Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008 - quinto giorno

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Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008
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Domenica 31 agosto – Quinto giorno
Il papà di Giovanna
Il papà di Giovanna
Il papà di Giovanna di Pupi Avati rispetta, nel bene e nel male, le caratteristiche tipiche di questo autore. Nel bene, perché offre un controllo altissimo delle prestazioni attoriali, unite ad una storia raccontata in modo classico e piano. Nel male, in quanto conferma la sospensione nel vuoto dei suoi film, nel senso che narrano vicende fuori del tempo e dalla storia. Nonostante i molti ingredienti scenografici, la citazione diretta degli anni in cui si collocano con tanto di riferimento a eventi storici e movimenti politici, tutto sembra svolgerti in un’epoca indefinita, priva di reali agganci con le cronache e la storia del tempo in cui il racconto è immerso. Nel caso specifico di tratta di un periodo denso d’eventi, si parte dal 1938 per arrivare sino al 1953, e di uno scenario, quello di Bologna, in cui accaddero fatti fondamentali per la connotazione del secolo e del paese. La vicenda è presto detta: una ragazza di 17 anni, psicologicamente instabile, uccide una coetanea, appartenente ad una famiglia ricca e potente, convinta che le abbia rubato l’innamorato. In realtà il ragazzo la usava come copertura per la relazione segreta che aveva con l’altra. Condannata al manicomio criminale ne uscirà dopo anni. Durante questo periodo il padre non ha cessato di assisterla in ogni modo, mentre la madre ha rotto i vincoli familiari ed è andata a vivere con un poliziotto che ha aderito alla Repubblica Sociale e che, alla fine della guerra, sarà fucilato dai partigiani. E’ questo l’unico episodio in cui il regista prende apertamente posizione e lo fa con un livore antiresistenziale grossolano e fastidioso. In ogni caso le cose si arrangiano con il ritorno a casa della donna e la ricostruzione della tranquilla famigliola borghese. Storia raccontata bene, ma priva di un qualsiasi riferimento politico o storico. Ciò non significa che, nel complesso, il regista non si collochi da una ben precisa parte, quella genericamente definita revisionista, ma solo che simboli, discorsi pubblici e altri ingredienti non riescono a motivare minimamente il film. Resta da dire dell’interpretazione che, come il solito, è d’altissimo livello e conferma la duttilità di Silvio Orlando, il talento quella giovane Alba Rohrwacher e rivela le insospettate doti attoriali Enzo Greggio, qui sobrio sino all’essenziale e apprezzabilmente misurato.
L'altra
L'altra
Storia di follia anche quella raccontata dai francesi Patric Mario Bernard e Pierre Trividic in L’autre (L’altra), radiografa la discesa nella pazzia di un’assistente sociale abbandonata dal compagno. La donna non si rassegna e si costruisce una nemica immaginaria nella nuova partner dell’ex-amante. Anche in questo caso grande interpretazione di Dominique Blanc e storia privatissima, del tutto sganciata dall’ambiente in cui è immersa. Come dire un’altra seria concorrente al premio per la migliore interpretazione femminile, ma nulla più.
Ponyo sul precipizio sul mare
Ponyo sul precipizio sul mare
Il terzo film in concorso della giornata, Gake no ue no Ponyo (Ponyo sul precipizio sul mare) era un disegno animato, veniva dal gippone, e portava la firma del maestro Hayao Miyazaki, già coronato con un Leone d’Oro alla carriera nel 2005. La storia racconta, l’amicizia fra un bimbo e una pesciolina che sogna di trasformarsi in essere umano, è densa di riferimenti poetici ed ecologici. Dobbiamo confessare la nostra incapacità ad esprimere un giudizio articolato per un genere che richiede competenze e conoscenze particolari. Da profani possiamo solo appezzare la lievità poetica dell’assunto, il grande livello dell’animazione e un ritmo narrativo agile quanto sostenuto.
Il bambino di Kabul
Il bambino di Kabul
Alla Settimana Internazionale della Critica è stato presentato Kabuli Kid (Il bambino di Kabul) di Barmak Akram. In una capitale afghana caotica e profondamente segnata dalle guerre che hanno attraversato il paese, un taxista si trova in macchina un fantolino di pochi mesi, abbandonato dall’ultima cliente che ha caricato. Inizia così una corsa attraverso la città, prima per sbarazzarsi del neonato, poi per rintracciare la madre. Sono due giornate in cui il protagonista incontra personaggi e situazioni che formano il mosaico di una società miserabile, priva di speranze, pericolosamente incline all’intransigenza religiosa. Il film ha un taglio volutamente neorealista, scelto dal neoregista - un artista a tutto tondo rifugiatosi in Francia anni or sono per sfuggire alla persecuzioni talebane - per comporre un affresco ampio e variegato di un paese che non conosce la pace da almeno vent’anni. Un elemento di particolare interesse lo ha lo sguardo rivolto alla condizione delle donne, con l’appendice della ricerca fanatica di una discendenza maschile. Le vere protagoniste del film, oltre al conducente dal buon cuore, sono le numerose bambine e madri che partecipano al discorso corale, spesso ridotte a pure voci di corpi celati da pesanti burqa. Un film generoso e importante, anche politicamente: nel dibattito che ha seguito il film il cineasta ha invitato a mandare nel suo paese meno uomini armati e più visitatori portatori d’interesse autentico per un popolo e una cultura millenari. Forse questo è il miglior commento.