50° Thessaloniki Film Festival 2009 - Pagina 3

Stampa
PDF
Indice
50° Thessaloniki Film Festival 2009
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
I premi
Tutte le pagine
Verso nord
Verso nord
Il premio per la migliore regia è andato a Norteado (Verso nord) del messicano Rigoberto Perezcano è un bel quadro sociale che ha al centro un giovane che tenta di entrare illegalmente negli Stati Uniti passando per la frontiera vicina alla città di Tijuana. Scoperto e respinto due volte, forse riuscirà nell’impresa nascondendosi in una poltrona trasportata dall’anziano Asensio, che ha incontrato nella città di confine. Sempre nella cittadina di confine ha conosciuto due donne, entrambe vedove bianche dell’emigrazione clandestina. Ela gestisce un negozietto di generi alimentari e Cata la aiuta. Entrambe finiscono nel letto del prestante aspirante emigrante, che ha lasciato al villaggio moglie e figli, dando cita a storie d’amore intrecciate da cui emerge la profonda solitudine e la miseria in cui sono immerse queste genti che vivono quasi in miseria davanti alla porta degli Stati Uniti. Il film intreccia con abilità e misura storie individuali e sguardo generale, sonda con acutezza le psicologie dei personaggi, ma non tralascia il panorama complessivo in cui sono inserite. E’ un’opera importante, robusta nella costruzione e precisa nel tratteggio dei caratteri.
Il giorno che Dio è andato in ferie
Il giorno che Dio è andato in ferie
Ruth Nirere, interprete di Le jour où Dieu est parti en voyage (Il giorno che Dio è andato in ferie) del belga Philippe van Leeuw, ha ottenuto il riconoscimento per la migliore interpretazione femminile. Il film ci riposta ai primi giorni del genocidio ruandese, fra il 6 aprile e la metà di luglio del 1994. In questi cento giorni gli hutu scatenarono una caccia ai tutsi (Watussi) non risparmiando donne, vecchi bambini. La scintilla che fece esplodere la carneficina fu la morte del presidente Juvénal Habyarimana, il cui aereo fu abbattuto da un missile terra aria che mai si seppe con sicurezza lanciato da chi mentre era di ritorno, insieme al collega del Burundi Cyprien Ntaryamira, da un colloquio di pace che avrebbe dovuto stabilire una tregua negli scontri fra le due etnie. I morti furono più di un milione, la maggior parte uccisi a colpi di machete. In quell’atmosfera terribile la giovane tutsi Jacqueline riesce a salvarsi nascondendosi, prima, in una soffitta e fuggendo, poi, nella foresta. Qui incontra un uomo ferito, ma anch’egli sopravvissuto. Lo cura urinando sulla ferita e vive con lui qualche settimana. Quando l’uomo trova, casualmente, un machete e inizia a costruire una capanna, lei fugge nuovamente e ritorna, ben sapendo che cosa la attende, nel villaggio da cui era fuggita. Il film è girato molto bene, con pochissimi dialoghi e un’ottima direzione d’attori. Mette da parte, sin quasi dalle prime sequenza, qualsiasi connotato storico per concentrarsi su una fuga dal pericolo fuori dal tempo, né segnata da un preciso luogo geografico. Una lotta per la sopravvivenza contro il tempo, gli uomini e gli elementi che tende ad assumere un valore universale. Così facendo perde non pochi punti di forza e si allinea alle mille altri racconti di fughe già visti.
Persone scomparse
Persone scomparse
Altri riconoscimenti sono andati a Sarameul chatseumnida (Persone scomparse) del sudcoreano Lee Seo e a Es Kommt der Tag (Il giorno verrà), opera seconda della tedesca Susanne Schneider. Il primo ruota attorno alla figura di un minorato mentale, angariato e usato come uno schiavo dal proprietario di un’agenzia d’affari. Il piccolo boss - dotato di moglie, figli e amante - lo utilizza per affiggere volantini di ricerca di persone e animali scomparsi senza sapere che alcuni sono stati sequestrati e uccisi proprio dal disabile. Quest’ultimo soffre di una sindrome che potremo definire del cane, nel senso che vive come un animale e ambisce solo ad avere un padrone. Quando il piccolo affarista scopre le malefatte dell’invalido e lo licenzia, questi lo uccide e ne occulta il corpo. Ora è il volto del piccolo boss ad apparire sui manifesti delle persone scomparse. Il subnormale, intanto, è alla ricerca di un nuovo padrone. Dovrebbe essere una sorta di metafora della dipendenza dal potere autoritario e dei crimini di cui si macchiano i servi incapaci di distinguere gli ordini giusti da quelli sbagliati. Dovrebbe, ma il film cozza contro l’eccessiva specificità psicologica del caso. Lo stile narrativo tende a confondere i piani del racconto e questo non facilita lo scorrimento della storia. Inoltre i toni sono sistematicamente sopra le righe: l’invalido ha un aspetto ributtante, il titolare dell’impresa è antipatico, bugiardo e violento con i deboli, insomma stereotipi più che personaggi adeguatamente costruiti. In altre parole, una corsa al limite che pesa negativamente sul bilancio dell’opera.
Il giorno verrà
Il giorno verrà
L'opera della regista tedesca ruota attorno a Judith, una viticoltrice alsaziana che conduce, con il marito francese e due figli, un’azienda che ha conosciuto giorni migliori. Un giorno le capita in casa la giovane Alice che si comporta in modo strano. Presto scopriremo che anche lei è figlia sua. La donna l’ha abbandonata trenta anni or sono quando, partecipando a una banda di terroristi, stile RAF (Rote Armee Fraktion), aveva dovuto fuggire dopo aver commesso un omicidio nel corso di una rapina di autofinanziamento. Il passato riemerge, la nuova famiglia, che nulla sapeva, ne è sconvolta, la ragazza appena arrivata, pretende una sorta di nemesi. L’avrà con la decisione della madre di ritornare in Germania per consegnarsi alla polizia. Lo farà davvero? La macchina da presa la lascia che guarda incerta le prime case oltre la frontiera. Il tema dell’eredità del terrorismo politico è argomento di prim’ordine che assume, in Germania, toni particolarmente drammatici in considerazione della ferocia mostrata dai brigatisti e dell’altrettanta violenza con cui lo Stato li ha combattuti. Su questo versante il film ha il merito di affrontare temi e drammi tutt’altro che sopiti, ma ha anche la debolezza di farlo attraverso una storia molto privata, una vicenda in cui psicologie e scambi interpersonali finiscono per avere largamente la meglio sul quadro sociale. Lo stile narrativo è classico, la regista non cerca tanto i colpi di scena, quanto la rappresentazione corretta dei personaggi. In definitiva un film ben costruito, ma meno coraggioso si quanto era lecito attendersi.