50° Thessaloniki Film Festival 2009 - Pagina 8

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50° Thessaloniki Film Festival 2009
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Danzare sul ghiaccio
Danzare sul ghiaccio
Questo Festival ha sempre riservato uno spazio di rilievo al cinema di casa. Quest’anno, causa anche il boicottaggio citato in apertura, questa sezione si è rivelata assai più esile del previsto. Per informazione citiamo alcuni titoli che vi sono comparsi. Orevondas ston pago (Danzare sul ghiaccio) è il secondo film narrativo del regista greco Stavros Ioannou e s’inserisce bene nel filone civile dedicato ai migranti, in particolare alle tragedie che deve affrontare chi tenta di passare clandestinamente da un paese all’altro. I precedenti non mancano certo, a iniziare da Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi sino ai più recenti Die Reise der Hoffnung (Il viaggio della speranza, 1990), del regista svizzero premio Oscar Xavier Koller, e Verso l’Eden (Eden à l'Ouest, 2009) di Costa-Gavras. Tre giovani donne, una russa, una bulgara e una rumena, si affidano a un passeur che, dalla Bulgaria dovrebbe farle arrivare in Grecia. Poiché tutte e tre sono giovani e carine, è ovvio che chi le aiuti a scavalcare i monti - un figuro così losco e violento che non si capisce come facciano a fidarsi di lui - cerca di violentarle. La cosa gli va bene con la prima, la russa si dimostra disponibile, mentre la rumena si ribella e lo uccide. Ora le tre donne sono sole nella fitta boscaglia che divide i due paesi e decidono di tentare il passaggio da solo. Pioggia, prima, e neve, poi, rendono la cosa particolarmente difficile. La rumena si ammala e muore per il freddo le altre due incappano in un branco di cacciatori che, tanto per cambiare, picchiano e violentano la russa. Mentre risparmiano la bulgara che ha i piedi congelati e, di lì a poco si lascerà morire sotto la neve. Quasi uno scherzo della sorte, perché lei è una provetta pattinatrice, da qui il titolo, che andava in Grecia nella speranza di proseguire la carriera. Rimane solo la russa che corre nella neve, forse si salverà, forse morirà anche lei. Lo spunto è stato offerto, dice il regista, da una storia realmente accaduta e non si stenta a crederlo: basta aprire un giornale in un qualsiasi giorno per trovare altre storie, di terra o di mare, che raccontano tragedie analoghe. Lo stile narrativo è fortemente influenzato dalla carriera documentaria del regista e dall’interesse che prova nei confronti del neorealismo. La macchina da presa propone ambienti veri, ci racconta una storia plausibile, punta in modo deciso sui sentimenti e sul dolore, ma non muove un passo in direzione di una ricerca d’innovazione linguistica, così come non si preoccupa minimamente di approfondire il tema che rimane molo simile a un dato di fatto quasi naturale e non determinato da un preciso ordine del mondo.
Piccole rivolte
Piccole rivolte
In ogni caso è opera infinitamente migliore di Mikres exegersis (Piccole rivolte) del pittore e teatrante greco Kyriakos Katzourakis. Il film parte dal ritrovamento di un affresco del pittore Manuel Panselinos (tredicesimo secolo) per imbastire una storiaccia che ruota attorno a un’attrice di provincia che assomiglia straordinariamente a uno dei personaggi del dipinto e ama un giovane ricercatore giunto nel piccolo villaggio in cui lei abita attratto dalla notizia della scoperta del dipinto. Il marito della donna non la prende bene e imbraccia il fucile minacciando di ucciderla se seguirà il suo amante. Dopo qualche anno il ricercatore ritorna nel villaggio e ritrova la donna che alleva, da solo, il bimbo nato dalla relazione adulterina. Così raccontata, può sembrare una storia semplice, ma il regista la riempie di fumisterie, passaggi temporali oscuri, citazioni incomprensibili. In poche parole è un gioco intellettualistico per nulla interessante.
La volontà di Padre Jean Meslier
La volontà di Padre Jean Meslier
I diachili tou lerea Ioanni Meslier (La volontà di Padre Jean Meslier) di Dimitris Kollatos prende spinto dalla figura del prete Jean Meslier (1664 – 1729), considerato uno dei precursori del socialismo, e dal suo testamento in cui chiedeva scusa ai fedeli per quanto di falso aveva predicato in tutta la vita, per aver mentito nell'esercizio di una professione di prete non consona alle sue convinzioni filosofiche. Il film è stilisticamente ingenuo, quasi un’opera amatoriale e racconta di un prete dei giorni nostri che esercita in una parrocchia dell’isola di Tinos ed è ossessionato dagli stessi dubbi del suo illustre predecessore. Lo è al punto di gettare la tonaca alle ortiche. E' un film generoso nel suo acceso ateismo ma grezzo nella forma e nello stile.
Baretto
Baretto
E’ anche quanto accade in Kantina (Baretto) di Stavros Kaplanidis che mette al centro del suo lavoro un baracchino gestito dal quarantenne Philippos che serve bevande e carne alla piastra, assistito dal cinico Odysseas, nello slargo di una strada costiera. Il quasi ristorante è aperto dal tramonto all’alba e vede passare personaggi di ogni tipo: donne sole, turisti in gita, rapinatori maldestri, guardie del corpo da fotoromanzo. Dovrebbe essere il quadro di un’umanità varia, ma non va oltre la commedia popolare, piuttosto sgangherata e mal fatta.