota (Il mondo) è diretto in coppia da Iris Elezi e Thomas Logoreci che danno vita a una coproduzione che coinvolge Albania, Italia e Kosovo. Bota (in albanese significa il mondo o, meglio, ai margini del mondo) è un caffè - ristoro situato sul bordo di una vasta area di terreno paludoso in una parte remota dell’Albania. Il caffè è il punto focale per i protagonisti di questa storia che prende spunto da una realtà poco nota: le autorità avevano spostato persone indesiderate in questo luogo in cui c’erano solo terreni paludosi, alcune case popolari e tenta miseria. La affabile Juli, vita e anima del caffè, si prende cura di sua nonna malata Noje e ha parecchi problemi finanziari; il suo più grande desiderio è quello di lasciare il luogo che ha portato solo problemi alla sua famiglia. La sua amica nonché’ collega, la bella e capricciosa Nora, sta cercando sfruttare la sua relazione con un uomo sposato, il proprietario dai mille affari loschi della caffetteria e cugino di Juli, Ben. Quando inizia la costruzione di una nuova autostrada, vicino al bar, sembra che grandi cambiamenti sono imminenti. Ben cerca di corrompere l’ingegnere italiano affinché’ faccia cartelli falsi in cui si sia scritto che Bota è vicinissimo alla nuova strada, un uomo che gli ha prestato soldi lo vuole morto, l’amante rimane incinta, la nonna muore, e così via in un insieme di piccoli colpi di scena. La regione sperduta dove i nemici del regime, durante la supremazia comunista, sono stati inviati con le loro intere famiglie contro la loro volontà sono viste come apatiche vittime e l’unica che si ribella è proprio Juli. I realizzatori hanno sapientemente sfruttano il fascino del paesaggio desolato e hanno perfettamente evocano l'atmosfera di un luogo dove il passato è ancora terribilmente presente nella vita delle persone.