05 Novembre 2013
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54° Thessaloniki Film Festival 2013 |
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54mo Festival Internazionale di Salonicco
1-10 novembre 2013
Il Festival Internazionale del cinema di Salonicco, giunto alla 54ma edizione, è una delle maggiori manifestazioni europee del settore. Una rassegna che si dispiega su più percorsi: dalla sezione competitiva dei lungometraggi a quella dei corti oltre a numerosi omaggi e retrospettive: Una delle forze di questa manifestazione è la forte affluenza di giovani spettatori, una caratteristica che ha giustificato un importante intervento finanziario a sostegno della rassegna da parte della Comunità Europea. In un momento in cui questo paese si batte contro difficoltà economiche che sembrano insormontabili, va dato atto agli organizzatori di questa manifestazione di non aver ceduto di un millimetro sul paino della qualità e del livello culturale della proposta.
Fra i primi film in cartellone una menzione merita Bluebird (L’uccello azzurro), opera prima dell’americano Lance Edmands che si muove su un versante diverso da quello del cinema psicologico classico. In una piccola cittadina del Maine, in inverno, una matura conduttrice di scuola – bus che, per aiutare la famiglia, fa anche la cameriera in un ristorante, trascura di controllare a fondo il mezzo che ha appena parcheggiato in deposito, distratta da un uccellino azzurro che si è intrufolato nel veicolo. Uno dei piccoli si è addormentato sul fondo, la notte e rigidissima e, la mattina seguente, lo ritrovano in stato di coma. Inizia la girandola della ricerca delle responsabilità e l’arrivo di un avvocato che prende in mano la causa in nome della madre del ragazzo, spinge la poveretta sino al tentativo di suicidio e getta nella disperazione l’intera famiglia. Un microcosmo formato da un padre che guida grandi macchine addette al taglio degli alberi e che, proprio in quelle ore, viene a sapere che dovrà andare a lavorare lontano da lì e una figlia irrequieta che perde, consenziente, la verginità con un coetaneo che, la mattina dopo, mostra di ignorarla. Tuttavia più che i fatti raccontati l’interesse del film è nella descrizione di questa America profonda che vive in un mondo separato da tutto il resto. Donne e uomini che ignorano, né hanno nessun interesse di conoscere, ciò che capita oltre i confini della loro cittadina e per i quali il mondo esterno è solo una fonte di pericoli. In questo la figura dell’avvocato che viene da fuori la ristretta cerchia dei protagonisti, assume un ruolo particolarmente significativo. Non un grande film, ma un’opera interessante e pregevole.
Era cosa nota che Valeria Golino fosse un’attrice sensibile e brava, con Miele scopriamo anche le sue doti di regista precisa e originale. E’ la storia - tratta dal romanzo Vi Perdono (2009) di Angela del Fabbro, pseudonimo di Mauro Covacich (1965), di Irene, soprannominata Miele, che vive aiutando le persone a morire. Il tema è, dunque, quello del suicidio assistito, operato dalle mani di una candida trentenne che entra in crisi quando le propongono di aiutare a morire un professionista sulla settantina che gode di buona salute, ma è oppresso della noia del vivere. E’ a questo punto che la giovane si rende conto che questo è un vero e proprio omicidio, un delitto non velato da alcuna giustificazione umanitaria. E’ una crisi che la induce a ripensare la sua intera vita e a mettere in discussione anche i rapporti utilitaristi che ha con un paio di partner, con uno dei quali mescola letto e affari. Ne emerge il ritratto impietoso e terribile di una donna sola, che sublima nel rituale - preciso e quasi insensibile - di dare la morte agli altri un terribile vuoto esistenziale. E’ anche il momento in cui la giovane si rende conto che persino i malati terminali più disperati non hanno, in realtà, alcuna vera voglia di morire. Sono avvinghiati alla vita anche quando questa impone condizioni terribili. E’ un viaggio all’interno della coscienza che approda solo a una quiete momentanea e lascia più domande che risposte. Un testo di questo tipo richiedeva un interprete di grande sensibilità e Jasmine Trinca (1981) mostra abbondantemente di possederle entrambe con un’interpretazione mirabile in cui contano più i silenzi che le parole.
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