26 Agosto 2008
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Venerdì 29 agosto Terzo giorno
Quando si giudica la selezione di una grande rassegna cinematografica bisogna tenere conto della necessità per gli organizzatori di scegliere i vari titoli avendo ben presente il ventaglio dei premi da assegnare. Cè da scommettere che il motivo per cui è stato messo in concorso The Burning Plain (La pianura in fiamme), opera desordio dello sceneggiatore Guillermo Arringa - 21 grammi il peso dellanima (2003) e Babel (2006) entrambi Alejandro González Iñárritu) - è da ricollegarsi, soprattutto, alla competizione per la migliore interpretazione femminile. Nel film, infatti, due attrici consumate e molto brave, Charlise Theron e Kim Basinger, danno prova di quanto è alto il professionismo americano. La storia raccontata può essere riassunta così: un uomo e una donna, sposati con altri partner, muoiono, mentre fanno lamore in una sorta di camper. A causare lincendio, con fini solo dintimidazione degenerati in tragedia, è la figlia della donna che vuole punirne linfedeltà. Lincendiaria intreccia, poco dopo, una relazione amorosa con il figlio del fedifrago. Dalla relazione nasce una bambina che la giovane madre abbandona. Anni dopo ritroviamo questa donna nei panni di direttrice di un ristorante di lusso in unimportante città. Tuttavia il passato è destinato a ritornare, questa volta sotto laspetto della figlia, ora adolescente, inviata a lai dal padre, rimasto gravemente ferito in un incidente aereo. Qualche incomprensione, come prevedibile, e possibile ricomposizione della famiglia. Questo se si vuole distendere linearmente una trama che la regia spezzetta in vari momenti che affianca mescolando tempi e personaggi, in modo da creare, quantomeno nelle intenzioni, un clima di tensione dalla tenuta alquanto debole. In poche parole un melodramma passabilmente piagnucoloso, riscattato dallinterpretazione dei due mostri sacri.
Quasi nulla da dire, invece, per Inju, la Bête dans lombre (Inju La bestia nellombra) che leclettico regista franco iraniano Barbet Schroeder ha tratto dal romanzo omonimo del giapponese Edogawa Rampo. In giallo pasticciato e prevedibile - dopo una ventina di minuti, qualsiasi buon lettore di polizieschi scopre chi si cela dietro il sadico romanziere al centro della ricerca basato sullo scontro fra due romanzieri: un francese specializzato in letteratura noir giapponese e uno scrittore nipponico di successo, che nessuno ha mai incontrato di persona. Lunica curiosità è quella di immaginare le ragioni per cui il film è stato selezionato, vista la banalità della storia e la grossolanità dello stile.
Giuseppe Bertolucci ha avuto incarico dalla Cineteca di Bologna di curare la ricostruzione, secondo le plausibili intenzioni dellautore, de La rabbia di Pier Paolo Pasolini, qui presentata come programma speciale. Nel 1963 un produttore, che era anche leditore di un cinegiornale di stampo nettamente reazionario (Mondo Libero), ebbe lidea di presentare gli anni del dopoguerra visti attraverso i materiali raccolti dal suo cine - settimanale con la classica formula: visto da sinistra, visto da destra. Allinizio si pensò ad un film affidato al regista di Accattone a cui affiancarne, in seguito, un altro di taglio opposto. Considerazioni economiche indussero a unire i due momenti sotto un unico titolo unendo il lavoro di Pier Paolo Pisolini, sconciato con il consenso dello stesso autore, a un secondo firmato dallo scrittore di anticomunista Giovannino Guareschi. Solo che la complessità e la chiaroveggenza del grande poeta e cineasta si scontrarono subito con la grossolanità e il propagandismo guareschiano. Il film fu un fisco commerciale, ritirato quasi subito luscita e se ne perse il ricordo, da qui lidea di tentare di ricostruire quella che doveva essere la prima versione pasoliniana. Ne è nato un testo sconcertante per valore profetico, lucidità di comprensione dei fenomeni che si stavano sviluppando proprio in quegli anni che condizioneranno lItalia sino ai nostri giorni. Da mettere in rilievo la denuncia del ruolo della televisione come moderno strumento di ottundimento della coscienza critica, la complessità con cui sono affrontati nodi drammatici come la rivoluzione Ungherese del 1956, il dolore e la sofferenza per la progressiva massificazione dei giovani. Un documento davvero eccezionale e da non perdere.
Unaltra piacevole sorpresa lha riservata Paolo Benvenuti che, con Paola Baroni, è andato a scovare un episodio, tuttaltro che encomiabile, nella vita di un grande musicista: Puccini e la fanciulla. Siamo a Torre del Lago nel 1908 e il maestro sta componendo La fanciulla del West, quando il suo entourage familiare è sconvolto dai sospetti della moglie verso una domestica accusata dessere lamante del compositore. La poveretta è chiusa in casa, angariata in vario modo, spinta al suicidio. Solo dopo la sua morte si scoprirà che era vergine e che lacrimonia nei suoi confronti era stata scatenata dalla figlia del musicista, amante del librettista dellopera. La regia racconta questa storia in modo linearmente perfetto, lavorando le immagini in maniera straordinaria, rinunciando quasi del tutto ai dialoghi in favore dei suoni della natura, la musica e il canto. Siamo ben lontani dal classico discorso su come le grandi opere nascano dalle esperienze autobiografiche degli autori. Siamo, invece, immersi in un discorso di classe che indica come siano i poveri e gli umili a pagare il prezzo dei disordini dei ricchi e potenti. Un film colto e straordinario che conferma le doti di un cineasta schivo e grande.
La prima opera in competizione della 23ma Settimana Internazionale della Critica viene dalla Bosnia Erzegovina, sintitola Čurari Noči (Guardiani notturni) e porta la firma dellesordiente Namik Kabil. Due sorveglianti di un emporio di mobili passano la notte combattendo la noia sfidandosi ad una sorta di gioco infantile, chiacchierando delle rispettive vicende private e litigando a distanza con un ex militare ubriaco che abita nelledificio di fronte. E un universo senza donne, la cui presenza è rilevata solo da telefonate, ambientato in uno scenario pieno di oggetti accatastati, quasi un panorama post nucleare causato da un ordigno capace di uccidere tutti gli esseri umani, ma rilasciare intatte le cose. E la metafora della condizione di quel martoriato paese, prima fra le vittime della dissoluzione dellex Jugoslavia. Un mondo da cui sono scomparsi i nemici, ma sono rimasti quasi intatti e sempre dolorosi i ricordi delle violenze subite e perpetrate. Un quadro infernale in cui persino le memorie della guerra rischiano di farsi mito. Il film è troppo parlato e alquanto statico per commuovere realmente, ma testimonia una condizione umana non meno dolorosa delle ferite inflitte dalle bombe e dai colpi darma da fuoco.