Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008 - secondo giorno

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Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008
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Giovedì 28 agosto – Secondo giorno
Achille e la tartaruga
Achille e la tartaruga
La passerella dei film in concorso ha preso il via con due mezze delusioni. La più cocente l’ha procurata Takeshi Kitano con Akires to kane (Achille e la tartaruga), terzo capitolo della riflessione sulla sua vita d’artista iniziata con Takeshis’ (2005) e proseguita con Kantoku Banzai! (Gloria al regista! 2007). Questa volta il poliedrico cineasta giapponese segue la vita, dall’infanzia alla maturità, di Mashisu ossessionato dal dipingere e rampollo di un ricco banchiere andato in rovina. Nel corso del film tenta ogni strada, imita ogni corrente e qualsiasi artista di successo, ma il mercante cui si appoggia lo smonta sistematicamente. Solo dopo una serie di disgrazie, fra cui la morte della figlia prostituta e l’abbandono della moglie, troverà un momento di pace. Per arrivarci avrà dovuto tentare il suicidio un paio di volta, tuttavia il ritrovato rapporto con la moglie, forse, aprirà per lui uno spiraglio di tranquillità. Come dire, piuttosto che l’ansia dell’arte a tutti i costi, meglio un’ordinaria vita borghese, ovvero che l’Achille del famoso paradigma di Zenone è riuscito finalmente a raggiungere la tartaruga. Il film vorrebbe allineare una sorta di catalogo satirico su forme e correnti d’arte moderna, ma risulta troppo ripetitivo per essere veramente graffiante. Un mezzo passo falso da parte di un autore in altri casi fantasioso e inventivo come pochi.
Jerichow
Jerichow
Delusione quasi completa, invece, quella di Jerichow del tedesco Cristian Petzold. E’ una storiaccia melodrammatica su un triangolo formato da un immigrato turco che ha sposato un’ex prostituta e se la vede contendere da un giovane aitante, ex militare congedato con disonore e, anche lui, immischiato in traffici non limpidi. I due fedifraghi progettano di uccidere l’imprenditore, senza sapere che è affetto da una grave malattia che gli lascia pochi mesi di vita. Quando l’immigrato scopre la tresca si uccide, lasciando ai due scellerati, si pensa, un incancellabile senso di colpa. Melodramma della migliore specie, ma senza né il pathos che dà fascino al lavoro di autori, come Pedro Almodovar, che hanno fatto del melò terreno d’elezione, né l’ironia con cui altri autori usano questo genere per rovesciarlo dall’interno. Il regista tedesco, al contrario, si prende eccessivamente sul serio per questo il film non dice nulla di nuovo e quel poco che comunica lo fa male.
Shirin
Shirin
C’era molta attesa anche per Shirin dell’iraniano Abbas Kiarostami che ha deciso di raccontare la trasposizione cinematografica del poema persiano omonimo (XII secolo) attraverso i volti di centoquattordici famose attrici iraniane e una star francese, Juliette Binoche, che stanno assistendo alla proiezione del film. Operazione difficile e interessante che non siamo in grado di valutare in quanto la proiezione per la stampa è avvenuta senza sottotitoli italiani e con sporadiche apparizioni di sottotitoli inglesi. Come dire che non mancherà l’occasione, magari in situazioni meno affollate di questa, per ritornarci su.
Pranzo freddo
Pranzo freddo
I film costruiti su un mosaico di episodi e personaggi sono spesso serviti molto bene per descrivere il carattere e i problemi di una società. A questo tipo di cinema la norvegese Eva Sørhaug aggiunge un capitolo di prim'ordine con Lønsj (letteralmente Pranzo, ma il titolo internazionale suona Pranzo freddo). Il film è stato presentato, fuori competizione, nel programma della 23ma edizione della Settimana Internazionale della Critica (S.I.C.). Sono sei storie che nascono da un banale incidente: un ragazzaccio squattrinato e arrogante leva la corrente dal lavabiancheria di cui si è appropriato, in un fabbricato vicino a quello in cui abita, per recuperare i soldi che ha dimenticato nel taschino di una giacchetta che sta lavando. Episodio da nulla, se non che, come nel famoso apologo della farfalla che batte le ali in Cina e causa un disastro in America, quel gesto è all’origine di una serie di episodi, alcuni dei quali gravissimi. Un anziano inquilino, credendo sia andato in panne l’impianto casalingo, manomette una valvola e muore fulminato. La sua scomparsa priva la figlia, che viveva con lui, di un tetto e la costringe ad uscire di casa dopo anni di reclusione. Sempre la mancanza di energia elettrica, blocca l’essiccatrice in cui una signora, fresca mamma, sta asciugando i pantaloni del marito e la cosa innesca una crisi matrimoniale che covava da tempo. Lo stesso giovinastro finisce sfrattato dalla stanza in cui abitava, non avendo pagato in tempo l’affitto pattuito con l’inquilino principale. Sono tanti piccoli disastri uno solo dei quali andrà a buon fine (l’ex – reclusa ritrova il senso della vita e del contratto con la natura) che svelano i tratti di un’umanità in bilico fra disperazione, crollo psicologico e marginalità. Allo stesso tempo denunciano l’ipocrisia che si annida sotto le belle maniere e il quieto vivere borghese. E’ un ventaglio di caratteri disegnati mirabilmente e descritti con grande perizia, ciascuno dei quali assume un valore emblematico preciso. Il film è immerso in limpide luci pastello che rendono ancor più drammatiche le tensioni che si vengono sviluppando. In poche parole un testo molto bello, ricco di sfumature ficcanti e costruito con perizia.