Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008 - settimo giorno

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Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008
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Martedì 2 settembre – Settimo giorno
Teza
Teza
Giornata dedicata ai film sulla storia, reale o letta come metafora. Ha dato il via Teza di Hile Gerima, etiope esule in Germania, che ha raccontato le vicende del suo paese fra la fine del regno di Hailé Selassié (1892 –1975) nel 1974, e i bui anni della dittatura socialista del generale Haile Mariam Mengistu, sino alla guerra civile scatenatasi fra i due tronconi del Partito Comunista Etiope, uno devoto all’URSS morente, l’altro filo-albanese. Il tutto è rivisto con gli occhi di un biologo formatisi nella Germania dall’Est, ritornato in patria dopo aver subito una grave menomazione nel corso di un’aggressione razzista e teso a ricostruirsi una vita normale nonostante i pregiudizi, gli odi classisti, il disordine politico che segnano nel profondo la realtà etiope. Il film è generoso nell’esposizione di una storia cui l’Occidente ha prestato ben poca attenzione, mescola momenti fantastici, tipici del cinema animista africano, con brani quasi neorealisti. Nel complesso il melange funziona bene e, anche se l’opera non raggiunge altissimi livelli espressivi, ci consegna un testo interessante e di affascinante lettura.
Soldato di carta
Soldato di carta
La metafora si complica con Bumaznyj Soldat (Soldato di carta) del russo Alexey German jr. Il protagonista del film è l’ufficiale medico incaricato dell’assistenza al primo cosmonauta sovietico, Jurij Alekseevič Gagarin (1934 - 1968), mandato in orbita per poche ore nel 1961. Lo scenario è, soprattutto, quello dell’inospitale steppa del Kazakistan, nel pressi di quello che sarà il cosmodromo Bajkonur, qui il protagonista vive giorni tormentati dalla malattia cardia che lo affligge e il rovello per i rischi che infligge al futuro uomo delle stelle, il cui ritorno incolume sulla terra non è affatto scontato. In poche parole è un grumo assai denso e complesso di patemi personali che rappresentano le tensioni e il clima del primo disgelo sovietico. Un pausa di luce fra ferite dei crimini staliniani e timide speranze di apertura politica e culturale. Il film mette molta, troppa carne al fuoco e appesantisce ulteriormente il discorso con una stile basato su immagini livide, in pieno stile leningradese, primi e primissimi piani, ossessivamente allineati, discorsi smozzicati che si sovrappongono e non concludono. Il tutto a testimoniare un caos morale che sfocerà nella lunga glaciazione brezneviana. Non è una prova riuscita in pieno, mancano troppi collegamenti fra i fatti per questo lo spettatore, non esperto di cose sovietiche, rischia di trovarsi eccessivamente frastornato. In complesso una proposta curiosa e interessante, ma frammentaria e parziale.
Notti dei cani
Notti dei cani
Metafora pura e scarsa comprensibilità, invece in Nuit de Chien (Notte di Cani) che il tedesco Werner Schroeter ha tratto dal romanzo Para esta noche (Per questa notte) di Juan Carlos Onetti. Il film è ambientato nella città portoghese di Porto, mai citata, e racconta una notte di sangue, torture, assassini durante una guerra civile fra le fazioni di un partito salito al potere elargendo grande speranze di rinnovamento e trasformatosi in una serie di ghenghe di potere. Tutto è indistinto, si potrebbe parlare del nazismo, come del comunismo staliniano o del castrismo. Ci sono indizi in ogni direzione, ma nulla è proposto con nettezza. La storia è quella del pellegrinare di un ex eroe della rivoluzione in cerca della donna di cui è innamorato che è scomparsa nell’infuriare degli scontri. In poche parole un pasticcio intellettualistico e molto ambiguo.
Pranzo di Ferragosto
Pranzo di Ferragosto
Il pranzo di Ferragosto è uno dei quei film apparentemente fatti di nulla e non più consistenti di un piacevole aneddoto. In realtà, a leggerlo con la dovuta attenzione, dice molte più cose di quanto se ne colgano ad una prima visione. Intanto è una riflessione sulla vecchiaia, le sue pulsioni, anche erotiche, negate dalla buona creanza, ma sempre ribollenti in qualsiasi essere umano. Non si deve dimenticare, poi, che parlare di anziani in una società come la nostra, in cui il culto dell’essere giovani pervade ogni manifestazione, dalla pubblicità alla politica, è un atto di aperta trasgressione rispetto ai moduli espressivi e narrativi comunemente accettati. Se questo non bastasse c’è la sottile descrizione psicologica con cui Gianni Di Gregorio affronta i personaggi, senza nulla tacere quanto a piccolezze, piccole viltà, opportunismi vari, ma anche senza dimenticare di guardarli con un occhio sensibile alla loro umanità ferita, al dolore per un inarrestabile decadimento fisico che li isola dal mondo sedicente attivo che, spesso, li fa guardare con disprezzo. Un altro merito del film è nell’abilità con cui il regista guida queste attempate debuttanti traendo dalla loro presenza un gustosissimo succo che sa di recitazione unita a rispetto per la loro essenza umana profonda. Un film percorso da una proficua ambiguità sia nel disegno degli interpreti, sia nella costruzione di una situazione capace di superare l’apparente banalità del quotidiano per farsi apologo di dolore e riflessione in direzione di uno sguardo complessivo che, con un amaro sorriso sulle labbra, svela una condizione orribile e umanissima.