Festival di Karlovy Vary 2008 - Pagina 5

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Festival di Karlovy Vary 2008
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I premi
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Il fotografo
il fotografo
Le ultime proiezioni del concorso non hanno portato novità, sia nel giudizio complessivo sia questa edizione della manifestazione sia sulla qualità delle singole opere. The Photograph (Il fotografo) del singaporegno Nan Triveni Achnas è una storia dolente che mette in scena il rapporto, più volte sfruttato, fra un anziano al fine della vita e una giovane. Sita si prostituisce per raccogliere il denaro necessario a curare la nonna e mantenere la figlia rimaste al villaggio. Alla ricerca di una stanza da affittare a poco prezzo, s’imbatte in un anziano fotografo che gestisce, con attenzione maniacale, il suo lavoro ed è roso dal rimorso per aver causato, involontariamente, la morte della moglie, quando entrambi erano ancora giovani. Va da sé che i rapporti fra il vecchio e la ragazza arriveranno ad una forma di solidarietà e comprensione reciproca, non prima di aver attraversato un lungo periodo di tensioni e scontri. Il film è realizzato bene e beneficia di una fotografia di ottimo livello, ma appare decisamente datato e inserito in un tipo di cinema un po’ polveroso e decisamente ovvio.
La chitarra
La chitarra
Le cose sono andate ancora peggio The Guitar (La chitarra) dell’americana Amy Redford, figlia della star – mito Robert. Siamo nei pressi della commedia a lieto, fine con venature cupe. La giovane Melody riceve, in una mattinata, tre notizie capaci, ciascuna, di ammazzare un toro. Scopre di avere un cancro che le concede un massimo di due mesi di vita, perde il posto di lavoro e il fidanzato l’abbandona. Disperata, decide di vivere alla grande i giorni che le rimangono: affitta un lussuoso appartamento, lo arreda con mobili costosi, compera vestiti non meno cari e si regala una preziosa chitarra che aveva sognato sin da bambina, arrivando al punto di tentare di rubarla dal negozio in cui era esposta. Il tutto pagato con le carte di credito di cui è intestataria. Per alcune settimane non esce dal suo bozzolo, il che non le impedisce di intrecciare rapporti etero e omosessuali, a uno e due partner. Quando il credito finisce ed è costretta ad uscire di casa, scopre di non essere più ammalata: la botta di felicità che si è concessa l’ha guarita. Certo, ora ci sono i debita da pagare, ma un secondo colpo di fortuna la toglie dai guai facendola associare ad un gruppo musicale di successo. Commedia nera a lieto fine, si è detto, ma rimangono non pochi dubbi, a parte la prevedibilità e le numerose sfilacciature di cui il film soffre. In primo luogo c’è la pericolosa affermazione secondo cui il cancro si potrebbe sconfiggere che piacevoli botte di vita. Affermazione quantomeno discutibile se non pericolosa. Poi c’è l’intero discorso sull’esistenza governata solo da colpi di fortuna o sfortuna. Infine le molte banalità e la scarsità della vena ironica. Come dire un film che si vede con piacere, ma che si dimentica altrettanto velocemente.
Sonetaula
Sonetaula
Fra i molti film che formano il vasto panorama delle sezioni collaterali si è visto anche un film italiano che ha avuto una circolazione solo quasi simbolica sui nostri schermi. S’intitola Sonetàula e lo ha diretto Salvatore Mereu che si era già fatto notare e premiare per l’opera d’esordio, Ballo a tre passi, vista nel quadro della Settimana della Critica della Mostra di Venezia 2002. Il film, basato su un racconto di Giuseppe Fiori, è parlato in sardo stretto e girato con la camera quasi sempre sul volto e il corpo dei personaggi, ma questo non lo degrada a pura produzione televisiva in quanto sia il tema sia le scelte stilistiche profonde ne fanno un’opra originale e personalissima. Durante un arco temporale assai ampio, dal 1938 all’inizio degli anni cinquanta, seguiamo la storia di un giovane fuorilegge, divenuto tale in seguito ad una grave ingiustizia commessa nei confronti della sua famiglia: il padre è stato accusato falsamente e condannato per omicidio, il nonno lo aveva vendicato uccidendo il falso accusatore e lui era diventato l’unico puntello della famiglia. Lentamente da sgarbo a vendetta, da abigeato a uccisione delle greci dei rivali, Sonetàula, questo il soprannome dato al giovane, diventa latitante, fuorilegge, bandito sulla cui testa pesa un taglia consistente. Il film segue questo calvario sino alla morte del protagonista tracciando il quadro di una società arcaica, poverissima che vede lo Stato e le forze dell’ordine come qualche cosa di completamente estraneo. Una sorta di corpo d’occupazione di cui diffidare e da contrastare in ogni modo. La costruzione dell’opera ricorda La terra trema (1948) il film siciliano di Luchino Visconti parlato in siciliano stretto (nelle sale fu distribuita una versione sottotitolata che ebbe vita brevissima), ma si discosta da quell’opera per il realismo del tocco, che contrasta un certo estetismo viscontiano, e per uno sguardo particolarmente duro alle condizioni della Sardegna del tempo. Anni in cui anche il semplice arrivo della corrente elettrica era festeggiato come un evento straordinario. Davvero un bel film girato magnificamente e interpretato in modo sofferto e autentico da un gruppo di attori non professionisti (secondo la migliore lezione neorealista) di straordinaria efficacia.