06 Dicembre 2010
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51° Thessaloniki Film Festival 2010 |
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51mo Festival Internazionale di Salonicco
3-12 dicembre 2010
Il Festival internazionale del film di Salonicco ha superato i cinquanta anni, un età importante per qualsiasi manifestazione. Purtroppo levento è stato celebrato fra mille difficoltà legate ad una crisi economica che in Grecia ha colpito in modo particolarmente pesante. Intralci che non hanno impedito la formazione di un cartellone di grande interesse come il polacco Erratum è il titolo del film d’esordio del regista polacco Marek Lechki che ha costruito il doloroso ritratto di un giovane, un tempo musicista, che lavora in un’azienda dominata da un capo dispotico. Questi lo manda in un porto baltico, non lontano dalla città ove il giovane è nato, con l’incarico di ritirare la lussuosa auto che si è fatto arrivare dall’estero.
Durante il viaggio di ritorno l’impiegato travolge e uccide un barbone alcolizzato, proprio nella cittadina in cui vive ancora suo padre, che lui non vede da anni. L’incidente e la necessità di riparare la macchina lo costringono a rimanere nei luoghi natali, prima malvolentieri, poi con sempre maggior interesse. Allo stesso modo cresce in lui la voglia di conoscere la storia del morto, scoprirne le ragioni del progressivo declino, curarne i funerali quale sorta di risarcimento al male fatto. Allo stesso tempo scopre che suo padre vive in una miserabile solitudine, che i suoi amici di un tempo continuano a coltivare il sogno della musica e si riallaccia ad ambienti e persone che credeva di essersi lasciato definitivamente alle spalle. E’ un percorso di congiunzione fra l’ieri e l’oggi che mette in luce sia la tristezza del passato, sia l’insopportabilità e l’inumanità del presente. Proprio come rileva il titolo, è un itinerario che mira a precisare ciò che è stato e a definire meglio ciò che è. Un film non nuovissimo ma girato con grande abilità e percorso da una malinconia del vivere che profuma di sincerità. Un solo appunto riguarda la prestazione dell’interprete principale, Tomasz Kot, che è troppo bello e prestante per rendere credibile sino in fondo una figura macerata dai dubbi e lacerata dai sensi di colpa.
Animal Kingdom segna l’esordio dell’australiano David Michôd, un ex giornalista di cronaca nera che si addentra, con occhio disincantato, nel mondo della malavita di Victoria. L’apertura è folgorante: il giovane Josh Young è seduto sul divano accanto a sua madre, a guardare la televisione. Poco dopo arriva un gruppo di paramedici e scopriamo che la donna è morta di overdose. In tutto questo tempo il ragazzo non ha smesso di guardare le immagini di uno dei tanti programmi d’indovinelli trasmessi sul piccolo schermo. Rimasto orfano, del padre non si parla mai, va a vivere con la monna, una specie di matrona nevrotica i cui figli hanno formato una banda di rapinatori di banche e spacciatori, in perenne conflitto con una polizia che non esita a usare modi spicci per eliminarli. E’ una guerra che non ammette prigionieri e in cui tutte le efferatezze sono permesse. Lentamente il giovane precipita in questo inferno, sino a sfiorare la delazione. Sarà l’uccisione, da parte del fratello, della ragazza che ha incontrato in quella feroce famiglia e della quale si è innamorato, a spingerlo alla vendetta e, in partica, a mettersi al livello di questo regno animale. Il film ha vinto numerosi premi, fra cui uno dei maggiori del Sundance Film Festival, è pervaso da una straordinaria lucidità nella descrizione di un mondo in cui non ci sono buoni o cattivi, ma solo animali pronti a uccidere per sopravvivere o per il proprio benessere. E’ una prova di maturità registica davvero fuori dal comune e un film destinato a rimanere a lungo nella mente.
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