Festival di Cannes 2008 - 2° giorno

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Festival di Cannes 2008
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Valzer con Bashir
Valzer con Bashir
Govedì 15 maggio – Secondo giorno.
Nel 1982 il regista israeliano Ari Folman era in età da servizio militare e fu coinvolto nell’invasione del Libano e negli orrori che accompagnarono la strage, perpetrata dai militanti cristiano – falangista con la silente complicità dell’esercito di Gerusalemme, nei campi profughi di Sabra e Schatila. Durante tre giorni di settembre, in particolare il 16, le milizie libanesi uccisero oltre 3 mila persone, in maggioranza donne, bambini anziani. Era noto, infatti, che i combattenti palestinesi avevano lasciato il campo sin dal mese d’agosto per approdare in Tunisia e che nei campi c’erano restate solo persone inermi. Le esecuzioni furono perpetrate con una ferocia inaudita le cui immagini schioccarono il mondo riversando sullo stato ebraico una valanga di condanne e proteste. Questa vera e propria vendetta tribale, poche settimane prima era stato ucciso il presidente libanese cristiano maronita Bashir Gemayerl, è tuttora una delle tappe più dolorose del calvario percorso dal popolo palestinese. Quel giovane soldato, divenuto regista, si è rifatto a quei fatti con un film, Waltz With Bashir (Valzer con Baschir), in cui gli incubi suscitati da quell’orrore diventano storie a disegni animati che nascono da vere interviste ai protagonisti, ricordi e incubi di chi vi ha partecipato. Tutto nasce, quando un amico del regista gli da appuntamento in un bar per raccontargli l’incubo che lo perseguita: una muta di cani inferociti arriva sotto la sua finestra latrando e abbaiando. Sono 26 molossi, tanti quanti lui ha ucciso durante le retate nei villaggi libanesi, nel corso dell’ultima invasione israeliana di quel pese, onde evitare che dessero l’allarme prima dell’arrivo dei militari. Una dolorosa continuità lega i due momenti e il regista la scopre facendo riaffiorare dal pozzo della memoria i ricordi che lui stesso vi aveva sepolto. Le ultime immagini appartengono a vero documentario e mostrano il pianto delle donne palestinesi davanti alle salme di figli, mariti, padri uccisi in quell’orrendo massacro. Il film è bello e originale per più di un motivo. Intanto è una delle poche volte in cui il disegno animato è applicato ad una materia drammatica, poi, e questa è davvero la prima volta, lo si utilizza come strumento di forte, impietosa denuncia politica. La forza della materia e la dolorosa sincerità delle intenzioni del cineasta cancellano, sin dalla prime immagini, la sorpresa nel veder usare i disegni per affrontare un dramma reale. In poche parole un film forte e positivamente sorprendente.
Leonera
Leonera
In concorso si è visto anche Leonera dell’argentino Pablo Trapero, una delle voci più interessanti del nuovo cinema latinoamericano di cui vale la pena ricordare almeno il titolo d’esordio: Mondo Grua (Mondo gru), vincitore della Settimana della Critica di Venezia 1999. Questa volta l’obiettivo del regista focalizza una tragedia individuale, quella della ventiseienne Julia, incinta di qualche settimana, che finisce in carcere con l’accusa di aver ucciso l’amante del compagno. Era un menage a trois, fra la donna e i due uomini, ed ora i sopravvissuti s’accusano a vicenda del delitto. Il tribunale crederà all’uomo e condannerà la giovane a una lunga pena detentiva. Tutto questo, tuttavia, non e che un lontano contorno al centro della storia il cui fulcro ruota sui rapporti fra le donne in carcere, la gestazione e i primi anni di vita del piccolo fra le sbarra, detenuto alla stregua della madre. E’ un ritratto neorealista e psicologicamente molto preciso di una condizione degradata inserita in celle fatiscenti, pavimenti lerci, rabbia e violenza. Julia riuscirà a sopravvivere solo grazie all’amore di un’altra detenuta che, letteralmente, la prende fra le braccia e l’aiuta in un faticoso processo di sopravvivenza. Le darà una mano anche quando la condannata deciderà di evadere con il piccolo, nel frattempo affidato alla nonna, uscendo dal paese verso una nuova vita, sicuramente dura, ma con qualche barlume di libertà. E ’un film solido, ben raccontato, un po’ vecchio nella concezione, ma costruito in maniera mirabile, prevedibile in più di un passaggio, ma capace ugualmente a coinvolgere e commuovere.
Tokyo
Tokyo
Ha preso il via anche Un certain Regard, ha principale sezione collaterale del festival. Lo schermo si è acceso sulle immagini di Tokyo! Un film in tre capitoli firmati da Michel Gondry (Arredamento d’interni), Leos Carax (Merda) e Bong Joon-Ho (Tokyo traballante). Come capita in casi del genere è impossibile dare un giudizio complessivo sulle tre parti, tante sono le differenza stilistiche ed espressive che vanno ben oltre una comune vocazione a mettere in scena il fantastico e l’eccentrico. L’episodio più interessante è quello firmato da Michel Gondry che punta la macchina da presa su una coppia che arriva nella capitale con velleità, lui, di regista d’avanguardia e lascia, a lei, la difficile ricerca di un appartamento e del modo per procurarsi le risorse indispensabili a sopravvivere. Sarà un’odissea faticosa e stressante che indurrà la ragazza finirà per trasformarsi in una seggiola e trovare finalmente pace ospitando le natiche di un giovane musicista. Il regista cita apertamente il cinema di Roma Polanski, ma gli manca quel tanto di mistero surreale misto ad orrore che segna le opere migliori del regista polacco. La proposta di Leos Carax non va oltre la barzelletta, con la messa in scena di una sorta di creatura che nasce e vive nelle fogne della città salvo uscirne, con grande terrore dei pedoni, per procurarsi i fiori di cui si nutre. Una volta catturato solo un luciferigno avvocato parigino sarà in grado di comprenderne la lingua fatta più di gesti che di parole. Condannato a morte, risorge e svanisce, quando è ancora appeso al cappio. L’ultima schermata annuncia una prossima puntata a New York. Non spasimiamo nell’attesa. La Tokyo preda a continui terremoti di Bong Joon-Ho è anche la città in cui centinaia di persone si chiudono in casa e non voglio più vedere ne parlare con nessuno. Fenomeno strano, ma reale per il quale è stato coniato il termine hikikomori. Tale è il protagonista del film che l’arrivo di una giovane e bella fattorina di pizzeria mette in crisi al punto che, quando saprà che anche lei ha fatto la sua stessa scelta, deciderà di uscire per andare a salvarla. Il tema è sicuramente intrigante, ma lo sviluppo tende più alla novella sentimentale che non al discorso realmente graffiante.