11° Festival del Cinema Europeo

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11° Festival del Cinema Europeo
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Lecce 2010
Il Festival del Cinema Europeo di Lecce è giunto all’undicesima edizione confermandosi una delle manifestazioni cinematografiche più interessanti del panorama italiano. Un’iniziativa che coniuga proficuamente un saldo rapporto con il territorio a una forte vocazione all’internazionalizzazione del lavoro. In altre parole uno sguardo sul mondo mediterraneo che parte dalla città per allargarsi a tutte le cinematografie dell’area. Da un punto di vista organizzativo ci sono alcune sbavature ampiamente compensate dal calore che percorre l’intera iniziativa ricollegandosi a quella classica maniera di fare festival che non si limitava all’esibizione delle opere o, peggio, al loro commercio, ma si allargavano ai rapporti umani, alla messa in contatto di artisti e critici, produttori e operatori culturali. E’ questo l’aspetto migliore di quest’iniziativa: un comportamento antico che non rinuncia, anzi ricerca la modernità. Anno parte del primo aspetto le numerose iniziative culturali (convegni, presentazioni di libri, incontri) che si addensano nel programma. E’ esempio di modernità la ricerca di mezzi tecnici e sistemi di proiezione aggiornati.
Disperati nella Casa dello Studente
Disperati nella Casa dello Studente
L’edizione 2010 ha visto il coronamento, in particolare di due titoli. Desperados on the Block (Disperati nella Casa dello Studente) di Tomasz Emil Rudzik, un regista polacco attivo nel cinema tedesco, ha vinto il maggior riconoscimento messo in palio dalla manifestazione, il premio dei critici della FIPRESCI e quello CINEUROPA. All’origine c’è un saggio di fine anno alla Scuola di Cinema a Monaco in Baviera trasformato, con il supporto della televisione tedesca, in lungometraggio vero e proprio. Sono tre storie centrate su altrettanti studenti stranieri ospitati in un enorme edificio adibito a Casa dello Studente. C’è il cinese bravo in matematica che fa lo sguattero per mantenersi agli studi e che deve vedersela con una capricciosa ragazza tedesca i cui genitori lo hanno assunto per darle ripetizioni. C‘è il lettone sordomuto che non sa come conquistare la bella bibliotecaria su cui ha messo gli occhi. C‘è la giovane studiosa di teologia che viola, uno dopo l‘altro, i dieci comandamenti nella speranza che, così facendo, induca Dio a darle un segnale della sua esistenza. Il film è costruito con grande professionalità e con sapienza nell’incastro delle varie storie. Alcuni passaggi sono forse troppo prevedibili, ma nel complesso l’opera è robusta e molto interessante.
9:06
9:06
L’altro titolo che ha accolto il consenso dei giurati, guadagnandosi l’ex aequo nel riconoscimento speciale della giuria e l’alloro per la migliore fotografia, è stato 9:06 dello sloveno Igor Sterk. L'opera ruota alla complessa psicologia di un poliziotto in crisi familiare – ha divorziato da poco dalla moglie che lo accusa di essere responsabile dell’incidente d’auto in cui è morta la loro figlia – chiamato a indagare sul suicidio di un pianista omosessuale che si è gettato da un viadotto. Progressivamente l’agente entra nei panni del morto, ne occupa la casa, concupisce l’amante e s’identifica in lui siano a uccidersi nello stesso modo e alla medesima ora, quella in cui cosmonauta russo Jurij Alekseevic Gagarin (1934 – 1968) compì, il 12 aprile 1961, la prima missione nello spazio a bordo della navicella Vostok 1 (Oriente 1). La costruzione psicologica è molto accurata e l’interpretazione di Igor Samobor è di primissima qualità, così come la struttura del racconto e lo sviluppo della storia. Il che fa dimenticare gli accostamenti, fatti da alcuni critici, con L’inquilino del 13mo piano di Roman Polanski. In poche parole un piccolo gioiello che trova nella misura contenuta del racconto, un’ora e 11 minuti, la secchezza indispensabile a realizzare una costruzione precisa e coinvolgente.
Anch'io
Anch'io
Questo film ha diviso il riconoscimento speciale della giuria con lo spagnolo Yo, Tambien (Anch’io) di Álvaro Pastor e Antonio Naharro che ha ricevuto anche il premio del pubblico e quello del Rotary Club Gallipoli. E’ una bella storia d’amore fra un trentenne Down e una donna matura e spregiudicata. Lui è un piccolo genio, nonostante la malformazione si è laureato, ha un acuto senso dell’umorismo è colto e s’intende d’arte. Lei si porta dentro il trauma causatole dagli abusi sessuali subiti, quando era bambina, dal padre. L’ambiente circostante, un ufficio dedicato all’inserimento nella società delle persone con abilità limitata, non facilita il loro rapporto che, nonostante i molti ostacoli sortirà in un quasi lieto fine. E’ un film generoso, retto da attori molto bravi, Pablo Pineda ha ricevuto il premio per l’interpretazione al Festival di San Sebastian 2009, che affronta, con qualche sentimentalismo eccessivo, un tema solitamente velato da pregiudizi e paternalismi.