Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008 - terzo giorno

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Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2008
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Venerdì 29 agosto – Terzo giorno
La pianura in fiamme
La pianura in fiamme
Quando si giudica la selezione di una grande rassegna cinematografica bisogna tenere conto della necessità per gli organizzatori di scegliere i vari titoli avendo ben presente il ventaglio dei premi da assegnare. C’è da scommettere che il motivo per cui è stato messo in concorso The Burning Plain (La pianura in fiamme), opera d’esordio dello sceneggiatore Guillermo Arringa - 21 grammi il peso dell’anima (2003) e Babel (2006) entrambi Alejandro González Iñárritu) - è da ricollegarsi, soprattutto, alla competizione per la migliore interpretazione femminile. Nel film, infatti, due attrici consumate e molto brave, Charlise Theron e Kim Basinger, danno prova di quanto è alto il professionismo americano. La storia raccontata può essere riassunta così: un uomo e una donna, sposati con altri partner, muoiono, mentre fanno l’amore in una sorta di camper. A causare l’incendio, con fini solo d’intimidazione degenerati in tragedia, è la figlia della donna che vuole punirne l’infedeltà. L’incendiaria intreccia, poco dopo, una relazione amorosa con il figlio del fedifrago. Dalla relazione nasce una bambina che la giovane madre abbandona. Anni dopo ritroviamo questa donna nei panni di direttrice di un ristorante di lusso in un’importante città. Tuttavia il passato è destinato a ritornare, questa volta sotto l’aspetto della figlia, ora adolescente, inviata a lai dal padre, rimasto gravemente ferito in un incidente aereo. Qualche incomprensione, come prevedibile, e possibile ricomposizione della famiglia. Questo se si vuole distendere linearmente una trama che la regia spezzetta in vari momenti che affianca mescolando tempi e personaggi, in modo da creare, quantomeno nelle intenzioni, un clima di tensione dalla tenuta alquanto debole. In poche parole un melodramma passabilmente piagnucoloso, riscattato dall’interpretazione dei due mostri sacri.
Inju – La bestia nell’ombra
Inju – La bestia nell’ombra
Quasi nulla da dire, invece, per Inju, la Bête dans l’ombre (Inju – La bestia nell’ombra) che l’eclettico regista franco – iraniano Barbet Schroeder ha tratto dal romanzo omonimo del giapponese Edogawa Rampo. In giallo pasticciato e prevedibile - dopo una ventina di minuti, qualsiasi buon lettore di polizieschi scopre chi si cela dietro il sadico romanziere al centro della ricerca – basato sullo scontro fra due romanzieri: un francese specializzato in letteratura noir giapponese e uno scrittore nipponico di successo, che nessuno ha mai incontrato di persona. L’unica curiosità è quella di immaginare le ragioni per cui il film è stato selezionato, vista la banalità della storia e la grossolanità dello stile.
La rabbia di Paolini
La rabbia di Pasolini
Giuseppe Bertolucci ha avuto incarico dalla Cineteca di Bologna di curare la ricostruzione, secondo le plausibili intenzioni dell’autore, de La rabbia di Pier Paolo Pasolini, qui presentata come programma speciale. Nel 1963 un produttore, che era anche l’editore di un cinegiornale di stampo nettamente reazionario (Mondo Libero), ebbe l’idea di presentare gli anni del dopoguerra visti attraverso i materiali raccolti dal suo cine - settimanale con la classica formula: visto da sinistra, visto da destra. All’inizio si pensò ad un film affidato al regista di Accattone a cui affiancarne, in seguito, un altro di taglio opposto. Considerazioni economiche indussero a unire i due momenti sotto un unico titolo unendo il lavoro di Pier Paolo Pisolini, sconciato con il consenso dello stesso autore, a un secondo firmato dallo scrittore di anticomunista Giovannino Guareschi. Solo che la complessità e la chiaroveggenza del grande poeta e cineasta si scontrarono subito con la grossolanità e il propagandismo guareschiano. Il film fu un fisco commerciale, ritirato quasi subito l’uscita e se ne perse il ricordo, da qui l’idea di tentare di ricostruire quella che doveva essere la prima versione pasoliniana. Ne è nato un testo sconcertante per valore profetico, lucidità di comprensione dei fenomeni che si stavano sviluppando proprio in quegli anni che condizioneranno l’Italia sino ai nostri giorni. Da mettere in rilievo la denuncia del ruolo della televisione come moderno strumento di ottundimento della coscienza critica, la complessità con cui sono affrontati nodi drammatici come la rivoluzione Ungherese del 1956, il dolore e la sofferenza per la progressiva massificazione dei giovani. Un documento davvero eccezionale e da non perdere.
Puccini e la fanciulla
Puccini e la fanciulla
Un’altra piacevole sorpresa l’ha riservata Paolo Benvenuti che, con Paola Baroni, è andato a scovare un episodio, tutt’altro che encomiabile, nella vita di un grande musicista: Puccini e la fanciulla. Siamo a Torre del Lago nel 1908 e il maestro sta componendo La fanciulla del West, quando il suo entourage familiare è sconvolto dai sospetti della moglie verso una domestica accusata d’essere l’amante del compositore. La poveretta è chiusa in casa, angariata in vario modo, spinta al suicidio. Solo dopo la sua morte si scoprirà che era vergine e che l’acrimonia nei suoi confronti era stata scatenata dalla figlia del musicista, amante del librettista dell’opera. La regia racconta questa storia in modo linearmente perfetto, lavorando le immagini in maniera straordinaria, rinunciando quasi del tutto ai dialoghi in favore dei suoni della natura, la musica e il canto. Siamo ben lontani dal classico discorso su come le grandi opere nascano dalle esperienze autobiografiche degli autori. Siamo, invece, immersi in un discorso di classe che indica come siano i poveri e gli umili a pagare il prezzo dei disordini dei ricchi e potenti. Un film colto e straordinario che conferma le doti di un cineasta schivo e grande.
Guardiani notturni
Guardiani notturni
La prima opera in competizione della 23ma Settimana Internazionale della Critica viene dalla Bosnia Erzegovina, s’intitola Čurari Noči (Guardiani notturni) e porta la firma dell’esordiente Namik Kabil. Due sorveglianti di un emporio di mobili passano la notte combattendo la noia sfidandosi ad una sorta di gioco infantile, chiacchierando delle rispettive vicende private e litigando a distanza con un ex militare ubriaco che abita nell’edificio di fronte. E’ un universo senza donne, la cui presenza è rilevata solo da telefonate, ambientato in uno scenario pieno di oggetti accatastati, quasi un panorama post nucleare causato da un ordigno capace di uccidere tutti gli esseri umani, ma rilasciare intatte le cose. E’ la metafora della condizione di quel martoriato paese, prima fra le vittime della dissoluzione dell’ex – Jugoslavia. Un mondo da cui sono scomparsi i nemici, ma sono rimasti quasi intatti e sempre dolorosi i ricordi delle violenze subite e perpetrate. Un quadro infernale in cui persino le memorie della guerra rischiano di farsi mito. Il film è troppo parlato e alquanto statico per commuovere realmente, ma testimonia una condizione umana non meno dolorosa delle ferite inflitte dalle bombe e dai colpi d’arma da fuoco.