Festival di Cannes 2008 - 8° giorno

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Festival di Cannes 2008
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La donna senza testa
La donna senza testa
Mercoledi' 21 maggio – ottavo giorno.
 Messe scarsa in concorso. Con La mujer sin cabeza (La donna senza testa) l’argentina Lucrecia Martel ritorna alle origini, allo spirito di quel suo film d’esordio, La Ciénaga (2001), molto amato da una parte della critica e premiato in numerosi festival. Promesse mantenute in misura molto parziale dal successivo La Niña Santa (2004). Il ritorno alle origini è marcato da una storia in cui, apparentemente, non succede nulla, ma è proprio questo nulla a consentire una visione allargata di uno spaccato sociale medioborghese. Una sera, ritornando dalla casa di campagna Verónica urta con la macchina qualche cosa, si ferma un attimo, poi riparte lasciandosi alle spalle la carogna di un cane. Un incidente se si vuole banale, ma che rappresenta per la donna una frattura vera e propria. Da quel momento è preda di continui sensi di colpa, è convinta di aver investito un essere umano, non riesce più a lavorare con la debita attenzione, è come estraniata dalla vita di tutti i giorni, sembra vagare imbambolata sorridendo con aria un po’ ebete. Questa frattura dovrebbe rappresentare, nella intenzione della regista, quel piccolo intoppo capace di mettere in discussione tutto il nostro essere, gettare in crisi certezze credute granitiche, farci dubitare del reale come lo abbiamo accettato sino a ieri. Ottime intenzioni, ma che trovano ben pochi riscontri sullo schermo, annegando in immagini banali e in un modo di raccontare spesso impacciato, sempre irrisolto più che volutamente oscuro.
Delta
Delta
Sempre nella sezione competitiva è stato presentato Delta dell’ungherese Kornél Mundruczó. Tutto ruota attorno ad un caso d’incesto che riecheggia, vagamente, temi da tragedia greca. Un giovane ritorna nel villaggio nativo, sul delta del Danubio, e va a vivere con la sorella, concupita dal patrigno, in una casa su palafitte che costruisce con le sue mani. La cosa suscita le invidie e le ire dei locali che approfittano della festa d’inaugurazione della casa per violentare la ragazza, uccidere il fratello e incendiare la casa. Il film è stato apprezzato ha ricevuto due fra i maggiori premi messi in palio dalla Settimana del cinema magiaro, ma non ha convinto tutti. Infatti, è parso eccessivamente melodrammatico, compiaciuto nello stile, squilibrato nel rapporto fra la scabrosità del tema e il taglio, quasi cartolinesco delle immagini del paesaggio.
Johnny Cane Pazzo
Johnny Cane Pazzo

La sezione Un certain regard continua a confermare la propria attenzione verso i film politicamente e socialmente impegnati. Johnny Mad Dog (Johnny Cane Pazzo) di Jean-Stéphane Sauvaire, un bravo documentarista qui al suo primo lungometraggio, è un doloroso ritratto dei bambini – soldato, adolescenti dalle varie bande che si contendono il potere, a uccidere, rubare, violentare, essere uccisi. Tale è questo Johnny Cane Pazzo che comanda una squadra di ragazzini inviata in avanscoperta nel corso della conquista della capitale da parte di non meglio precisate bande ribelli che stanno cacciando un Presidente, a suo tempo insediatosi in modo non meno sanguinario. Il film non colloca l’azione in nessun paese specifico, ma il riferimento è alla lunga guerra civile che ha insanguinato la Repubblica di Liberia sino al 2003. Una produzione molto professionale, fra i finanziatori c’è l’attore – regista Matheu Kossovitz, che parte con molta generosità e spirito di denuncia, ma, lungo la strada, si abbandona a imbarazzanti giochi formali, movimenti di macchina apparentemente casuali, in realtà studiatissimi. Senza contare i non pochi momenti in cui strizza l’occhio al cinema videoclipparo. In questo modo spande una patina di artificiosità su un discorso doloroso e che meritava di essere affrontato con maggiore misura e partecipazione.
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L’immigrazione clandestina messicana negli Stati Uniti, in particolare in California, è un altro tema scottante nell’agenda dei drammi del nostro tempo. A essa si rivolge un altro film visto in questa sezione: Los bastardos di Amat Escalante. Due clandestini campano con lavori occasionali, un giorno la vita sembra offrire loro un’opportunità con l’incarico, assegnato da un personaggio misterioso che non compare nel film, di spaventare una donna con cui questo tipo ha avuto un rapporto (una relazione sessuale? Qualche affare losco?) finito male. I due s’introducono nella villetta della vittima, che ha un rapporto difficile con il figlio e che ama fumare stupefacenti, la costringono ad entrare in piscina, uno di loro inizia ad eccitarla sessualmente, ma lei rimane indifferente. Lei fa un gesto di troppo e uno dei due la uccide. I due sono ancora in casa, quando ritorna il figlio che ammazza l’altro intruso. L’assassino riesce a fuggire e, nell’ultima inquadratura, lo vediamo lacrimare, mentre raccoglie fragole per conto di un agricoltore. Nel libretto di presentazione del film il regista scrive parole e giudizi di fuoco sulla società capitalistica, le umiliazioni e il dolore che infligge ai poveri. Nulla da obiettare se non che nel film c’è ben poco di tutto questo quanto, piuttosto, una storia criminale mal girata, confusa, incerta nell’impostazione e nello sviluppo.