50mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 8

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50mo Karlovy Vary International Film Festival
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9ba705f4b18b09728b9edc94f07d4fTetarti 4:45 (Mercoledì 04:45) segue con taglio documentaristico e nelle ore più disperate della sua vita del proprietario di un nightclub e senza volerlo, offre un’autentica complicità allo spettatore. Il regista Alexis Alexiou è bravo nel dipingere con colori scarni le cose raccontate e realizza un film che, a tratti, può ricordare le produzioni di Hong Kong con scene movimentatissime per le strade di Atene, un numero notevole di auto fracassate in scontri di vario tipo. Stelios è un appassionato di jazz il cui sogno è di gestire un locale, sogno che ha realizzato da diciassette anni, ma tutto si sta sgretolando con l’esplosione della crisi economica della Grecia. Il rumeno, un sordido personaggio proprietario del più noto locale sexy della Capitale, lo aiuta a tenere in vita il club che non incassa abbastanza per saldare i debiti, ma lo squalo vuole impossessarsi di tutto e chiede gli chiede di avere indietro il denaro prestato in poche ore. Il protagonista cerca da tutti piccoli o grandi somme, ma invano. Nel frattempo sua moglie pretende per se stessa e i figli una vita più agiata. Lui vorrebbe non perdere l’amore della famiglia, ma in quel particolare giorno ha ben altri problemi. Il regista è bravo nel raccontare lo stress a cui è sottoposto il protagonista ma regia e montaggio non generano tensione e interesse. Gli scontri tra il lui e la donna sono di maniera, poco credibili e alcune situazioni ripetute - specialmente legate ai lacci delle scarpe ed al suono delle luci lampeggianti delle auto, trovate che alla fine esasperano. Non solo, l’incontro tra il debitore ed il boss preoccupato per il figlio è quanto di più ridicolo si possa immaginare.
277-zeroZero è un film che si ama o si odia, con molte citazioni dei Monty Python (anche se il regista lo nega) e al cinema del nonsense con varie immagini pseudo documentaristiche e riprese autentiche sui no global: il tutto, e molto di più, in ottanta minuti. Sui titoli di testa passa la scritta: se state guardando questo film in un video, siete degli idioti: è stato fatto per il cinema e lì deve essere visto. Lo stesso quarantunenne regista ungherese Gyula Nemes è difficile da interpretare, vestito come un teenager cresciuto che si esprime in un linguaggio apparentemente serioso, ma assolutamente goliardico ed irriverente. Verso la fine del film lo schermo rimane bianco per circa due minuti e una voce afferma che è finito e che si può lasciare la sale: ovviamente, il racconto prosegue con autentiche immagini documentaristiche irrise dall’ulteriore sviluppo demenziale (o forse no). Ci troviamo nel duemiladiciassette quando le api stanno morendo in massa e l'umanità ha ancora solo quattro anni prima di scomparire dalla Terra. Un manager di successo di una fabbrica dedita solo al profitto assaggia per un errore il miele vero e non quello che lui produce, è così colpito che si trasforma in apicoltore anarchico che cerca di intraprendere una battaglia spietata e radicale per la sopravvivenza. Va in Africa alla ricerca delle ultime api, ma deve combattere contro le multinazionali che cercano di fermarlo con tutti i mezzi. In tutto questo è aiutato da bellissima figlia di uno degli industriali senza scrupoli (Il settantunenne attore tedesco Udo Kier) che si innamora in maniera totale del giovane tanto da farsi cospargere di miele per attirare le api. Qui al suo secondo lungometraggio, questo cineasta è soprattutto uno studioso di cinema che insegna in varie Università. I suoi lavori hanno contenuti e forma rigorosamente anticonformista, facendo girare ai suoi attori moltissime immagini senza dire loro come saranno montate. Il suo primo lungometraggio Egyetleneim (La mia unica, 2006) presentato alla Settimana della Critica al Festival di Venezia, aveva ricevuto contrastanti giudizi. Il titolo realizzato per il diploma, Letűnt Vilage (Mondo perduto, 2008), ha vinto Carlsbad Award per il miglior documentario con meno di trenta minuti. Gli esperimenti iniziati nel corto A mulandóság Gätje (La transitorietà è relativa, 2004) con generi burlesque e da teatro alla Eugene Ionesco (1909 – 1994) continuano in quest’ultimo film con stilistica espressiva che utilizza una tecnica monocromatica e l'assenza di un dialogo tradizionale. Sicuramente un’opera che non lascia indifferenti.

(F.F.)