24 Novembre 2009
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50° Thessaloniki Film Festival 2009 |
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Fra le molte sezioni collaterali del festival ce nera una dedicata al cinema filippino. Qui abbiamo visto due film del regista Brillante Mendoza che confermano leterogeneità degli interessi e dello stile di questautore. Kinatay (Macellata) racconta la notte interminabile passata da un giovane studente di criminologia che ha appena regolarizzato il legame con la donna che gli ha dato un figlio. Lo studente, per consentire alla compagna di studiare a sua volta, si mette al servizio di una banda incaricata di punire una prostituta che non ha pagato la droga che le è stata fornita. La donna è sequestrata, picchiata, stuprata e, alla fine, squartata. Un bel programmino lungo poco meno di due ore, girato con macchina a mano e con toni cupi, spesso nel buio quasi totale. Lo scopo dovrebbe essere quello di denunciare la violenza e l'incapacità della polizia a porvi rimedio, in realtà il tasso di compiacimento è talmente alto da rasentare il disgusto. Come già accadeva nel precedente Serbis (2008) l'impressione è di un'operazione furba, che solletica i peggiori istinti dello spettatore facendo finta di denunciarli.
Completamente diverso Lola dello stesso autore che sembra opera di un altro cineasta. Le due Lola che compaiono del film sono le anziane nonne di nipoti coinvolti in un terribile fatto di sangue. Una è la parente di un giovane ucciso, laltra lava del probabile omicida. Tutto si svolge in parallelo e nel corso di poche giornate, da una parte cè la preparazione del funerale della vittima e la richiesta di giustizia, dallaltra il tentativo di alleviare la condizione del detenuto e la ricerca di una somma sufficiente a tacitare i parenti del morto in modo che il giudice possa concedere la libertà in attesa di giudizio. Ciò che il regista ci dice con queste vicende parallele è che non vi sono né vittime né carnefici, ma solo poveri esseri umani in balia di una società violenta e classista. Il film è ben costruito e girato abilmente, anche se la tesi principale che vi circola appare non del tutto convincente e rischia di sembrare eccessivamente assolutoria. Labilità del cineasta cè tutta, ma ciò che convince di meno è il senso complessivo delloperazione e il significato essenziale del discorso.
Eastern Play (Drammi occidentali) del bulgaro Kamen Kalev è il classico ritratto delle drammatiche condizioni, morali e materiali, in cui sono piombati i paesi ex socialisti dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dellUnione Sovietica. Il filo del racconto passa attraverso le storie di due fratelli: un artista frustrato, appena uscito dal baratro della droga, e un giovane tentato dalla violenza di una banda fascista e razzista. Tutt'attorno ci sono famiglie distrutte, donne emarginate, politici disposti a usare la delinquenza comune per raggiungere i propri obiettivi di potere. Esaminato da un punto di vista stilistico, il film non contiene grandi elementi di novità, ma ha il pregio di affermare con forza lo stato di profonda decadenza e violenza diffusa di cui sono preda molti paesi dellex Europa orientale.