20 Ottobre 2008
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Antalya Film Festival 2008 |
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Il maggior riconoscimento della sezione nazionale, quello per la migliore sceneggiatura e quello per il miglio interprete, Tayanç Ayaydýn, sono andati a Pazar - Bir ticaret masali (Il mercato Un racconto sul commercio) dellinglese, ma attivo nel cinema turco Ben Hopkins. Il film è girato in Turchia, interpretato da attori turchi, coprodotto da unazienda locale ed è opera dindubbio interesse. Vi si raccontano le difficoltà, i traffici e i crimini cui ricorre un piccolo mercante che, pur di riuscire ad aprire un negozio di telefonini, non esita a derubare il dispensario di un ospedale e a sottomettersi ad una banda criminale. La forza del film è nella descrizione, minuta e tuttaltro che retorica, del tortuoso percorso imposto dalla ricerca di un benessere anche se miserabile e limitato. In questo modo la regia sviluppa un discorso lucido e attuale sulla condizione di migliaia di esseri umani costretti a agire in modo banditesco pur di sopravvivere nella terribile lotta imposta dalle condizioni economiche. Un tema che si salda con uno sguardo sofferto e ammirato su un paesaggio infernale, ostile e indifferente ai drammi degli uomini. Un atro punto di forza è nellinterpretazione Tayanç Ayadin che misura toni e gesti in modo da non trasformare il suo personaggio né in un martire né in malfattore dimpronta tradizionale.
Vari riconoscimenti premio della giuria della critica internazionale, premio speciale, miglior regia, migliore musica, miglior sonoro decretati dalla giuria principale sono andati a Nokta (Punto) con cui Derviş Zaim prosegue il discorso avviato cineasta con Canneti beklerker (Aspettando il Paradiso, 2006). Un canovaccio che lega religione e sensi di colpa. Il film inizia in unera lontana, attorno al 1400, quando i mongoli invasero la Turchia. In un deserto di sale un calligrafo, che ha scritto alcune parole sacre sul terreno, rifiuta di mettersi in salvo sin che suo figlio non gli porterà linchiostro necessario a completare le parole tracciate disegnando il puntino mancante a una lettera. Salto ai giorni nostri, sempre nello stesso deserto, ove un giovane studioso di calligrafia subisce violenze e muore per aver commesso un crimine religioso e civile: con un complice ha rubato e cercato di rivendere un prezioso Corano. Il film è girato con un numero limitato di piani sequenza, interamente nella solitudine del deserto e non risparmia scene cruente. La costruzione è sapiente e ben orchestrata, gli interpreti abbastanza bravi, il senso complessivo del film oscilla fra una sorta di forte religiosità chi attenta alle cose sacre mal gliene incoglie e un discorso quasi dostoevskiano sul delitto e il castigo. La cosa più interessante è labilità della regia nel condurre il racconto utilizzando quasi solo piani sequenza e immagini in campo medio. Altro punto di forza lutilizzazione simbolico narrativa del paesaggio. Convince meno lesplosione di violenza che punteggia il finale, peraltro con toni più simbolici che realisti. In poche parole un film interessante da un punto di vista linguistico, ma non privo di ambiguità tematiche.
Il cartellone di questanno ha visto lesordio di un numero notevole di nuovi cineasti, quello che ha ottenuto il premio riservato alla migliore opera prima è stato Aydýn Bulut, autore di Başka semtin çocuklari (I bambini dellaltra parte). E un testo che potremmo definire di tradizione güneyana, nel senso che mette assieme argomenti politici di grande peso la guerra curda, il reducismo, la delinquenza, la miseria, la corruzione politica inserendoli in un tessuto di cinema popolare gangsteristico con personaggi appena abbozzati, storia a forti tinte, accumulo di scontri sanguinolenti. A voler essere pignoli si potrebbe citare persino il western allitaliana, tenuto conto del duello finale in cui entrambi i contendenti soccombono. La storia è quella di un reduce deciso a vendicare il fratello che crede essere stato ucciso da un altro ex militare e che, invece, è stato ammazzato per gelosia da un amico. Attorno ci sono storie di donne contese o desiderate, fratelli malvagi e trafficanti vari. In poche parole siamo sulla linea del cinema turco degli anni settanta e tale è anche il tono del colore, slavato e approssimativo, così come vari altri elementi tecnici. Un giudizio complessivo non può prescindere dalla generosità degli intenti e dal possibile impatto popolare, anche se molta acqua è passata sotto i ponti dagli anni doro del cinema di Yilmaz Güney. In sintesi un film che ha il gusto di cose vecchie, generose e sorpassate.