Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008 - sesto giorno

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Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008
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Lunedì 1 settembre – Sesto giorno
La terra degli uomini rossi – Birdwatchers
La terra degli uomini rossi – Birdwatchers
La terra degli uomini rossi – Birdwatchers del cileno, d’origine italiana, Marco Bechis è il terzo film nazionale approdato nel cartellone della Mostra. La storia ha un inizio fulminante. Un gruppo di turisti procede su un’imbarcazione lungo un fiume brasiliano fotografando uccelli rari (birdwatchers), ad un tratto compare un gruppo di indios debitamente truci e svestiti, grande emozione, solo che, lo scopriamo subito dopo, di tratta di comparse assoldate per fare colore. Il seguito del film, invece, ha un taglio quasi da documentario politico e racconta la lotta di quegli stessi nativi per rientrare in possesso di alcuni, minimi, degli spazi loro sottratti nel tempo dagli agricoltori bianchi che vi hanno impiantato grandi coltivazioni tansgeniche. E’ un po’ il ritorno ai temi e alle scene della conquista delle terre avvenuta nel nostro meridione nell’immediato dopoguerra, solo che, in questo caso, non si tratta di sottrarre spazio a latifondisti assenteisti, quando di darne a chi sta morendo nelle riserve indiane. Il regista è troppo intelligente e accorto per sposare, sic et simpliciter, la causa degli indios, senza prestare ascolto alla voce dei fazendeiros, spesso brasiliani di quarta o quinta generazione. Ciò che condanna è il rifiuto del dialogo, l’intolleranza, la grettezza del possesso. La sua posizione è quella del procuratore inviato a conciliare le parti, che assicura l’interesse del governo per una soluzione equa a patto che non vi siano altre occupazioni, né violenze da parte dei proprietari. Cosa prontamente smentita con l’assassinio del capo degli occupanti. L’immagine finale - un lungo piano sequenza dall’alto che contrappone la bellezza della foresta pluviale, in cui risuonano le grida di guerra dei nativi, alla geometria dei campi coltivati - emblematizza questa necessità di conciliazione e dialogo. Il film si muove, dunque, su un piano per nulla retorico, non fa leva sull’esasperazione del pathos, casomai utilizza l’ironia – l’intera storia erotica fra una delle occupanti e il guardiano mandato a controllarli – per stemperare toni eccessivamente drammatici. In definitiva un buon film, ma non un’opera realmente memorabile.
Latte
Latte
Meglio allora il turco Sem¡h Kaplanoğlu che ha presentato Sűt (Latte), suo quarto film e conferma di una poetica di prim’ordine. Il film fa parte di una trilogia anatolica aperta da Yumurta (Uova, 2007). Ancora una volta la regia affronta tre temi: il conflitto fra cultura e vita rurale, quello fra innovazione e tradizione e le relazioni interpersonali fra genitori e figli. Al centro del racconto una madre, giovane vedova, è un figlio appena diplomato che trascorre lunghe ore leggendo e scrivendo poesie. Il sogno del ragazzo - affetto da una forma di epilessia che gli eviterà il servizio militare, ma che lui vivrà come una minorazione - è diventare un vero poeta, pubblicato e riconosciuto nel mondo della cultura. Nel frattempo deve badare alle cose della vita di tutti i giorni: la fabbricazione e la vendita del formaggio e la cura degli animali. Quando la madre incontra un vedovo e decide di riaccasarsi, per lui è un vero trauma che lo spinge sino a un tentativo di omicidio. Lo fermerà un grande pesce, misteriosamente apparso ai suoi piedi. Sembra un simbolo di salvezza cattolica, ma questa interpretazione, lo riconosciamo, è alquanto azzardata. Il film è girato con voluta lentezza, immagini molto belle e ritmo narrativo quasi inesistente. E’ un tipo di cinema destinato a suscitare pareri contrastanti, così come appare tutt’altro che univoca la lettura del finale: il giovane recupera la realtà andando a lavorare in miniera, ma la luce che brilla sul suo casco assume, a tratti, i connotati di un vero sole. Un film su cui riflettere e da leggere con pazienza e animo aperto.
Vegas: da una storia vera
Vegas: da una storia vera
Il terzo titolo della competizione portava la firma dell’americano, d’origine iraniana, Amir Naderi. Vegas: Based on a True Story (Vegas: basato su una storia vera) racconta la sete di denaro che spinge alla follia un tranquillo padre di famiglia. In tre – lui, la moglie e il figlio – vivono a Las Vegas, fuori delle luci dei grandi casinò, i due adulti hanno un passato da schiavi del gioco ed ora campano a malapena facendo, lui, il gommista, lei, la cameriera. La donna si è costruita un piccolo giardino che cura con amore quasi maniacale. Tutto sembra andare bene sin quando un truffatore racconta loro che nel giardino della loro casa è sepolto il bottino di una mitica rapina il cui frutto non è stato mai ritrovato. Progressivamente l’uomo cede alla pazzia follia, scava buche sempre più profonde, distrugge la piccola serra messa in piedi dalla moglie, fa a brandelli la casa. E’ un’opera a tesi, il cui esisto è presto leggibile, generosa e politicamente corretta nell’impostazione quanto stiracchiata nell’esecuzione. Un esempio di buon cinema civile privo di quello slancio innovativo che segna le grandi opere.
Due linee
Due Linee
La Settimana Internazionale della Critica ha presentato İki Çizgi (Due linee) del turco Selim Evci. La cinematografia di Istanbul sta sviluppando un filone di grande interesse. Sono opere centrate su un'attenta analisi dei rapporti interpersonali, colti, quasi sempre in ambiti medi borghesi e spesso segnati dallo spostamento dai luoghi di vita abituali. Un trasferimento che agisce come detonatore per far esplodere contraddizioni latenti, malinconie profonde, insoddisfazioni prima mascherate dalla routine quotidiana. Il capofila di questo percorso è Nuri Bilge Ceylan, un attore, fotografo e cineasta, che, con cinque titoli all'attivo (Kasaba – La piccola città, 1997 - Mays sikintisi – Nubi di maggio, 1999 – Uzak – Distante, 2002 – Iklimler - Il piacere e l'amore, 2006 – 3 maymun – 3 scimmie, 2008-), ha raccolto molti e importanti riconoscimenti internazionali affermandosi come uno degli autori di punta del cinema contemporaneo. Gli sono compagni cineasti come Zeki Demirkubuz, Reha Erdem e Semih Kaplanoğlu. Possiamo parlare, in modo generico, fatte salve le caratteristiche di ciascun autore e le differenze culturali, di un cinema antonioniano, nel senso che muove dai rapporti fra esseri umani per illustrare e rendere evidenti le caratteristiche di una condizione alienata e insoddisfatta, capace di disegnare quadri sociali che valgono ben oltre le storie raccontate. Selim Evci si inserisce in questo filone con autorevolezza proponendo una storia fatta quasi di nulla e, proprio per questo, ricca di riferimenti e occasioni di riflessione. Una coppia benestante formata da un fotografo e una dirigente di una grande azienda, parte per una vacanza sulla costa anatolica. Durante il viaggio la coppia incontra due giovani vicine di casa, che l'uomo spiava segretamente. Le ragazze hanno finito la benzina e lui le aiuta mostrando un interesse che va oltre la semplice cortesia. Quando la coppia rimane senza carburante a sua volta, è la donna ad abbandonare il compagno per chiedere aiuto ad un automobilista di passaggio. Sembrano accadimenti da nulla, ma quando si ritrovano soli, la sera in un motel, fantasie erotiche e violenza esplodono facendo emergere, in un crescendo drammatico, tensioni sepolte da tempo. Al mattino, tutto sembra ritornare come sempre, il velo dell'ipocrisia, squarciato per un attimo, è stato subito richiuso. E' un quadro psicologico forte, descritto in modo preciso e che svela una condizione d'insoddisfazione e oppressione ampiamente diffusa. Un esempio di questo contrasto produttivo fra vita e simbolo si può individuare nella sequenza in cui i due amanti s’immergono, l’uno distante dall’altra, in un campo di girasoli. Sembrerebbe una sequenza naturale, quasi la registrazione di necessità fisiologiche, ma il regista la trasforma in una metafora del loro essere soli, staccati l’uno dall’altro, monadi in coppia. Lo stile percorre alcuni fra i punti cardine di questo filone, dalla limitazione dei dialoghi, sino al pudore delle scene sessuali, accompagnate, tuttavia, da una forte, continua tensione erotica. In cinema di grande suggestione e tesa creatività.