Festival di Cannes 2008 - 9° giorno

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Festival di Cannes 2008
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Che
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Giovedi' 22 maggio – Nono giorno.
Giornata densa, ma non molto concludente, quella offerta dal cartellone del concorso. Iniziamo con la maggiore delusione: Che di Steven Soderberg. C’era molta attesa per questo filmone di quattro ore e mezzo che in Italia uscirà come due produzioni distinte. La prima parte ci presenta Ernesto Che Guevara, rivoluzionario argentino aggregato agli 80 ribelli che sbarcano con Fidel Castro su una spiaggia cubana per suscitare la rivolta conto il dittatore Fulgencio Batista. I barbudos, come saranno chiamati, sono decimati sin dal primo sconto con l’esercito, tanto che solo 12 sopravvivono e iniziano una guerriglia sulle montagne della Sierra Maestra che li porterà alla conquista de L’Avana, all’inizio di gennaio del 1959. Qui finisce il primo film, il secondo si colloca una decina danni, dopo quando il Che, divenuto un mito per i rivoluzionari di tutto il mondo, decide di abbandonare cariche e onori a Cuba per aprire un nuovo fronte guerrigliero in Bolivia. Sarà una catastrofe: dopo meno di un anno la pattuglia rebelde sarà accerchiata e distrutta dall’esercito regolare. Lo stesso capo, catturato ferito, sarà ucciso su ordine del presidente Renè Barrientos. E’ un grande collage di battaglie, frasi roboanti, molte delle quali tratte dagli scritti di Ernesto Guevara e che, fuori di contesto, suonano false e fuorvianti, ma che non si preoccupa minimamente di stabilire un qualche barlume di analisi storica. Non c’è traccia della tattica politica di Fidel Castro per riuscire a cacciare Batista senza impensierire troppo gli USA. Non ci accenna neppure alla teoria dei fuochi, elaborata dal Che e che lo portò alla disfatta boliviana. Non c’è traccia dei difficili rapporti fra il rivoluzionario argentino e i partiti comunisti latinoamericani, europei e l’Unione Sovietica. Non si offre allo spettatore alcuno strumento per comprendere lo scontro con Fidel, anzi quasi lo si nega, conflitto originato dalla decisione di Guevara di percorrere la strada della rivoluzione universale contro la necessità del presidente cubano di consolidare e rafforzare quello stato nazionale. Non si sfiora neppure la tragicità dei giorni immediatamente successivi alla vittoria, quando il Che fu tra i maggiori organizzatori di una purga del vecchio apparato statale e politico che portò a decine di fucilazioni. Manca tutto questo e molto altro perciò, se ha ragione Bertold Brecht quanto ci ricorda che la verità non sta nei fatti, ma nei rapporti fra loro, allora questo film rischia di essere più mistificatorio che celebrativo. Alcuni giorni or sono uno dei quotidiani del festival riportava un vignetta in cui tre adolescenti discutevano di quale gruppo musicale fosse l’immagine del Che impressa sulle loro magliette. Credo che Steven Soderberg si sia mosso in modo simile, confondendo una figura grandiosa e tragica con qualcuno dei protagonisti della sua serie Ocean.
La frontiera dell'alba
La frontiera dell'alba
Un’altra delusione è arrivata dall’anziano nouvelvaguista Philippe Garrel che rende omaggio proprio alla nouvelle vague e, più in generale, al cinema classico con La frontière de l’aube (La frontiera dell’alba). E’ una storia d’amore fra un giovane fotografo, interpretato dal figlio del regista Luis, e un’attrice piena di problemi che finisce col suicidarsi, salvo ritornare in forma di fantasma, quando il bel tenebroso sta per convogliare a nozze con una nuova compagna, debitamente incinta, inducendolo al suicidio. Film cervellotico, girato in bianco e nero con richiami formali – il passaggio delle inquadrature con chiusura dell’obiettivo – che dovrebbero nobilitare la memoria cinematografica e riescono solo ad essere farraginosi e fastidiosi.
Adorazione
Adorazione
Migliore, anche se non di molto, Adoration (Adorazione) del canadese Atom Egoyan con al centro un giovane che s’inventa un padre che avrebbe tentato di utilizzare sua madre per un attentato aereo. Solo alla fine scoprirà che il genitore, d’origine libanesi, era un ottimo padre e un uomo delicato e irreprensibile. La falsa immagine gli l’ha data il nonno, un razzista antiarabo violento e imbecille, che è il vero responsabile della morte dei suoi genitori. Il film è molto complesso nella struttura e fa troppi giri narrativi, salti temporali e falsi colpi di teatro prima di arrivare alla facile conclusione: bisogna essere tolleranti, eliminare il passato falso, assumersi le proprie responsabilità.
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O’Horten, del norvegese Bent Hammer, visto nella sezione Un Certain Regard, è un bel ritratto di un ferroviere colto nelle prime ore dopo la fine del servizio attivo e l’inizio del periodo di pensione. Solo, metodico, esempio professionale di puntualità e rigore Odd Horten, per una serie di circostanze fortuite, arriva in ritardo proprio alla partenza dell’ultimo treno che deve condurre. E’ una minima mancanza che mette in crisi un’intera impalcatura mentale: non va in azienda neppure per le ultime pratiche, inizia a guardarsi intorno e a scoprire un mondo, spesso triste e solo, che prima non guardava neppure. Il film è fatto, come capita in opere di questo genere, di piccoli fatti, episodi quasi insignificanti che non danno vita ad una trama in senso tradizionale, ma concorrono a formare un mosaico complesso e accurato. Ne nasce il ritratto di un’esistenza che si scopre quasi sprecata, privata per insipienza e scelta d’ordine della passione e del calore che avrebbe potuto avere. Un finale rassicurante - ma sarà realtà o sogno? – sembra aprire la via ad una nuova stagione di rapporti umani, tuttavia ciò che conta è quanto è venuto prima, il senso di vuoto e di disperazione che la regia ci fa vivere con ironia a partecipazione. Un piccolo film di grande peso.
La festa della bambina morta
La festa della bambina morta
Il cartellone di questa sezione comprendeva anche A festa da meniña morta (La festa della bambina morta), opera prima dell’attore e regista Matheus Natchtergaele. Il film percorre una delle strade tipiche del cinema brasiliano, quella della commistione fra riti cristiano – pagani, folclore, povertà e sessualità. In questo caso lo sfondo lo offrono i preparativi e lo svolgimento di una festa detta della ragazza morta, organizzata da una comunità che ruota attorno ad un sedicente santone che si proclama, credendoci, capace di fare miracoli. Chi lo contorna, invece, si divide fra profittatori e devoti fanaticamente innamorati. Si aggiunga un rapporto incestuoso fra il padre, il maggiore affarista, e il figlio, il Santone dalle chiare tendenze omosessuali, e si avrà un’idea abbastanza precisa del sovraccarico di discorsi che il film propone. Un terreno torbido e scivoloso che richiedeva ben maggiore controllo e lucidità di quante il regista disponga. Il film, lasciato praticamente a se stesso, oscilla, si slabbra, naufraga fra fastidiosissimi movimenti di camera a mano e verbosità spesso incomprensibili. Da dimenticare.