Antalya Film Festival 2008

Stampa
PDF
Indice
Antalya Film Festival 2008
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
I premi
Tutte le pagine
ImageIl festival del cinema di Antalya è una delle maggiori rassegne turche di film e fra le più importanti del bacino mediterraneo. Per la verità si dovrebbe parlare dei festival del cinema di questa città, visto che alla manifestazione di vecchia data – quest’anno ha segnato la 45ma edizione – rivolta alla produzione nazionale da quattro anni se n’è aggiunta una seconda, Eurasia Film Festival, di respiro internazionale. Nonostante questo sdoppiamento la parte che continua a raccogliere il maggiore interesse è proprio quella destinata al cinema turco che, quest’anno, si è rivelato particolarmente ricco di titoli interessanti. Ve diamone alcuni tenendo anche conto dei premi assegnati dalle tre giurie ospitate dalla manifestazione: quella che doveva assegnare i maggiori premi, quella della critica internazionale e quella per la produzione nazionale.
Il mercato – Un racconto sul commercio
Il mercato – Un racconto sul commercio
Il maggior riconoscimento della sezione nazionale, quello per la migliore sceneggiatura e quello per il miglio interprete, Tayanç Ayaydýn, sono andati a Pazar - Bir ticaret masali (Il mercato – Un racconto sul commercio) dell’inglese, ma attivo nel cinema turco Ben Hopkins. Il film è girato in Turchia, interpretato da attori turchi, coprodotto da un’azienda locale ed è opera d’indubbio interesse. Vi si raccontano le difficoltà, i traffici e i crimini cui ricorre un piccolo mercante che, pur di riuscire ad aprire un negozio di telefonini, non esita a derubare il dispensario di un ospedale e a sottomettersi ad una banda criminale. La forza del film è nella descrizione, minuta e tutt’altro che retorica, del tortuoso percorso imposto dalla ricerca di un benessere anche se miserabile e limitato. In questo modo la regia sviluppa un discorso lucido e attuale sulla condizione di migliaia di esseri umani costretti a agire in modo banditesco pur di sopravvivere nella terribile lotta imposta dalle condizioni economiche. Un tema che si salda con uno sguardo sofferto e ammirato su un paesaggio infernale, ostile e indifferente ai drammi degli uomini. Un atro punto di forza è nell’interpretazione Tayanç Ayadin che misura toni e gesti in modo da non trasformare il suo personaggio né in un martire né in malfattore d’impronta tradizionale.
Punto
Punto
Vari riconoscimenti – premio della giuria della critica internazionale, premio speciale, miglior regia, migliore musica, miglior sonoro decretati dalla giuria principale – sono andati a Nokta (Punto) con cui Derviş Zaim prosegue il discorso avviato cineasta con Canneti beklerker (Aspettando il Paradiso, 2006). Un canovaccio che lega religione e sensi di colpa. Il film inizia in un’era lontana, attorno al 1400, quando i mongoli invasero la Turchia. In un deserto di sale un calligrafo, che ha scritto alcune parole sacre sul terreno, rifiuta di mettersi in salvo sin che suo figlio non gli porterà l’inchiostro necessario a completare le parole tracciate disegnando il puntino mancante a una lettera. Salto ai giorni nostri, sempre nello stesso deserto, ove un giovane studioso di calligrafia subisce violenze e muore per aver commesso un crimine religioso e civile: con un complice ha rubato e cercato di rivendere un prezioso Corano. Il film è girato con un numero limitato di piani sequenza, interamente nella solitudine del deserto e non risparmia scene cruente. La costruzione è sapiente e ben orchestrata, gli interpreti abbastanza bravi, il senso complessivo del film oscilla fra una sorta di forte religiosità – chi attenta alle cose sacre mal gliene incoglie – e un discorso quasi dostoevskiano sul delitto e il castigo. La cosa più interessante è l’abilità della regia nel condurre il racconto utilizzando quasi solo piani sequenza e immagini in campo medio. Altro punto di forza l’utilizzazione simbolico – narrativa del paesaggio. Convince meno l’esplosione di violenza che punteggia il finale, peraltro con toni più simbolici che realisti. In poche parole un film interessante da un punto di vista linguistico, ma non privo di ambiguità tematiche.
I bambini dell’altra parte
I bambini dell’altra parte
Il cartellone di quest’anno ha visto l’esordio di un numero notevole di nuovi cineasti, quello che ha ottenuto il premio riservato alla migliore opera prima è stato Aydýn Bulut, autore di Başka semtin çocuklari (I bambini dell’altra parte). E’ un testo che potremmo definire di tradizione güneyana, nel senso che mette assieme argomenti politici di grande peso – la guerra curda, il reducismo, la delinquenza, la miseria, la corruzione politica – inserendoli in un tessuto di cinema popolare gangsteristico con personaggi appena abbozzati, storia a forti tinte, accumulo di scontri sanguinolenti. A voler essere pignoli si potrebbe citare persino il western all’italiana, tenuto conto del duello finale in cui entrambi i contendenti soccombono. La storia è quella di un reduce deciso a vendicare il fratello che crede essere stato ucciso da un altro ex – militare e che, invece, è stato ammazzato per gelosia da un amico. Attorno ci sono storie di donne contese o desiderate, fratelli malvagi e trafficanti vari. In poche parole siamo sulla linea del cinema turco degli anni settanta e tale è anche il tono del colore, slavato e approssimativo, così come vari altri elementi tecnici. Un giudizio complessivo non può prescindere dalla generosità degli intenti e dal possibile impatto popolare, anche se molta acqua è passata sotto i ponti dagli anni d’oro del cinema di Yilmaz Güney. In sintesi un film che ha il gusto di cose vecchie, generose e sorpassate.