Plus Camerimage 2010

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Plus Camerimage 2010
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Camerimage
Il festival Plus Camerimage si tiene in Polonia - sino al 2000 a Toruń, poi a Łódź , da quest'anno a Bydgoszcz - da diciotto edizioni ed è fra le non molte manifestazioni cinematografiche rivolte al mondo dei direttori di fotografia (in inglese dop). Una figura fondamentale per la riuscita di qualsiasi opera cinematografica, ma che solo nel caso di grandi fotografi riceve l'attenzione che merita. Questo festival è anche importante perché, si accompagna ad una rassegna delle maggiori novità tecniche in campo cinematografico e televisivo, non escluse le proposte tridimensionali. Per quanto riguarda il cartellone dei film da notare un concorso riservato al cinema nazionale.Si è aperto con un film americano: Black Swan (Cigno nero) diretto da Darren Aronofsky, un autore incline all’'horror e il mistero, come hanno testimoniato altri suoi lavori: The Wrestler (2008) e The Fountain (2006).
Al centro della storia c'è una ballerina classica chiamata a interpretare il ruolo della regina nel Lago dei cigni Pëtr Il'ič Čajkovskij (1840 - 1893). Spinta da un coreografo dal comportamento autoritario e crudele, trasforma la preparazione dello spettacolo in una sorta di delirio che le spingerà a immaginare delitti e a ferirsi sino uccidersi, come l'eroina del balletto. Una morte che si fonde con gli osanna del pubblico. Ci sarebbe materia per riflettere sul difficile rapporto fra creazione e vita, oppure meditare sull'ossessione della perfezione in questa come in altre forme di arte, oppure a dissertare sule turbe di una mente ossessionata da un solo pensiero. Vaste ipotesi che naufragano contro la realtà di un film il cui autore si preoccupa solo di creare atmosfere cupe alla Roman Polanski prima maniera, per intendersi quello di Repulsion (1965), o a citare la competizione fra primedonne come avveniva, con ben maggior risultato, in Eva contro Eva (All About Eve, 1950) di Joseph L. Mankiewicz . In definitiva è una storia ben poco originale, piena di salti narrativi non sempre giustificati e davvero poco interessante.
Hereafter (Aldilà) è l’ultima fatica dell’ottantunenne Clint Eastwood, che sta già lavorando a un nuovo film sulla controversa figura di John Edgar Hoover (1895 – 1972), il fondatore del FBI e l’uomo che tenne sulla corda con i suoi dossier non pochi presidenti americani. Questo suo penultimo film è opera singolare e, diciamolo subito, non fra le migliori della sua filmografia. La prima singolarità nasce dal fatto che quest’autore, solitamente propenso a un cinema d’impianto realistico, si cimenta per la prima volta con quello che è stato definito un thriller soprannaturale. La cosa si riverbera, in modo particolare, nelle sequenze rivolte alle parti rivolte all’aldilà, con sequenze oscillanti fra il banale e l’esteticamente imbarazzante. La seconda singolarità è legata al fatto che si tratta di un’opera nata sotto il patrocinio di Steven Spielberg e della sua DreamWorks, cosa che traspare in tutta evidenza nella sequenza dello tsunami, un brano che, per magia tecnologica e dovizia di mezzi, si colloca al massimo livello dei pezzi più noti visti in film sulle catastrofi, un genere molto frequentato dal cinema americano, ma non familiare a questo regista. A fronte di questi dubbi c’è una sorta di continuità filosofica con le ultime produzioni del cineasta che, almeno da Million Dollar Baby (2004) in poi, s’interroga con sempre maggiore frequenza sulla vecchiaia, la fine della vita e, di conseguenza, su ciò che ci attende oltre l’ultimo respiro. In questo le tre storie che compongono il film mostrano non pochi tratti di coerenza con le opere precedenti di quest’autore. Sono vicende ambientate in parti diverse del mondo: in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. George Lonegan è un operaio di San Francisco che può comunicare con i morti, ma non vuole farlo ed è terrorizzato da questa sua facoltà. Marie è una giornalista televisiva francese sopravvissuta allo tsunami che, nel 2004, ha devastato alcune regioni asiatiche e che non riesce più a rientrare nella normalità. Marcus è un bambino londinese, figlio di una tossicomane, che ha assistito alla morte del fratello gemello in un incidente stradale. Casualmente queste persone s’incontreranno in un finale all’insegna dell’amore ritrovato e della riconciliazione con la vita, tema non nel tutto in linea con parte degli ultimi lavori del regista. In altre parole è un film poco personale, ma in cui brillano alcuni momenti di forte intensità e coerenza con le poetiche care a questo cineasta.