Festival di Cannes 2008 - 3° giorno

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Festival di Cannes 2008
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Tre scimmieVenerdì 16 maggio – Terzo giorno.
Il turco Nuri Bilge Ceylan è uno dei più importanti registi cinematografici in attività. Quest’anno ha presentato, in concorso, Üç Maymun (Tre scimmie), un film di grande spessore che si aggiunge a Kasaba (La cittadina, 1997), Mays Sikintisi (Nuvole di maggio, 1999), Uzak (Lontano, 2002) e Il piacere e l'amore (Iklimler, 2006), tutti premiati da grandi festival internazionali. A comportarsi come le classiche tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano, sono i membri di una modesta famiglia di Istanbul, marito, moglie e figlio, che celano segreti e comportamenti destinati a sfociare in quasi tragedia. Tutto inizia allorché il facoltoso avvocato alle cui dipendenze lavora il capofamiglia gli chiede di addossarsi, dietro consistente compenso, la responsabilità della morte di un passante da lui investito. L’uomo accetta ed è condannato a nove mesi di prigione. Mentre è dietro le sbarre suo figlio, che dovrebbe fare gli esami per entrare all’Università ma pensa a tutt’altro, decide di farsi dare dal professionista un bel po’ di soldi per comperare un’automobile con cui iniziare un’attività di autista che accompagna i bambini a scuola. Sarà la moglie del detenuto ad avanzare la richiesta, poi la donna diviene l’amante del ricco. Quando il falso colpevole esce di prigione, intuisce ciò che è successo e inizia ad angariare la compagna che, nel frattempo, è stata lasciata dal ricco legale, abbandono di cui lei non riesce a darsi pace. Ogni cosa è sul punto di esplodere ma, alla fine, sembra che tutto torni nella normalità, seppure con qualche ferita. Spira nel film una robusta aria da tragedia greca, aggiornata da una sensibilità moderna di grande forza e intelligenza. Il regista, seguendo il binario stilistico che gli è proprio, elimina ogni momento di conflitto aperto, preferendo, tranne in un caso, mostrare il prima e il dopo, le ragioni e le conseguenze di ciò che è accaduto. L’unica eccezione è nella sequenza dello scontro fra moglie e marito, quando quest’ultimo esce di prigione. E’ un brano in cui si sommano violenza, rabbia e sesso, allo stesso modo di quanto avveniva ne Il piacere e l'amore, più esattamente nel brano di quasi stupro che segna il ritorno di fiamma fra il protagonista e l’ex-amante. In quel caso, come in questo, il discorso ruota attorno all’impossibilità di annegare nel rapporto fisico una disperazione che è, ad un tempo, morale e ontologica. Un ammonimento sui danni della menzogna per un film davvero molto bello.
Un racconto di Natale
Un racconto di Natale
Un conte de Noël (Un racconto di Natale) di Anaud Desplechin è uno di quei filmoni familiari francesi ricchi di attori di prestigio – in questo caso Catherine Deneuve, Jean-Paul Roussillon, Anne Consigny, Chiara Mastroianni, Matheu Almaric, Hipolyte Girardot – che riuniscono attorno allo stesso tavolo, in occasione di una qualche ricorrenza, un complesso nucleo familiare e lo usano come pretesto per rivelare il verminaio e le tensioni che si annidano sotto l’apparente serenità altoborghese. In questo caso è una cena natalizia in cui, oltre a celebrare la festa, si deve decidere quale dei due rampolli della casata dovrà donare il midollo per tentare di allungare la vita alla capofamiglia, cui è stata diagnosticata una grave leucemia. Opere di questo tipo nascono da produzioni destinate ad un pubblico di gusti moderatamente raffinati e sono confezionate in modo da essere già pronte, con qualche taglio, per il piccolo schermo. Non c’è nulla di nuovo e la noia marcia a grandi passi. Il film ha segnato la prima tappa della presenza nazionale in concorso. Speriamo nelle altre due ancora in cartellone.
Humger
Hunger
A Un certain regrad è stato presentato un film che alcuni hanno molto amato, ma che desta non poche perplessità. E’ Hunger (Fame), opera prima dell’inglese Steve McQeen, un pittore che qui esordisce dietro la macchina da presa firmando un’opera robusta anche se, per alcuni versi, discutibile. E’ la cronaca della morte, causa sciopero della fame, di Bobby Sand, rivoluzionario dell’IRA , eletto al parlamento, mentre era in galera e spentosi fra atroci sofferenze il 5 maggio 1981 dopo 66 giorni di astensione dal cibo. Dopo di lui altri nove militanti subiranno la stessa sorte prima che il governo britannico concederà ai militanti detenuti, se non lo stato di prigionieri politici, almeno la maggior parte delle loro richieste in merito ad abbigliamento e trattamento umano. La prima parte del film non si discosta da un qualsiasi racconto carcerario, con tanto di guardiani aguzzini, pestaggi e soprusi vari. La seconda segue, quasi un saggio medico, la lenta agonia del rivoluzionario, mostrandocene in dettaglio le sofferenze. Le maggiori perplessità riguardano la scelta del regista di cancellare qualsiasi analisi politica diretta, affidando ogni spiegazione ad un lungo, statico confronto fra il detenuto e un prete, dialogo in cui sono dibattuti temi che meriterebbe ben più ampia attenzione quali quello della scelta fra violenza e trattativa, suicidio e fede. In poche parole un film serio, ma non del tutto convincente.