50mo Karlovy Vary International Film Festival - Pagina 3

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50mo Karlovy Vary International Film Festival
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158742335 868d84Domáci péče (Cure domiciliari) del ceco Slávek Horák è il bel ritratto di un’infermiera di mezza età che aiuta senza risparmiarsi anziani e ammalati immobilizzati. Per farlo percorre molti chilometri in pullman o a piedi e segue la sorte dei suoi pazienti sino alla tomba. In casa ha una situazione non proprio positiva: il marito preferisce la grappa alle effusioni affettive, la figlia è andata a Praga con un compagno ed ora aspetta un figlio. Ad aggravare le cose arriva, come un colpo di fulmine, la diagnosi di tumore al pancreas che le lascia al massimo sei mesi di vita. I medici le consigliano di attendere la fine riposandosi e cercando un’impossibile serenità, lei preferisce intensificare il lavoro nonostante i ripetuti attacchi di vomito e dare orecchio a terapie alternative come l’introspezione psicologica, l’idea del male come conseguenza di squilibrio mentale, il ricorso all’imposizione delle mani da parte di una pranoterapeuta. Nel film è ambientato in una campagna non del tutto arcaica ma non ancora modernizzata. C’è una sequenza che funziona come vera e propria sintesi del discorso, è quella in cui lei è colpita da un doloroso attacco di vomito mentre sta aiutando il marito e un vicino a fare i lavoro agricoli. La donna è distrutta dai continui conati ma i due uomini continuano a trangugiare alcol senza accorgersi di nulla o prestarle soccorso. E’ un ritratto doloroso, per quanto venato d’umorismo, della forza di un essere umano capace di sacrificarsi per gli altri, anche se quasi nessuno se ne accorge. Il finale, con la sua seggiola che rimane vuota durante la festa per il matrimonio tardivo della figlia e dopo che il marito ha fatto l’amore con lei più seguendo i fumi alcolici che non per resipiscenza affettiva, è dolorosamente e simbolicamente efficace.
song-of-songsGiudizio diverso quello su Pesn pesney (Il cantico dei cantici) dell’ucraina Eva Neymann che si è ispirata a un racconto del famoso scrittore statunitense di origine ucraina Solem Aleichem (1859 – 1916, nome d’arte di Sholem Naumovich Rabinovich) autore dei racconti contenuti nel Cantico dei Cantici - Un amore di gioventù in quattro parti (pubblicato in Italia nel 2004). Il film racconta, con immagini straordinariamente precise, l’amore di Shimek per Buzi, la nipote che è stata accolta in casa dopo la morte del padre. I due sono cresciuti insieme, assieme hanno partecipato ai rituali ebraici e fatto lunghe passeggiate senza che il ragazzo palesasse i suoi sentimenti. Passano gli anni e Shimek ritorna dalla grande città in cui è emigrato e scopre che Buzi sta per sposare un altro e non gli potrà più appartenere. Tutto questo funziona da traccia per un ritratto della vita degli ebrei centroeuropei all’inizio del secolo scorso, fra misera, bigottismo, divisioni classiste e terrore per i continui pogrom. E’ un film molto curato, ma sostanzialmente freddo che solo a momenti recupera la passione che trasuda dalla pagina scritta. Un’opera più di testa che di cuore.

(U.R.)

Jurney to RomeEast of the West è da sempre il fiore al occhiello del Festival, serbatoio da cui scaturiscono opere di autori interessanti, al loro primo o secondo titolo, tutti realizzati nelle ex Repubbliche Sovietiche, nei Balcani in Grecia e Turchia. Dodici i titoli in concorso, tra cui anche alcuni realizzati nella Repubblica ceca quale Cesta do Říma (Viaggio a Roma) diretto da Tomasz Mielnik, talentuoso personaggio dello spettacolo. Film a tratti anche molto divertente, ha come difetto il continuo volere stupire, aggiungere effetti e personaggi che incuriosiscano o strappino un sorriso in più. Così facendo in più di un momento perde lo spettatore che si sente giustamente spaesato. Ci sono tante storie nel mondo quante sono le persone. Il custode particolarmente timido e privo di aspettative di una pinacoteca diventa un riluttante ladro di quadri. Lo fa perché circuito da bella ragazza che dice di essere di lui innamorata e che lo convince prima ad appropriarsi del dipinto e poi di portarlo a Roma con un viaggio avventuroso, quasi tutto in treno. Incontra varie persone, nessuna normale, ascolta un sacco di storie, è inseguito sia da una coppia di improbabili poliziotti e da cattivi ai limiti dell’impossibile. Si svolge a fine anni settanta, inizio anni ottanta: questo road movie dai toni di commedia demenziale e sulla ricerca del senso della vita è il primo lungometraggio del regista che dimostra di non volere soccombere anche a certa globalizzazione cinematografica.
SarmasikTutt’altro discorso per la drammatica commedia psicologica coprodotta dai turchi assieme ai tedeschi: è un sodalizio che prosegue da anni non soltanto perché la più grossa comunità turca risiede proprio in Germania, ma perché c’è stato negli anni novanta un accordo di cooperazione siglato dai governi d’allora. Ivy Sarmaşık (idem, 2015) è il nome di uno dei tanti cargo che solcano il mare. Non moderno ma neanche carretta, con un equipaggio ridotto come numero di persone ma che rappresenta varie religioni e diversi paesi. La convivenza è possibile solo quando tutto va per il meglio, gli stipendi sono pagati, non ci sono grandi tensioni, ma capita che la nave si sia rifiutata in un porto per i debiti dell’armatore, che l’equipaggio non sia retribuito, che si sia appena imbarcato un cipriota e l’apparente armonia scema immediatamente. Anche il comandante, quando iniziano a scarseggiare i viveri, dimostra poco equilibrio e tra i suoi uomini c’è qualcuno che lo vorrebbe uccidere. Ci sono poi morti, fantasmi allucinazioni. Tolga Karaçelik dirige con bravura un gruppo di attori non particolarmente noti ma sicuramente bravi.
(F.F.)