Festival di Cannes 2008 - 6° giorno

Stampa
PDF
Indice
Festival di Cannes 2008
1° giorno
2° giorno
3° giorno
4° giorno
5° giorno
6° giorno
7° giorno
8° giorno
9° giorno
11° giorno
12° giorno
13° giorno
I premi
Tutte le pagine
Il silenzio di Lorna
Il silenzio di Lorna
Lunedi' 19 maggio – Sesto giorno.
 Giornata segnata da due film problematici dal punto di vista politico e che lasciano qualche perplessità da quello stilistico. In concorso si è visto Le silence de Lorna (Il silenzio di Lorna) dei belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne. Una giovane albanese paga un taxista, che traffica in queste cose, per ottenere la cittadinanza belga attraverso il matrimonio con un tossicomane. Lo fa perché spera di potere aprire, assieme al suo compagno che vive tutt’ora in patria, un bar e da lì partire per costruire una vita normale. Per raccogliere i soldi che le servono accetta di sposare, una volta sciolto il matrimonio con il drogato, un russo che vuole diventare cittadino belga. Poiché il contratto preme, il mediatore s’incarica di rendere vedova la ragazza rifilando un’overdose al drogato, ma lei, una volta rimasta vedova, si accorge di essere incinta del defunto con cui ha avuto una sola notte d’amore più per pietà che per affetto. Ora non vuole rinunciare al figlio e questo farebbe saltare l’accordo con il russo. Ecco allora che il taxista e un suo accolito progettano di costringerla ad un aborto forzato. Lei si ribella, fugge e si rifugia in una casupola in un bosco. Lì, in quel luogo inospitale, potrà vedere formarsi suo figlio cui già parla come all’unico essere umano capace di capirla e sorreggerla. Le perplessità stilistiche nascono dalla scelta di costruire quasi tutto il film sul pedinamento della ragazza (una bravissima Arta Dobroshi), come avveniva, ma con risultati bel diversi, in Rosetta (1999). Solo che, in questo caso, si avverte assai meno la necessità narrativa di questa scelta, per questo tutto l’impianto narrativo rischia di slittare in una qualche forma di manierismo. In secondo luogo, ma questo è un discorso esterno al film, vi sono tutti gli elementi per trasformarlo, mistificandolo, una bandiera per i movimenti antiabortisti, come è avvenuto per Juno (2007) di Jason Reitman . In realtà il discorso dei registi, più umanitario che cattolico, mira alla denuncia della condizione degli umili e alla messa in scena delle dure condizioni di vita in cui sono costretti. In questo caso l’obiettivo è più quello di raccontare le umiliazioni subite da coloro che, provenendo da paesi poveri dominati da una malavita diffusa, sono costretti a battere ogni strada pur di riuscire a sopravvivere.
Sanguepazzo
Sanguepazzo
Perplessità ancora maggiori suscita Sanguepazzo il film, sostanzialmente televisivo, che Marco Tullio Giordana ha dedicato alla tragica vita di due divi del cinema italiano degli anni trenta: Luisa Ferida e Osvaldo Valenti. Dragati, eccentrici, spesso infedeli l’uno all’altra i due decisero di aderire, dopo l’8 settembre 1943, a quella Repubblica Sociale che Benito Mussolini creò nel nord Italia sotto la protezione della truppe naziste. Osvaldo Valenti si spinse al punto di indossare la divisa, con il grado di tenente, della famigerata Xª Mas, una brigata di torturatori, rastrellatori, fanatici che spesso, hanno superato gli hitleriani in ferocia. Quattro giorni prima della liberazione di Milano l’attore si consegnò ai partigiani, forse sperando di salvare la vita. Pochi giorni dopo fu raggiunto dalla compagna. Finale tragico, con la fucilazione di entrambi, il 30 aprile 1945, cinque giorni dopo la liberazione della città, su disposizione (almeno così sembra) del Comando delle forze partigiane. Una storia su cui non mancano tutt’ora i dubbi, dubbi aumentati dalla popolarità dei due attori. Il fatto stesso di aver scelto due attori di successo, Monica Bellucci (pessima, come sempre) e Luca Zingaretti, quali volti della coppia, rendeva arduo uno sguardo distaccato sui fatti, visto che la presenza di un divo tende sempre a polarizzare gli elementi positivi del racconto. Poi ci sono non pochi passaggi, quali l’invenzione del regista antifascista e partigiano (plasmato su molti caratteri personali a mezzo fra Alessandro Blasetti e Luchino Visconti), che lasciano non pochi dubbi e che fanno sospettare una approccio oggettivamente revisionista. Perplessità che crescono nel finale, con quell’uccisione più simile ad un atto di vendetta che non ad una vera sentenza legittimamente e giuridicamente motivata. In ogni caso un altro prodotto già pronto per il piccolo schermo, con abbondanza di primi e primissimi pani e prevalenza delle scene girati in interni su quelle filmate in esterno.
La vita moderna
La vita moderna
La sezione Un Certain Regard ha presentato la terza tappa del lungo e minuzioso lavoro che il regista e grande fotografo Raymond Depardon ha dedicato al mondo contadino del Massiccio Centrale. Dopo L’appoche (L’approccio, 2000) e Le quotidien (Il quotidiano, 2005), il terzo capitolo di questa serie di Profils paysans (Profili contadini) ha il titolo, venato d’ironia, di Profils paysans: la vie moderne (La vita moderna) ove la sola modernità si può rintracciare nella lenta, inesorabile scomparsa di professioni, mestieri e persone di cui la società sembra non aver più bisogno. Allevatori di bestiame costretti a far macellare i loro capi poiché il latte non rende a sufficienza, pastori che vedono assottigliarsi, giorno dopo giorno, le greggi e non trovano chi voglia fare il loro lavoro, generosi tentativi di rinnovare e continuare queste attività costretti a naufragare in un mare di debiti, tasse, spese non coperte dagli utili. Tutto questo è raccontato senza fare ricorso a discorsi sociologici, teorie di cifre, ma solo mostrando i visi invecchiati e sempre più spenti dei paysan, ascoltando l’inquietudine dei giovani che non sembrano vedere l’ora per poter correre in città lasciandosi alle spalle un’esistenza dura, anche se culturalmente fondamentale. Il regista, che fotografa le varie situazioni con grande sensibilità, lascia parlare gli esseri umani e le cose, guarda alla sofferenza degli animali con quella solidarietà che è capace di provare solo chi ha le sue radici profonde nei campi e nella stalle. Un film poetico e dolente cui, purtroppo, il mercato del cinema difficilmente concederà un lasciappasare per le sale pubbliche. Ne migliori speranze vengono dal circuito televisivo, quantomeno sul da quello italiano.