48°Thessaloniki Film Festival 2007

Stampa
PDF
Indice
48°Thessaloniki Film Festival 2007
Pagina 2
Pagina 3
i premi
Tutte le pagine
Image Il festival Internazionale del film di Salonicco è giunto alla 48 edizione con un netto miglioramento della struttura organizzativa, molti titoli in cartellone e numerosi omaggi, tributi e quant’altro: John Sayles, William Klein, Nikos Nikolaidis, John Malkovich, Haskell Wexler, William Klein e vari altri. La qualità complessiva dei film in cartellone, anche se mediamente accettabile, non è stata sempre esaltante, colpa, anche di una situazione generale segnata, sia dalla crisi del cinema di qualità a livello mondiale, sia della politica delle grande manifestazioni (Cannes, Venezia, Berlino) che tendono ad accaparrarsi qualsiasi cosa pur di sottrarla ad ogni possibile concorrente. La sezione che ha destato maggiore curiosità è stata quella dedicata alla cinematografia nazionale, anche se sono stati solo tre i titoli, entrambi presenti anche nella sezione competitiva internazionale, che hanno suscitato un vero interesse. Diorthosi (Correzione) è l’opera seconda di Thanos Anastopoulos che ha esordito nel 2004 con Olo to varos tou kosmou (Tutti i pesi del mondo), presentato al Festival di Rotterdam dello stesso anno.
Image
Correzione
Questa sua nova fatica segue il percorso stilistico della prima, con un serrato utilizzo della macchina da presa che pedina in modo serrato il personaggio al centro della storia, lo fotografa con immagini a volte sgranate, quasi documentaristiche, privilegia i silenzi sulle parole. Il protagonista esce dalla prigione, tenta a più riprese di parlare con la figlia e ex - moglie, quest’ultima lo respinge con rabbia e lo minaccia, è aggredito da alcune persone che gli rimproverano un non meglio precisato tradimento, non ha casa né mezzi di sussistenza e finisce con accamparsi, come un barbone, sotto le finestre dell’ex – moglie. Solo negli ultimi fotogrammi scopriremo che ha subito una dura condanna per aver ucciso un tifoso prima di un’importante e arroventato match fra le nazionali di Grecia e Albania. Possiamo dedurne che non si tratta tanto di un delinquente nel senso tradizionale del termine, quanto di un ultrà che ha sfogato nel tifo frustrazioni profonde. La regia non prende posizione, non condanna l’assassino né lo assolve, ma lo segue con sguardo freddo, verrebbe da dire scientifico. Un testo come questo richiede un’interpretazione eccezionale e Yorgos Simeonidis la fornisce oltre ogni aspettativa. Anche se siamo in presenza più di un film di situazione che ad uno in cui è raccontata una storia costruita secondo canoni tradizionali, possiamo affermare che è un’opera che dice molte più cose di quante non appaiano immediatamente sullo schermo. Ci parla, ad esempio, di uno dei grandi problemi della società ellenica: il razzismo e a tratti, l’odio, verso i vicini albanesi, anche dei moltissimi d’origine greca. E’ questo un tema cui sono stati dedicati già molti film a testimonianza di un nervo scoperto che non cessa di dolere.
Image
Elli Makra – 42277 Wuppertal,
Dall’immigrazione verso la Grecia all’emigrazione greca vero paesi più ricchi, in questo caso la Germania. Ce ne parla un film, entrato in cartellone come produzione tedesca, ma che ha tutti i titoli per essere catalogato sul versante ellenico, è Elli Makra – 42277 Wuppertal, opera d’esordio del regista greco Athanasios Karanikolas, autore anche del corto Mein Erlöser (Il mio liberatore, 2002) vincitore dei festival di Caparbio e Oberhausen. Elli, figlia di una famiglia d’origine greca, vive nella città tedesca di Wuppertal, nella Westphalia. Lei, le sue due sorelle e la figlia di una di loro, sognano di ritornare in una Grecia che è più frutto della loro immaginazione che non un paese reale. Un miraggio che collide con una difficile vita d’operaia, un clima grigio, le difficoltà della vita. Stanca del lavoro e degli obblighi che l’accompagnano, se ne va sbattendo la porta e inizia a vivere un periodo di libertà violando ogni schema e insegnando alla nipote a comportarsi come lei. E’ solo una breve parentesi perchè i problemi reali e le condizioni sociali inizieranno ben presto a fasi sentire. Il film costruisce un bel ritratto d’inquietudine e sogni al femminile, disegna il profilo di una donna libera, anche sessualmente, ma imprigionata in una sorta di gabbia sociale e umana che la opprime sino all’insopportabilità. Il taglio stilistico si avvicina molto a quello del documento reale, un po’ come sono piace ai fratelli Dardenne, così come si può ricollegare al loro cinema anche lo sguardo quotidiano che marca il film. Non è un’opera straordinaria o indimenticabile, ma anima un bel racconto in cui la descrizione delle psicologie appare precisa e misurata.
Image
Valse Sentimentale
Costantina Voulgari porta un cognome cinematograficamente pesante e, come tutti i figli d’arte, tende a liberarsi del fardello praticando modelli stilistici del tutto incompatibili con quelli cari al padre. Il suo film d’esordio, Valse Sentimentale, è il ritratto di due solitudini, quelle che segnano la vita di un ragazzo e una ragazza che non credono in nulla, vivono alla giornata trascinandosi fra divani consunti, spinelli, bar fumosi, discussioni che riguardano tutto e niente. I due s’incontrano e tentano di dare un senso alle loro vite, mettendo assieme i rispettivi vuoti esistenziali. Naturalmente la cosa non funziona e, nonostante momentanei attimi di comprensione, la fine è segnata da una disperazione costante e invincibile. Il film ha poco d’originale e batte sentieri già ampiamente tracciati, compreso un taglio fotografico marcescente e cupo, tutt’altro che originale in racconti del genere. Ciò che salva il film da un bilancio totalmente negativo è un occhio cinematografico preciso e una mano salda nella costruzione delle inquadrature, dati non usuali per una regista di neppure trent’anni.
Image
Metamorfosi
Da notare, infine, la costanza con cui Costas Sfikas prosegue il lavoro sul cinema sperimentale e di ricerca. La sua ultima fatica, Metamorfosi, conferma lo stile di un autore che predilige la commistione fra musica colta e immagini libere da ogni vincolo narrativo. Uno stile che spazia dal disegno animato al collage, all’uso dell’elettronica. In questo caso il riferimento, molto libero, è al racconto omonimo di Franz Kafka (1883 – 1924) qui utilizzato secondo la linea che segna il lavoro di quest’artista, vale a dire la rappresentazione del rapporto fra l’uomo e le merci - meglio, la dominazione delle prime sul secondo - e il processo di alienazione che ne deriva. E’ davvero sorprendente che una piccola cinematografia, da un punto di vista quantitativo, come questa abbia la sensibilità di permettere ad un autore così raffinato e alieno da qualsiasi compromissione mercantile di continuare a percorrere una strada che, commercialmente parlando, non ha quasi possibilità di sbocco, ma segna un alto valore culturale.